SuperSaturday 1984, il padre di tutti i sabati

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SuperSaturday 1984, il padre di tutti i sabati

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TENNIS RACCONTI – Trent’anni fa, per la precisione l’8 settembre 1984, Flushing Meadows viveva la più straordinaria giornata di tennis della sua storia, esaltando la bizzarra trovata del Super Saturday degli Us Open. Lendl, Cash, Navratilova, Evert, McEnroe e Connors hanno emozionato il pubblico del Louis Armstrong per più di 10 ore, affermando, ancora una volta, la propria leggenda.

Questa è la storia del sabato dei sabati, di quella giornata di trent’anni fa che costruì la leggenda del Super Saturday di Flushing Meadows. Siamo nel 1984, si gioca la settima edizione dell’Open degli Stati Uniti nel complesso del National Tennis Center di New York; qui lo Slam americano si è trasferito nel 1978, abbandonando il glorioso, mitico stadio di Forest Hills e con esso la terra verde, l’“har-tru“, che dal 1975 al 1977 era stata messa sotto i piedi dei giocatori al posto dell’erba secolare. Adesso è il cemento grigio-verde la superficie degli Us Open. Flushing: cemento, rumore, rombi assordanti di aerei che distraggono i giocatori, pubblico indisciplinato, ma anche, o forse proprio per questo, un’atmosfera unica, elettrizzante. Da alcuni anni le fameliche televisioni americane dettano legge sul torneo e i suoi orari. Tra le altre imposizioni, hanno voluto un sabato ben diverso da quello degli altri Slam, un sabato capace di offrire spettacolo per molte ore, non certo per le due-due e mezza, quando va di lusso, di una finale femminile. Il programma, incredibilmente, prevede la prima semifinale maschile, la finale femminile, la seconda semifinale maschile. Poco importa a lor signori se il pomeriggio successivo è possibile che uno dei due finalisti scenda in campo esausto dopo aver magari terminato la sua fatica il sabato sera verso mezzanotte. Eppure va riconosciuto che il sabato super, il super saturday di Flushing Meadows, recentemente abolito, è diventato per molti anni una peculiarità bizzarra ma emozionante dello Slam più folle. Nel 1984 però, il super saturday, è stato qualcosa di più e di diverso.

E’ l’8 settembre, una gran bella giornata di sole sullo storico Louis Armstrong, l’originario campo centrale del complesso del National Tennis Center, l’avo, non certo modesto, dell’immenso Arthur Ashe su cui si giocherà solo dal 1997. Poco dopo le 13 scendono in campo il numero due del mondo, Ivan Lendl, e il ragazzo di belle speranze australiano, Pat Cash. Siamo nell’anno in cui John McEnroe insegue la perfezione. Due soli i match da lui ceduti fino adesso: una giornata di distrazione con il tennista-attore indiano Armitraj a Cincinnati, mentre l’altro gliel’ha sottratto proprio Lendl a Roland Garros, nella finale che impedirà per sempre a Mac di toccarla, la perfezione, dopo averla sfiorata. Questo Cash ha la giusta faccia tosta, il serve and volley nel sangue, lo scatto di un felino nei pressi della rete. Aggiungete che Lendl è sempre un po’ lento a carburare e il gioco è fatto, 6-3 per il baby canguro nel primo set. Ivan si scalda, e macina il secondo ed il terzo set, 6-3 6-4 per l’ancora cecoslovacco. Verso la fine del quarto set il livello del gioco si alza vertiginosamente. Sul 6-5 per Cash, Lendl serve, ma è nei guai, 15-40, due set point Cash. Nulla da fare, Lendl si salva. Si va al tiebreak, nel quale un Cash arrembante va 3-1 e poi 5-3. Poco dopo è 5-5. A questo punto non è il ragazzotto a sentire la tensione, ma Lendl! Due suoi gravi errori consegnano a Cash il set, si va al quinto dopo 2h.35′! Ma lo shock-Lendl continua, due doppi falli e Cash avanti di un break. Nel game successivo però il numero due del mondo si riprende il break appena ceduto. E dal quel momento si va avanti, con momenti di spettacolo fantastico, come solo il contrasto di stili tra chi scende e vollea con maestrìa e chi risponde e passa magnificamente sa offrire. Piatto prelibato, oggi scomparso dai menù. Sul 4-5, 30-40, il teenager aussie si trova di fronte un matchpoint, ma non fa una piega, serve bene e Lendl risponde in rete. Poco dopo è 5-5, in un’atmosfera sempre più incandescente. Non contento, Cash strappa il servizio a Lendl con un passante in corsa. Adesso sul 6-5 in suo favore, ha l’occasione più preziosa della sua giovane carriera. E’ un game magnifico, che vede Cash prima salvare un break point con un servizio al centro e poi andarsi a prendere il matchpoint con una voleè di dritto. Ed è a rete che Cash si presenta, nello scambio-simbolo di questo sabato leggendario: Lendl è schiacciato nel suo angolo destro, la sua fine è questione di qualche secondo. Ma non arriverà, perchè il suo lob liftato di dritto sorvola l’incredulo Cash e atterra sulla riga di fondo. Poco dopo l’incredibile salvataggio Lendl si prende il game. E’ 6-6, e a Flushing è la roulette russa del tiebreak a decidere il set finale. E qui, nonostante un’accanita resistenza di Pat, Lendl vola 6-4 con un rovescio splendido. Il sogno per il ragazzo si spegne insieme alla sua voleè di rovescio in rete. Lendl guarda il mentore Fibak come un sopravvissuto a un naufragio dopo aver toccato terra, mentre Cash scaglia la racchetta tra la folla, lo aspetteranno 2000 dollari di multa. Alle 16.53, dopo 3 ore e 40 minuti termina il match, solo il primo piatto per i 20000 dell’Armostrong che, ancora non lo sanno, oggi rischieranno l’indigestione.

E’ ora il turno delle signore, le due grandi dominatrici del circuito ormai da anni. Chris Evert e Martina Navratilova. Martina, dopo i travagli della fuga dal suo paese di origine, le paure, i complessi, la scarsa forma fisica, è diventata la regina assoluta, con il suo tennis meraviglioso, connubio del suo immenso talento offensivo e della sua potenza fisica. La professoressa Evert ha dovuto a malincuore farle posto, accontentarsi del ruolo di numero due. Quando quel pomeriggio scendono in campo per la loro terza finale Slam dell’anno, il bilancio della loro rivalità parla di 30 vittorie a testa, ma sono ben 12 volte ormai, le ultime 12, che Chris esce dal campo sconfitta. Ha perso netto a Parigi, ha lottato un set e poi ceduto anche a Wimbledon. Nella sua mente si è fatto strada il complesso-Martina, come ammetterà successivamente. Ma sul centrale di Flushing Meadows desidera con tutte le sue forze ribellarsi. E infatti vince il primo set, 6-4, giocando passanti di rovescio di fantastica perfezione geometrica. Ma, a differenza di quanto spesso è accaduto ed accadrà in futuro, sono i suoi nervi a cedere, non quelli di Martina. Questa volta è Chris a essere paralizzata. “Ero semplicemente terrorizzata, mi mancava il respiro per l’emozione, tanto volevo quella vittoria“, ricorderà l’allora signora Lloyd in una lunga intervista pubblicata anche sulla rivista italiana “Il tennista“. Martina irresistibile, conduce le danze sia nel secondo che nel terzo set, respingendo sul 5-4 in suo favore nel secondo una palla del 5-5 per la Evert, e sul 3-2 del terzo una del 3-3. Alla fine trionferà, 4-6 6-4 6-4, in una delle più belle finali della storia di Flushing Meadows, un’enorme felicità per lei, un dramma per Chris; inquadrata a fine match dalle telecamere, si chiede: “Cosa faccio mi controllo e mollo il solito sorriso d’occasione o mostro veramente ciò che ho dentro?“ rivelerà di essersi chiesta la Evert…“Per la prima volta nella mia carriera mi sentivo veramente distrutta e lasciai che quel cameraman giocasse con il mio volto ed i miei sentimenti. Non mi importava più di nulla“.

Se il dramma finale di Chris chiude una pietra miliare della storia della rivalità Evert-Navratilova, non conclude invece questo sabato indimenticabile. Manca “solo“ la seconda semifinale, Mac con il vecchio Jimbo Connors, che è pur sempre il detentore del titolo e che è disposto a farsi torturare pur di non cederlo. I riflettori illuminano ormai il catino del centrale quando i due fenomeni cominciano a darsela di santa ragione. Gli scambi sono spesso spettacolo puro, il genio del gioco di volo contro un mago assoluto nel rispondere e nel passare. Al 6-4 di Mac risponde il 6-4 di Connors. Il terzo set è follemente combattuto e meraviglioso e quando McEnroe alle 21.47 lo chiude 7-5, il destino del match appare segnato. Ma il pubblico e Mac non hanno fatto i conti col vecchio Connors. Indomito, vola 5-2 nel quarto set con due break di vantaggio. Ma riuscirà a chiudere alla fine solo per 6-4 con grande fatica. Forse proprio in questo modo ha speso le ultime gocce di benzina. E infatti si arrenderà sì Jimbo, ma solo alle 23.15, più di 10 ore dopo l’ingresso in campo di Cash e Lendl, cedendo esausto 6-3 al quinto ad un fenomeno come lui, ma di 7 anni più giovane. Più tardi, nel salone giocatori, dicono alcuni testimoni, il vecchio leone si mostrerà insolitamente calmo, quasi sereno. Si intrattiene con un gruppo di giornalisti. Mac, che uscito dagli spogliatoi ha fretta di guadagnare l’uscita, non può trattenersi dall’osservarlo un attimo. Lo guarda, non dice nulla, ma il suo sguardo rivela una certa ammirazione. Poi scappa. L’indomani, alle 16, una finale Slam lo aspetta. La dominerà. Ma sarà anche l’ultima, purtroppo.

Luca Pasta

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