Il primo Slam non si scorda mai

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Il primo Slam non si scorda mai

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Racconti australiani di una “giornalista per caso”. Dallo stordimento inziale, passando per la frenesia dell’evento e dalle difficoltà informatiche, ecco il racconto speciale del primo Slam vissuto dall’interno. L’incontro ravvicinato con Mats Wilander, i tic dei giocatori in conferenza stampa, la pulizia di Melboune e la cortesia degli aussie. Fino alla beffa finale…

“Cosa farai di bello a gennaio?” Se alcuni mesi fa mi avessero fatto questa domanda, certamente avrei potuto rispondere che avrei badato alle mie solite cose: dividermi tra la mia famiglia e le varie attività, tra la Francia e l’Italia, che sono diventate, ormai, il mio amato tran tran quotidiano. Ma avrei anche risposto : “Oh, attenzione, comincia l’Australian Open, la notte si va in onda !! “. Ricordo che l’anno scorso passai tante notti in bianco per seguire i match del primo slam dell’anno e, mai e poi mai, avrei immaginato che un anno dopo sarei stata veramente a Melbourne Park.

E quando ci si trova per davvero laggiù, certo c’è eccitazione ma ci si sente anche un po’ storditi, realizzando che la cosa è in fondo abbastanza surreale poiché, per anni, si è guardato un evento come l’Australian Open nello schermo della tv, avendo l’illusione che tutto fosse così vicino quando, in realtà, era tutto così lontano. E poi, non so, credo che lo Slam di Melbourne sia avvolto da un’aura particolare: è innanzitutto il primo slam dell’anno, che fa ripartire alla grande la stagione. Si ha l’impressione che con l’Australian Open la grande macchina del tennis si rimetta in moto; che recarsi in un luogo che è veramente in capo al mondo, con spazi ed orizzonti sconfinati, dove fa un caldo torrido e c’è una luce che ti acceca, sia un po’ la metafora di quello che sarà la nuova stagione tennistica: vibrante, eccitante, colma di sorprese ma inesorabilmente lunga ed estenuante. La cosa veramente straordinaria è viverlo dal di dentro. Partecipare, seppur in minima parte, al suo ingranaggio infernale ma esaltante potendo, nel nostro caso, imparare sempre meglio (almeno spero!) a scrivere di tennis, grazie anche al fatto di trovarsi a contatto con alcune delle personalità più talentuose del giornalismo italiano e internazionale.

La cosa più complicata di uno slam però è seguirne la “frenesia”. Infatti, per due settimane il cuore batte al ritmo dello “schedule”: incontri che iniziano, finiscono e ricominciano, e finiscono di nuovo e ancora ricominciano; giocatori che vanno e vengono, si allenano, disputano match, perdono e…non li vedi più. Altri invece vincono, e vincono, e ancora vincono e quindi fanno l’andirivieni dai campi alla conferenza stampa. E allora, inutile nasconderlo, si è impazienti di iniziare la giornata insieme ai nostri “idoli” (o quasi): ci si sveglia la mattina e si pensa innazitutto all’andamento dei match che stiamo per andare a seguire: “Oh dio, Roger non farà scherzi, non avrà il suo misterioso blackout? Come starà il ginocchio di Rafa? E Francesca, non farà mica le bizze? No, beh, con la Oprandi non dovrebbe aver problemi…” Poi le risposte, in campo, sono tanto annunciate quanto sorprendenti (ma, si sa, il tennis è così).

Dopodiché, passato il momento della tensione agonistica e dell’exploit tecnico, per la prima volta possiamo osservare il giocatore sotto una luce diversa… che è quella della sala stampa. E lì…ecco che altre sorprese stimolano, giorno dopo giorno, la curiosità dell’inesperto reporter : infatti il tennista appare un po’ più “umano”, con i suoi tic, le sue “coquetterie”, le posizioni sulla sedia, i suoi atteggiamenti quando parla, umile o presuntuoso, autoironico o glaciale. E ci si chiede: “Come sarà oggi Nadal mentre risponde ai giornalisti? Dedicherà tutta l’attenzione alla bottiglietta vicino al microfono? Che colore sfoggerà Roger? Maglietta rossa o maglietta verde? La Sharapova sarà sorridente oppure dura come il diamantone che non manca di infilarsi al dito non appena termina la sua partita (e che, mentre lei parla gesticolando, ti acceca quasi più del sole di Melbourne)? La Wozniacki ci racconterà una delle sue storielle sui canguri? Si capirà qualcosa dal parlottare ciondolante di Murray?”. Tutto questo bel programma dura così dal primo fino all’undicesimo giorno circa (infatti le ultime giornate diventano più calme dal numero ridotto dei match), si arriva in sala stampa tra le 9 e le 10 del mattino e si ritorna in albergo alle 2 di notte circa.

Già perché, la sottoscritta, “giornalista per caso” che si avventura per la prima volta in uno slam, non aveva ben realizzato fin da subito tutto quello che ci sarebbe stato da fare. E soprattutto, è stata confrontata alla tecnica informatica della quale, neanche a farlo apposta, non era a conoscenza come si dovrebbe. E allora: “Sai, ci sarebbero i testi da inserire, pubblicarli sul sito; bisogna inserire gli audio, gli screenshot, seguire il live, creare il box per l’articolo, ecc.”. Sembra una cosa da nulla e… invece, vattelapesca ! (meno male che c’era Daniele !) Comunque, dal buio pesto dei primi giorni, piano piano si comincia ad acquisire un barlume, una vaga idea di tutti questi bei grattacapi (no, gli screenshot non so ancora inserirli… ma pazienza).

E poi, stai seguendo tranquillamente allo schermo della sala stampa la semifinale choc tra Djokovic e Murray e, ad un tratto, chi si siede a pochi passi da te per seguire il match? Oh, semplicemente Mats Wilander che, con la naturalezza più grande del mondo ti saluta con un allegro “Hi !” come se ti avesse sempre conosciuto. E, guardando lo schermo sopra il desk e ciondolando tranquillo sulla sedia, ancora un po’ affaticato dopo il brutto incidente subìto alcuni giorni prima, commenta distrattamente tra sé e sé quello che sta succedendo nella Rod Laver Arena. Lo osservi con discrezione e pensi che, quel signore dagli occhi verdi, che sembra ancora un ragazzo, in fondo non così alto e magrolino, a 17 anni e 9 mesi ha vinto il suo primo Roland Garros. E fin qui va bene. Ma poi pensi che, per di più, nella semifinale contro Clerc, sul matchpoint a proprio favore, ha dato il punto all’avversario, la cui palla invece era già stata decretata out dall’arbitro! E allora si è ancora più felici di essere seduti accanto a lui!

E poi, per chi vi scrive, l’Australian Open è stato lo slam della gentilezza (esagerata, a volte, da sfiorare la melassa: infatti i “Sorry”, gli “How are you?” e i “Lovely to see you” si sprecano). Ma, soprattutto, è stato lo slam della grande pulizia. In quindici giorni, soprattutto nei viali, sui prati e sulle scalinate di Melbourne Park, mi sarà capitato sì e no due volte di vedere una cartina per terra. Non parliamo di lattine, sacchetti o pezzi di cibo gettati impunemente a terra da consumatori incivili: non ve n’è traccia! Eppure il pubblico è numerosissimo e, ogni giorno per due settimane, sono migliaia le persone che frequentano Melbourne Prak. Caro pubblico latino, impara dagli australiani !

E poi non vi dico lo stordimento di trovarsi a pochi metri dal trofeo (che noi non toccheremo mai !) del torneo femminile. Sembra una cosa da niente ma, in realtà, quando capita di trovarsi nella stessa stanza con la coppa di uno slam?! Vista da vicino, poggiata sul tavolo della sala stampa, si rivela effettivamente in tutto il suo splendore, alta e luccicante, dal design elegantissimo. E, per di più, quest’anno vale doppio, simboleggiando l’accoppiata vittoriosa per la graziosa Vika (vittoria slam e prima posizione mondiale) che, raggiante, ci spiega come il suo sogno sia diventato realtà.

Invece, ahimé, il trofeo maschile non lo vedremo mai. E già, perché un destino alquanto crudele ha decretato che quella dell’Australian Open 2012 doveva essere la finale slam più lunga della storia. Infatti, con grande ottimismo, colei che vi parla e altri due colleghi, avevano scelto l’aereo del ritorno delle 3h40 del mattino, dopo la finale maschile. Quando si è trattato di prenotare, in dicembre, si era pensato: “Figurati, quando mai, la finale, anche se va in 5 set, non durerà più di tre-quattro ore. Avremo comodamente il tempo di goderci il match e poi, dallo stadio, c’è la transportation che ci porta all’aeroporto”. Ebbene no. Djokovic e Nadal non la pensavano così. Hanno dato vita ad un evento straordinario, regalandoci un match inesorabile, drammatico, titanico e…infinito! All’una di notte, presi dallo sconforto, a pochissimi giochi dalla fine, perdendo ovviamente anche la premiazione e relative conferenze stampa, siamo partiti dalla Rod Laver Arena. Ma è stato ancora più sconfortante arrivare all’aeroporto e scoprire che l’aereo per Kuala Lumpur aveva ben 3 ore di ritardo ! Il motivo? Non lo sapremo mai. Nella transportation che ci portava verso il nostro viaggio di ritorno, la simpatica e pacioccona autista australiana ci ha acceso la radio e, in religioso silenzio e col fiato sospeso, abbiamo così “assistito” al trionfo di Djokovic che comincia alla grande il 2012. Dietro di noi le luci di Melbourne Park si facevano sempre più fioche e una sottile pioggia, che non era mai caduta in quindici giorni, sembrava voler sottolineare che la bella avventura stava finendo. Ma non importa. In realtà, continuerà sempre un po’ dentro di noi. Un po’ come il primo amore che, anche se non resterà il solo, non si scorda più.


TABELLONI TORNEI: ATP - WTA


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