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16/06/2010 18:08 CEST - Tennis e doping

I furbi sono sempre un passo avanti?

Si sta facendo tutto il possibile per contrastare il doping? Oppure i disonesti trovano modi sempre nuovi per avvantaggiarsi in modo illecito e per eludere i controlli? E quali sono i limiti degli attuali test? Ecco cosa ne pensa il dott. Giammattei nel seguito dell’intervista che abbiamo realizzato. Claudio Gilardelli

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Rintracciabilità delle sostanze proibite e “nuove frontiere” del doping. Sono questi gli argomenti che toccheremo nella seconda parte del nostro viaggio nel mondo del doping.

Quali sono le sostanze o le pratiche facilmente rintracciabili ai test e quali no?

Moltissime sostanze vengono ormai rintracciate con facilità con i più moderni esami antidoping. Ad esempio, per le varie forme di eritropoietina o per gli anabolizzanti esistono ormai test molto efficaci. Non esistono però al momento controlli antidoping in grado dl svelare con certezza l’uso di insulina, IGF, GH e in generale di tutti quegli ormoni o molecole che sono presenti naturalmente all’interno del nostro organismo e sono di fatto irreperibili con test diretti. A questa difficoltà va aggiunta anche la loro breve emivita (parametro che indica il tempo richiesto per ridurre del 50% la quantità di un farmaco nel sangue, ndr), che è solo di poche ore. Alcune di queste sostanze, però, come ad esempio i fattori di crescita, sono molto difficili da reperire in commercio. Pure l’autoemotrasfusione e le pratiche emodiluenti sono difficilmente rintracciabili agli attuali test.

Recentemente però non è stato “pizzicato” positivo al GH un atleta con un nuovo test?
Sì è vero, si tratta di un rugbista, il 31enne britannico Terry Newton. È stato trovato positivo a un test fuori competizione lo scorso 24 novembre. Ha ammesso l’uso di GH e ha rinunciato alle controanalisi, accettando la squalifica di due anni. Il nuovo metodo che ha permesso di inchiodare Newton è stato elaborato dal medico tedesco Christian Strasburger, ma deve ancora essere perfezionato prima di diventare un controllo di routine. Certo che però rappresenta comunque un forte messaggio sia per gli atleti che pensano valga la pena di rischiare e si apprestano ad usare il GH sia per quegli altri che l’hanno usato fino ad oggi, credendo di restare impuniti. Infatti, una volta messo a punto, il nuovo test potrà anche essere usato in maniera retroattiva sulle provette prelevate in passato e potrebbe portare alla scoperta di altri casi.
Ad esempio, i campioni prelevati durante i Giochi Olimpici Invernali di Vancouver saranno conservate per otto anni e pertanto non è da escludere l’utilizzo del nuovo test per ulteriori analisi su queste provette.

Quindi a breve avremo un test valido almeno per il GH?
Vi sono diverse equipe al lavoro – non solo quella del dott. Strasburger – con l’intento di trovare un metodo analitico valido per identificare il GH. Le complicazioni sono parecchie e sono, in parte, quelle che già citavo. Il GH utilizzato (esogeno) è una molecola umana o ricombinante umana (frutto dell’ingegneria genetica, ndr), cioè praticamente identica al GH prodotto dal nostro organismo (endogeno). Il fatto che il GH sia normalmente prodotto dal nostro corpo rende necessario un metodo che sappia distinguere il GH endogeno da quello esogeno. Inoltre la sua breve emivita renderebbe il GH difficile da ritrovare anche solo a poche ore dall’assunzione. Il GH, poi, non viene espulso tramite le urine, per cui si potrebbe rivelarne la presenza solo tramite controlli sul sangue. Ma il ciclo produttivo di GH endogeno “a cicli”, con picchi di secrezione durante l’esercizio fisico, non rende possibile stabilire un valore costante della molecola nel sangue, e quindi eventuali sbalzi nel valori possono essere ascritti tanto a doping quanto ad un picco di produzione da parte dell’organismo.
Il lavoro degli scienziati si sta concentrando sulla possibilità di determinare alcuni marker del sangue, indicatori di un assunzione di GH. Si tratterebbe di un test indiretto che permette di vedere le alterazioni di alcune molecole presenti nel corpo operate da GH esogeno, se presente, e non da quello endogeno.
Nonostante i buoni risultati, non si è ancora giunti alla stesura di un metodo riconosciuto a prova di errore e per ora non sono ancora disponibili test che possano essere usati con regolarità nei controlli antidoping.

In Spagna nel 2009 è stato approvato un decreto che vieta tassativamente che siano realizzati controlli antidoping fra le 23 della notte e le 8 del mattino del giorno successivo. La motivazione è di garantire il diritto all'intimità e alla vita familiare dello sportivo. Questo però è in contrasto con le norme della Wada che obbliga gli atleti a restare a disposizione per eventuali controlli 24 ore al giorno. È chiaro però che, almeno per queste sostanze irrintracciabili, questo decreto non toglie nulla alla situazione attuale. Concorda?
Sì, ad esempio infusioni endovenose anche di semplici zuccheri o di aminoacidi (comunque vietate dai nuovi regolamenti Wada, come già ho avuto modo di dire) o di qualunque altra sostanza che non sia reperibile con i test in uso possono essere fatte velocemente e facilmente, senza lasciare traccia. Anche nell’arco della giornata: basta chiudersi nella propria camera d’albergo e il gioco è fatto. L’eventualità che vengano a bussare alla tua porta proprio mentre ti stai dopando è molto bassa e anche nel caso succedesse puoi velocemente toglierti la flebo dal braccio prima di aprire. Quindi per questi imbroglioni il rischio vale la candela. Queste tecniche dopanti possono anche essere praticate nel lasso di tempo che va da mezzanotte alle 8 del mattino, ma visto che la possibilità di essere scoperti è bassa anche durante le altre ore della giornata, l’unico vantaggio di farsi una flebo durante la notte è solo psicologico: non si ha assilli o ansie di venire pizzicati con l’ago nel braccio e si può agire con tutta tranquillità.

Quali possono essere invece le sostanze rilevabili con test in uso ma che se assunte nel lasso di tempo che va dalle 23 di notte alle 8 del mattino non sono più rintracciabili?

Non mi risulta che fra le sostanze rintracciabili ai controlli antidoping ve ne siano alcune che non lasciano tracce della loro presenza nell’organismo umano dopo solo 8 ore.
È possibile ipotizzare, secondo lei, uno scenario in cui gli atleti che vogliono ricorrere al doping si sottopongano, subito dopo un test durante un torneo, a “cicli” di trattamento durante i quali rimarrebbero fuori dalle competizioni per 3-4 settimane, per poi tornare ancora più forti? Se sì, come è possibile scoprire chi si comporta in tal modo?
Pura fantascienza!! Abbiamo già detto che sono sottoposti a controlli a sorpresa 24 ore su 24 e infatti in Spagna hanno fatto una legge per non essere controllati almeno la notte.

Quali sono le possibilità che un atleta utilizzi una sostanza non ancora inserita nell’aggiornamento delle sostanza proibite?
Effettivamente la storia ci insegna che il pericolo è proprio che gli atleti professionisti di alto livello, invece dei farmaci noti che sono ben reperibili con i test, si dopino con farmaci di nuova sintesi o ancora nelle fasi di studio clinico, quindi non ancora pronti per la commercializzazione e di conseguenza non noti alle agenzie antidoping, anche avvalendosi della complicità di alcuni laboratori che testano e procurano loro i prodotti dopanti. In questo senso, è stato emblematico il caso del CERA, l’Epo sintetico di terza generazione usato da alcun ciclisti per moltiplicare il numero dei globuli rossi nel sangue e non ancora rilevabile dai test in uso in quel periodo. Il CERA era all’epoca in fase di studio per la cura di pazienti affetti da gravi forme di anemia e con insufficienza renale, come sostituto dell’ormone naturale che non è prodotto dai reni e dal fegato di questi individui. Un altro scandalo clamoroso fu quello della Balco, il laboratorio di S. Francisco che forniva prodotti dopanti agli atleti statunitensi (ma non solo) di spicco. La Balco somministrava ai propri “clienti” il Narboletone, uno steroide anabolizzante utilizzato solamente in alcuni studi di laboratorio negli anni settanta e che non era mai stato commercializzato come prodotto farmaceutico prescrivibile ma era disponibile solo sotto forma di un preparato grezzo venduto esclusivamente ai laboratori specializzati. Inoltre erano riusciti a sintetizzare in laboratorio un anabolizzante sintetico nuovo, il tetraidrogestrinone o THG, unendo due molecole di anabolizzanti, il gestrinone e il trenbolone, in modo tale da crearne una sola del tutto irrintracciabile con i test in uso. La Balco aveva anche modificato in laboratorio la molecola di testosterone per aumentarne la penetrazione in circolo attraverso la pelle mediante una lozione da cospargere su tutto il corpo. Anche in questo caso, nessun tennista è stato coinvolto.

Casi più recenti ce ne sono stati?

Solo sospetti per ora. Ad esempio nel corso delle ultime Olimpiadi di Pechino qualcuno ha parlato di numerosi atleti sfuggiti ai controlli proprio perché i farmaci che hanno assunto per migliorare le proprie prestazioni non sono stati identificati dai controlli standard essendo sostanze non testate sugli esseri umani, ma note per il loro effetto positivo sulle prestazioni degli animali. Ma come dicevo, sono solo ipotesi, nessuna certezza. Si ricorda poi che questi campioni vengono conservati per anni e possono essere riesaminati quando viene messo a punto un nuovo metodo.

Immagino sia ancora più pericoloso usare sostanze ancora in fase di studio o mai sottoposte a studi clinici approfonditi.
Certamente. I farmaci nuovi possono essere somministrati agli esseri umani solo una volta superati gli studi clinici. Non possiamo sapere quali possono essere gli effetti dell’uso di queste molecole nel lungo periodo e pertanto l’atleta rischia moltissimo.

Cos’è il doping genetico?
Per doping genetico si intende il trasferimento di cellule o di elementi genetici all’interno di un individuo allo scopo di modulare l’attività di geni endogeni per migliorarne le prestazioni atletiche.
Il procedimento è quello che è anche alla base della “terapia genica”: si usa un virus (generalmente un adenovirus) da cui sono stati eliminati dal DNA i geni responsabili dell’attività patogena. Il frammento di DNA rimanente, potenzialmente“innocuo”, viene legato con un frammento di DNA dell’atleta che codifichi la proteina di interesse. Il virus così modificato è poi utilizzato per “infettare” le cellule dell’atleta: al loro interno il nuovo DNA virale può, grazie a complessi processi biologici, inserirsi nel DNA della cellula ospite e cominciare a produrre la proteina di interesse, praticamente identica a quella di origine endogena e quindi non identificabile dalle tecniche in uso.
Oltre al trasferimento attraverso vettori virali, ci sono altri metodi di modificazione genetica conosciuti: impianti di cellule staminali, blocco o stimolazione dell’attività genica con anticorpi, recettori solubili, peptidi o piccole molecole. Ovviamente, tale approccio può essere applicato o immaginato solo nell’ambito di proteine che abbiano un significato per il miglioramento delle prestazioni, quali ad esempio l’Epo, il GH, l’IGF-1, la somatostatina, la miostatina (regolatore negativo della crescita muscolare).

È una pratica in uso?
Si sospetta che alcuni atleti abbiano già fatto uso di questo approccio per fini dopanti. A mio avviso però è molto improbabile, visto che sono metodiche in fase di studio su animali o nelle primissime fasi di sperimentazione sull’uomo.
Ad esempio studi preclinici sui topi hanno dimostrato ormai da qualche anno che l’aumento dell’espressione di IGF-1 nel muscolo scheletrico mediato da vettori virali favorisce un incremento della massa e della forza muscolare, così come l’inibizione della miostatina, determina crescita muscolare e diminuzione dei depositi di grasso, come dimostrato in una particolare razza di tori belga “Blue Bull”, che possiede una naturale inibizione della miostatina.
Attualmente poi sono in fase di studio clinico strategie di terapia genica con Epo per il trattamento di gravi anemie, che prevedono l’inserimento in sede muscolare del gene che codifica per l’Epo, con conseguente produzione della proteina qualora si verifichi un anormale diminuzione dell'ossigeno contenuto nel sangue.

Però si diceva prima che sono proprio i farmaci in queste fasi di studio che sono preferiti per doparsi senza essere scoperti. Perché quindi non anche il doping genetico?
Ritengo che ci sia una grossa differenza tra assumere un farmaco e cambiare in modo definitivo il proprio DNA. Quest’ultimo è infatti un procedimento estremamente complesso e rischioso, che potrebbe portare a gravissime conseguenze per la salute dell’atleta. Inoltre non è stato ancora messo a punto per importanti malattie genetiche figuriamoci per fini dopanti. Come ho già detto, ritengo quindi estremamente improbabile che possa essere utilizzato questo approccio per fini dopanti.

Claudio Gilardelli

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Tratto da: On This Day in Tennis History di Randy Walker