Intervista a Federico Buffa: "Adoravo Nastase, Open di Agassi è un capolavoro"

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Intervista a Federico Buffa: “Adoravo Nastase, Open di Agassi è un capolavoro”

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Federico Buffa alla presentazione del libro su Sara Errani
 

TENNIS – Intervista al più grande narratore sportivo contemporaneo, Federico Buffa, che ci ha raccontato delle scarpe di Adriano Panatta, della passione per Ilie Nastase, John McEnroe e anche per Roberta Vinci. Il tutto con il consueto stile unico nel panorama del giornalismo sportivo

Federico Buffa ormai sta diventando un fenomeno mediatico che va oltre la televisione grazie al successo dei suoi racconti sui Mondiali di calcio (vedere Youtube per credere) e anche se la serata di Lunedì allo Yard Club di Milano era dedicata al libro di Sara Errani “Excalibur”, è stato di fatto lui l’ospite d’onore ed è stata proprio Sara la prima ad ammetterlo.

Ubitennis è riuscito a prenderlo in disparte e ha approfittato della sua disponibilità, appena tornato dal Brasile, per chiedergli quale sia il suo rapporto col nostro sport. Come sempre le sue risposte sono state tutt’altro che banali, a partire dalla sua infanzia nella casa di campagna fino al suo apprezzamento per il tennis old-school di Roberta Vinci per quanto riguarda l’attualità.

Qui di seguito trovate l’audio integrale e il meglio delle sue risposte in forma testuale:

1a Parte:

2a Parte:

 

Ti abbiamo sempre visto impiegato negli sport di squadra, qual è invece il tuo rapporto col tennis che è un mondo completamente diverso?

Fino ai 25 anni è stato il mio secondo sport. Il Basket era quello a cui avrei voluto saper giocare ma ci riuscivo poco. A calcio ho giocato fino ai 10/12 anni e poi l’ho ripreso più tardi. Nel periodo che va fino ai miei 25/30 anni ho giocato a tennis tanto perché avevamo il campo da tennis nella casa di campagna.

Che cosa distingue questo sport dagli altri che poi hai seguito nella tua carriera?

E’ nettamente il più difficile di tutti, perché è il più complesso a livello mentale, come ha spiegato benissimo Sara (Errani) stasera, non c’è un altro sport con un simile dispendio psichico. Il dover capire chi hai davanti, come una partita può cambiare in un istante. Oggi Sara mi raccontava come a volte basti il primo scambio del secondo set per far capire all’avversaria che la partita stava cambiando padrona. Il pendolo oscilla in modo molto più rapido rispetto a tutti gli altri sport.

E’ dovuto al fatto che non c’è contatto fisico?

Sì, ma ce n’è molto psichico. E comunque non è del tutto vero che non c’è contatto fisico perché la potenza o la consistenza della palla che ti arriva racconta della forza fisica del tuo avversario.

Qual era il modello tennistico di Federico Buffa?

Ho comprato delle oscene scarpe “Forte” solo perché le indossava Adriano Panatta e lui qualche anno fa, nel corso di una trasmissione, fece uno sketch uguale alla pubblicità degli anni ‘80 in cui giocava la solita “veronica” e diceva: “Scarpe Forte: so’ la base del mio gioco”. E’ stata l’unica volta in cui ho comprato delle scarpe solo per il testimonial; nemmeno le “Air Jordan” ho mai comprato. Certo che le scarpe erano veramente modeste.

A giudicare da come hai parlato del libro di Sara sembra che tu sia molto informato sull’attualità del tennis… Chi ti piace guardare?

Non mi sembrava giusto dirlo dato il contesto, ma mi piace vedere giocare Roberta (Vinci) perché è una giocatrice d’altri tempi, cioè di quando giocavo io. Il mio giocatore preferito di sempre è Ilie Nastase, lui era il mio tipo di giocatore; cioè uno di quelli che su una palla break ti gioca un colpo che gli altri nemmeno immaginavano. Questa è una cosa che manca un po’ in tutti gli sport attualmente, cioè si è persa quella “follia” che avevano i giocatori degli anni ’60-’70 che erano maledettamente divertenti perché erano fuori dal contesto, come George Best nel calcio.

Forse perché lo sport è diventato scienza?

Beh sì, c’è una componente scientifica, di alimentazione, di preparazione fisica e di robustezza che ti porta a giocare in modo diverso. Quindi l’idea del giocatore “vintage”, che riesce ad essere efficace in un contesto oggettivamente diverso, su di me ha grande fascino perché io provengo da quell’epoca e se si vede giocare Roberta è impostata come venivamo impostati noi negli anni ’70, cioè col dritto in un certo modo, lo slice che adesso non gioca più nessuno e lei li gioca nel mondo contemporaneo. L’abbraccerei!!

C’è ancora posto per un John McEnroe nel tennis di oggi?

Ecco, solamente per come giocava la sua seconda, era una seconda offensiva per il resto dei giocatori. Si permetteva delle cose che gli altri non giocavano nemmeno con la prima. Aveva perfettamente ragione il grande Beppe Viola che diceva “37,5 di febbre a vita in cambio della seconda di McEnroe”.  Lui secondo me centra e chiude un’era di giocatori di tennis che è molto difficile riavere oggi.

Qualche collegamento tra basket e tennis?

Mi piace pensare a Sara come a Marco Belinelli; più le viene detto che non ce la farà, più lei ci mette qualcosa in più. Lei ascolta tutte le critiche che vengono anche dai social networks e mezz’ora prima della partita le va a cercare per motivarsi.
Lei non lo vuole dire apertamente, ma credo che il fatto di aver giocato così bene in doppio, un tipo di gioco che nessuno le aveva mai ascritto, la renda orgogliosa; nemmeno Barazzutti ci credeva che sarebbe venuta fuori una giocatrice di volo così, che avrebbe potuto tenere una prima così lucidamente piazzata, che potesse giocare anche serve&volley quando era sempre stata considerata un “muro” biondo.
Penso che per lei sia una vittoria che va anche al di là dei numeri e dei soldi perché ci ha creduto sempre.  Quando Barazzutti dice che era costretto a farla giocare in Fed Cup, poiché era convinta di saper giocare il doppio e alla fine ha sempre ragione lei.

Quindi la strada per il successo è sempre legata all’ossessione?

Beh, credo che nello sport se non si è ossessivi si faccia meglio a stare a casa propria. Tutti i grandi dello sport, da Muhammad Ali a Michael Jordan lo sono stati. Per citarne uno che ho amato tanto, Alessandro Costacurta mi diceva che Marco Van Basten non accettava di perdere in nessun gioco, nemmeno a “carta più alta”. E‘ proprio una malattia quella di dover vincere, il rifiuto della sconfitta. Io ho tante ossessioni, ma quella proprio non l’ho mai avuta.

Come diceva lo stesso McEnroe: “Non è che mi piacesse vincere, è che odiavo perdere”.

Esatto, che è proprio il caso di Sara. Se la prende con sé stessa; se si potessero leggere i suoi labiali e si potessero sentire le cose che Sara dice a sé stessa, ci si accorgerebbe che non accetta di sbagliare, diventa quasi offensiva nei suoi confronti. Ha questa forza che si autorigenera, il che spiega anche perché vinca così tante partite in rimonta, mettendo le partite sul piano che vuole lei, con giocatrici che vorrebbero giocare in un altro modo. Quando finisci nel fango con lei, alla fine è lei a spuntarla.

Come ti spieghi il successo del libro di Andre Agassi?

E’ molto semplice: perché è la cosa più bella di sport scritta negli ultimi vent’anni, basket escluso per mia deformazione professionale. Non è nemmeno questione di essere appassionati di tennis perché è un libro di vita. Lui è eccezionale nel capire che cosa deve dire di sé che possa essere compreso o esplorato da altri. Non è la solita autobiografia del campione alcolizzato che alla fine spiega come ne è uscito. E’ molto più sottile, ha dei rivoli di pensiero che ti obbligano a leggerlo. Sampras manca tanto agli americani perché era un bianco vincente che adesso non c’è più, ma non era lo stesso tipo d’uomo.

Sentiremo mai un “racconto” tennistico di Federico Buffa?

No, quello è meglio farlo fare a quelli che il tennis lo sanno descrivere. Secondo me una storia viene descritta meglio da chi ha un rapporto “fisico” con il gioco di cui si sta parlando. Me l’avessi chiesto venticinque anni fa probabilmente avrei detto sì. Oggi non me la sentirei, anzi quasi mi vergognerei.

Quindi per raccontare uno sport bisogna averlo giocato?

Più che altro devi averlo nella tua ciclicità, anche se non lo giochi, lo immagini. Io non ho mai giocato a basket ad alto livello, ma se vedo una partita me la gioco contemporaneamente a loro oppure ho un apprezzamento per qualcosa che credo di aver visto. Se non puoi raccontarla perché l’hai pensata, secondo me lo spettatore si accorge che manca qualcosa anche se è detta bene.

Dopo l’esperienza ai Mondiali ti risentiremo nelle telecronache NBA su SKY?

Non credo, ma non dipende solo da me. Il mio rapporto con Sky termina ogni 30 giugno, quest’anno dieci giorni dopo, e poi loro ogni anno mi fanno una proposta. Bisogna vedere cosa hanno in mente loro, comunque credo che sia improbabile che mi chiedano di fare basket.

Una domanda su LeBron James, il suo ritorno a Cleveland; quanto te lo aspettavi e come lo accetteranno a Cleveland?

Sì, me lo aspettavo e ogni volta che farà alzare la saracinesca di un negozio a Cleveland durante le partite i commercianti ci guadagneranno da 500 e 15.000 dollari a sera. Questo per 41 partite, più prestagione ed eventuali playoffs.
LeBron sa perfettamente che in un momento di depressione di una certa parte degli Stati Uniti, di cui Cleveland fa parte, l’idea di riportare i soldi nella sua città e di farlo da protagonista è una sfida per lui di grande fascino.
Prima che arrivasse lui, a Cleveland non andava nessuno e ora che ha vinto a Miami ritorna per cercare di fare ciò che sembrava impossibile: vincere il titolo NBA nella città più sbagliata essendo ancora il miglior giocatore della Lega. Se dovesse riuscirci sarebbe un’impresa che lo metterebbe oltre l’immortalità.

Sempre parlando di basket, Kobe Bryant, dopo l’infortunio al tendine d’Achille e la successiva ricaduta sul ginocchio a trentasei anni, che rendimento può ancora offrire?

Dopo un infortunio del genere a questa età è impensabile che torni il giocatore che era, ma lui vi direbbe che, essendo la miglior “testa di basket” nell’NBA, sarà ancora in grado di fare la differenza. Lui conosce gli schemi offensivi per tutti i ruoli, anche quelli che dove non gioca, ed è in grado di “interrogare” i compagni a riguardo. E’ chiaro che ha vissuto tutta la vita in una Lamborghini e adesso sa anche lui che non sarà più così.

Un’ultima domanda sul tennis per chiudere il cerchio. Roger Federer si trova in una situazione simile a quella dello stesso Kobe Bryant, la pensione è sempre più vicina e i dubbi su di lui aumentano; meglio ritirarsi adesso al top o continuare finché si diverte?

L’estetica di Federer è stata per un periodo una delle vette dello sport mondiale, ancora prima dei numeri che già facevano il loro. La sua eleganza era proprio da vedere. E’ stato per un periodo il “principe” dello sport mondiale. Certo che mantenere quell’efficacia insieme all’estetica per un periodo così lungo in un sport singolo è veramente faticoso.
In uno sport di squadra ci sono dei momenti della stagione dove si può rallentare in attesa delle partite importanti perché i tuoi compagni ti possono aiutare.
Nel tennis questo lusso non c’è anche perché il sistema del ranking basato sui risultati dell’anno precedente è particolarmente perverso in termini di aspettative. Questi campioni del tennis hanno una longevità, in relazione a quello che spendono sia in termini mentali che fisici, davvero mostruosa.

Ringraziamo ancora Federico Buffa per averci concesso questa intervista.

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