Che Bellis! Baby record spazza via Cibulkova (Martucci). Fabio-Flavia, vittorie per l’appuntamento (Azzolini). Maria sfida le simulatrici: "Time out a pagamento" (Semeraro). Il pomeriggio più italiano di Fabio, Flavia e Paolo (Giua).

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Che Bellis! Baby record spazza via Cibulkova (Martucci). Fabio-Flavia, vittorie per l’appuntamento (Azzolini). Maria sfida le simulatrici: “Time out a pagamento” (Semeraro). Il pomeriggio più italiano di Fabio, Flavia e Paolo (Giua).

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Che Bellis! Baby record spazza via Cibulkova (Vincenzo Martucci, Gazzetta dello Sport)

Gli Slam raccontano sempre una favola, se non di più. Questa è la volta di Catherine «Cici» Bellis, «la nuova Evert», la 15enne di casa America che, al primo tabellone principale pro, sbatte fuori clamorosamente la numero 13 del mondo, Dominika Cibulkova. Parliamo di una bimba con l’argento vivo addosso, una che tira qualsiasi colpo come facevano le bambine prodigio da Monica Seles a Jennifer Capriati, da Martina Hingis a Maria Sharapova: lampi straordinari che accendono all’improvviso la scena, ed abbagliano tutto il resto con la loro straordinaria semplicità. Parliamo di un fenomeno che, dopo aver bruciato le tappe giocando sempre con le più grandi, con 18 successi su 18 match sta sbaragliando la scena under 18, vincendo anche il trofeo Bonfiglio di Milano. Una bella ragazzina nata l’8 aprile 1999 ad Atherton, California, targata appena 1208 dalla Wta, che s’è guadagnata la wild card a New York dei grandi vincendo i campionati nazionali Usa under 18 e che dà spettacolo come una veterana, caricando il pubblico, volando il primo set, rimontando da 3-1 sotto al terzo, col, coraggio e la sfrontatezza che si hanno solo a quell’età. Alt».

Victor Estrella Burgos, il domenicano che vince il primo match nei Major a 34 anni (80 del mondo), rimontando un set e un break a Igor Sijsling e scrivendo così una pagina memorabile nella storia tennistica del suo paese, viene quindi offuscato. Come uno dei talenti giovani più promettenti ed eclatanti, il croato Borna Coric (204 Atp), che ha esattamente la metà dei suoi anni, 17, ed è il più giovane degli Us Open, insieme alla wild card di casa, Jared Donaldson, così come il sudamericano è il più anziano, come l’altra wild card, il francese Llodra. Il risultato del velocissimo ragazzino di Zagabria, che ad Umago si era arreso ai crampi, e a Fognini, nei quarti, è ancor più eclatante: 6-4 6-1 6-2 contro il neo numero 29 del mondo e campione di Winston Salem, Lukas Rosol. Così come il suo potenziale, col biglietto da visita di numero 2 del mondo juniores (dietro Zverev), vincendo gli Us Open di categoria 2012, vincendo l’anno scorso sulla scena Future, vincendo anche in coppa Davis, contro il ben più esperto Janowicz.

Le favole oscurano in fidanzati d’Italia, Flavia e Fabio, he passano al secondo turno coi 28 gradi pregni di umidità di Flushing Meadows. Lì dove fino al 1976 c’era la più grande discarica di New York e adesso c’è un progetto di restyling da 500 milioni di dollari, coi due campi principali con tetti retrattili nel 2018. Fabio Fognini è troppo più forte di Golubev, il russo/kazako transitato da Bra: «Sto giocando anche meglio sul cemento che sulla terra, ma 11 avevo la tensione dei quasi 1000 punti da difendere in classifica». Flavia Pennetta la spunta di forza, stroncando Julia Goerges. E Paolo Lorenzi domina il giapponese Nishioka (18 anni, promosso dalle qualificazioni) costringendolo al ritiro nel terzo set, e sfatando il tabù primo turno Slam dopo 13 ko. Anche Roberta Vinci e Sara Errani sono al secondo turno (…)

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Fabio-Flavia, vittorie per l’appuntamento (Daniele Azzolini, Tuttosport)

La coppia va in campo assieme, altrimenti che coppia sarebbe? È successo a Parigi, più volte a Wimbledon, ora anche qui, a Flushing Meadows, che è terra per uomini duri come dicono e amano pensare gli americani, e non per zuccherosi altarini da educande. Stessi orari e campi vicini, per la serie due cuori e un impianto da tennis; seppure esagerato come questo dei Laghi Scintillanti Difficile dire se gli organizzatori partecipino alle sorti del vincolo tennistico di Flavia Permetta e Fabio Fognini, favorendo orari comuni. Così fosse, la quotidiana stesura del programma dovrebbe tenere conto di svariati altri intrighi sentimentali, e non solo quelli in corso. Sarebbe carino, e anche un po’ ruffiano. Dunque atteniamoci ai dati di fatto, quelli che hanno preso forma fra i campi 5 e 11, lontani sei rivendite di pirla, tacos e buffalo wings l’uno dall’altro.

Il match d’esordio di Fognini era di fatto un derby. Andrey Golubev, russo di nascita, kazako di passaporto dopo la campagna acquisti sostenuta dal riccone Bulat Utemuratov, appassionato di tennis con la voglia di creare una forte compagine del Kazakhstan, ma come tutti i ricchi affatto disposto ad attendere che il Tempo e Madre Natura introducessero geni tennistici nel dna del suo popolo, Andrey, dicevamo, è di fatto italiano. Cresciuto da noi, a Bra, fra gli insegnamenti di Massimo Pucci che lo hanno sospinto fino all’anno scorso, per poi lasciarlo libero di gestirsi come meglio crede. Ottimo davisman, piede veloce, intelligente nel cogliere gli altrui affanni, Andrey ha portato con sé, sul campo, tutte le personali osservazioni sul gioco di Fognini, preferendo aggredirlo sul rovescio (com’è doveroso fare) e cercando di sottrargli decimi preziosi alle ribattute (com’è invece pericoloso tentare). Gli è andata bene per i primi 4 game, con i quali ha tenuto botta ai colpi più lunghi e sapienti del nostro, poi la sua stessa fretta l’ha portato fuori giri, finendo per ingolfarlo in una ripetizione, sempre più costernata e ammanta, del solito errore, sbilanciandosi sulla botta di dritto che sarebbe dovuta risultare conclusiva e finendo immancabilmente una spanna oltre la riga. Fognini ha lasciato fare. Ha avuto da ridire con l’arbitro nel 1° set, per una palla concessa, a suo dire con sorprendente cecità, al servizio di Golubev; ma non è questo (quanto meno, non sembra…) il Fognini che ha in odio se stesso e il suo tennis, il Fognini destinato a implodere contro l’universo mondo solo per il disgusto di non essere, lui per primo, all’altezza delle sue stesse aspettative. E un Fognini calmo, si direbbe placido, che ha superato senza nefaste conseguenze la trafila di delusioni subita nei tornei centrali della sua stagione, quel trittico Stoccarda-Amburgo-Umag che un anno fa lo aveva consegnato fra i primi 20 al mondo. Ne ha preso atta e forse ha capito che per uscirne non poteva permettersi di fallire in America. Il tabellone lo mette a proprio agio per altri due turni. Forse sino a Federer.

Ben più complessa la prova che attendeva Flavia, opposta a una tedesca che per misure fisiche e facilità di colpi potrebbe essere fra le prime del mondo, se solo avesse capito a che cosa servono quelle righe bianche tracciate per terra. Julia Goerges, 1,85 abbondanti, polpacci svelti alla Graf è in formato doppio una Camila Giorgi, irresistibile quando mette la palla in campo, capace delle più cupe e terribile auto-ritorsioni quando i colpi prendono traiettorie insospettabili, pure in direzione del campo accanto. Una che tira termosifoni, dice Flavia, e lo fa con una violenza che somiglia a sfogo. Così, molto ha sofferto la Penna, nel trovare il giusto andazzo fra i colpi da piazzare e quelli da evitare, per di più col gravame della semifinale 2013. Flavia ha colto il set d’avvio alla prima occasione, e ha mollato il 2° per non rischiare di finire impallinata. Nel terzo ha preso rapida il largo (…)

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Maria sfida le simulatrici: “Time out a pagamento” (Stefano Semeraro, La Stampa)

II presidente Obama ha faticato sette camicie per far approvare la riforma sanitaria ma secondo Maria Sharapova, che è nata in Russia però vive da sempre negli States, è tempo di farla finita con l’assistenza medica gratuita nel tennis. Non per una questione di spending review, ma per evitare che il «medical time out», la sosta per l’intervento dei fisioterapisti durante i match, sia utilizzata a scopi tattici. E si trasformi in una sceneggiata. «Che regola cambierei nel tennis? Farei pagare 2500 dollari ogni intervento», ha risposto dopo essersi sbarazzata al 1° turno degli Us Open della Kirilenko, che in campo si è fatta curare il piede sinistro. «Così capiremmo chi ne ha davvero bisogno. Sarebbe divertente».

Contro le simulatrici che fingono malanni più o meno reali per spezzare il ritmo dell’avversaria, Masha ha da tempo il dente avvelenato. La settimana scorsa a Cincinnati ha fatto platealmente il verso ad Ana Ivanovic, sofferente per un attacco di nausea, e in passato ha avuto da ridire con Jankovic e Azarenka. «Spesso solo per capire qual è il problema ci vogliono più dei 3 minuti regolamentari – puntualizza -. E tu devi badare a non perdere concentrazione». II vizietto alligna anche fra i maschi, creando situazioni paradossali: lunedì davanti a Murray incrampato in maniera grottesca – ma non ha chiesto lo stop – un indispettito Robin Haase ha dato l’impressione di richiedere l’intervento del fisioterapista solo per polemica. Una tassazione così salata sull’Mto finirebbe però per favorire chi come Maria, campionessa da 25 milioni di dollari all’anno, può permetterselo, e affossare i peones. Forse sarebbe più efficace, equo e semplice (anche se drastico) abolirlo. Il tennis, in fondo, non è più uno sport per signorine.

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Il pomeriggio più italiano di Fabio, Flavia e Paolo (Claudio Giua, repubblica.it)

“People dancing, people laughing, a man selling ice cream, singing Italian songs”. Non è il sabato dei Chicago, ma il clima di festa a Flushing Meadows mi sembra lo stesso, con i tre azzurri in gara che giocano contemporaneamente, sostenuti dai molti connazionali che vivono o lavorano a New York e si sono presi qualche ora di libertà. Non dovranno pentirsene, tornati a Manhattan per l’ora di cena, soprattutto se si sono goduti la faccia felice di Paolo Lorenzi.

Il pomeriggio italiano degli UsOpen comincia poco dopo mezzogiorno sulla Court 17 con il confronto tra Fabio Fognini e il kazako nato in Russia Andrey Golubev, 27 anni. I due si conoscono bene perché Golubev è tennisticamente italiano, per dieci anni la sua casa è stata il Match Ball di Bra in provincia di Cuneo, dove lo allenava il tecnico Massimo Puci. Partita complicata dal caldo al limite del sopportabile e dall’assenza dell’hawkeye, l’occhio di falco elettronico che, quando c’è, limita il tasso di contestazioni del ligure. Che però non eccede mai, stavolta. Si va avanti per un’ora e mezza con game interminabili, l’azzurro attento a non perdere la concentrazione e il numero 64 ATP che tenta di spingere il più possibile e accorciare gli scambi perché teme il tennis fantasioso e mobile dell’avversario. Fognini, più sicuro al servizio, si prende i primi set 6-4 6-4 e poi s’impone con autorevolezza. Golubev resiste qualche minuto, poi lascia che Fabio chiuda in mezz’ora per 6-3. Un esordio incoraggiante.

Alle 14, quando le file sono lunghe davanti ai fast food, Flavia Pennetta, semifinalista lo scorso anno a Flushing Meadows, affronta la tedesca Julia Gorges, classe 1988, due anni fa numero 15 WTA ma precipitata all’attuale quota 94 dopo un’annata di risultati deludenti. La brindisina sembra in buona giornata, sbaglia poco, prende il largo non appena ne ha l’occasione e passa sul 6-3.

La tedesca però ha gambe e soprattutto braccia buone, come ha avuto più volte modo di dimostrare, ottiene un break nel secondo set e non lo cede più: 4-6. Si va al terzo set. Flavia torna ad essere perfetta, senza tentennamenti nè sbavature, Julia cede di schianto fino al 6-2 finale. La numero 1 italiana e 12 nel mondo ama gli UsOpen e i campi veloci d’Oltreoceano, dove in primavera s’è presa il “quinto Slam” a Indian Wells, dunque m’aspetto che vada avanti nel torneo.

Quando il pubblico di Flushing torna ad assiepare tutti i campi a metà pomeriggio, Paolo Lorenzi, 32 anni, ATP 78, che non ha mai superato il primo turno di uno Slam, ci prova per la quattordicesima volta. Di fronte ha un giapponese di 18 anni, numero 244 al mondo, Yoshihito Nishioka, approdato al tabellone principale dalle qualificazioni. Il ragazzo, che ha qualità, soffre subito sia la temperatura equatoriale sia il gioco antico del senese. I primi due set, prolungati da una lunga sosta per un accenno di insolazione di Nishioka, vedono Paolo nell’insolita veste di mattatore: 6-1 6-2. Il terzo set dura pochi minuti, con Lorenzi avanti per 2-1 che si prende la partita per abbandono. Avrebbe preferito una vittoria netta, ma va benissimo così. È lui il nostro eroe di giornata.

A proposito di giapponesi: perché alle 11 di mattina sono in quattro gatti a seguire la bellissima Ana Ivanovic che prende a pallate (6-3 6-0) l’americanina Alison Riske nell’Arthur Ashe Stadium e invece sulla Court 17 c’è la folla delle grandi occasioni per il match tra Kei Nishikori e l’americano Wayne Odesnik, uno che nel suo momento migliore della carriera, il 2009, è stato numero 77 al mondo? Per rispondere bisogna spendere qualche riga sul fenomeno Nishikori. Il giapponese non ha mai giocato nemmeno la semifinale di uno Slam (ma potrebbe accadere) e non è tra i Top Ten del ranking ATP (è numero 11, è stato 9 in maggio). Eppure nei primi tre quadrimestri del 2013 – con le superstar mediatiche si ragiona sulla base dei quarter finanziari, come le grandi corporation – ha incassato qualcosa come 12 milioni di dollari tra premi e sponsorizzazioni. Quest’anno sta facendo nettamente meglio. Poi c’è l’indotto, ossia il giro d’affari che Kei crea nel suo paese e all’estero. A 24 anni, quel che riesce a guadagnare in premi va moltiplicato almeno per trenta in termini di fatturato consolidato.

Secondo la rivista Forbes, che se ne intende, “Nishikori è il sogno di ogni sponsor”. Uniqlo, che fornisce l’abbigliamento a Kei e a Djokovic, dice che “la sua popolarità e il suo grande appeal ne fanno il nostro partner perfetto”. Metà degli sponsor di Nishikori sono giapponesi, compreso quello che paga di più, Nissin Foods. Tra i marchi globali che l’hanno sotto contratto ci sono Wilson, Adidas, TagHeuer e Delta. Dell'”azienda Nishikori” si occupa direttamente la IMG Tennis, la società dell’accademia di Bollettieri a Bradenton in Florida, dove Kei è tennisticamente cresciuto e risiede. Sono della IMG sia il suo coach, l’argentino Dante Bottini, sia l’uomo dei contratti, Olivier van Lindonk. Senza di loro, non fa un passo.

Amatissimo in patria e dai nippoamericani, Nishikori guadagna tanto perché fa vendere tanto. E di tutto. Decine di giornalisti si occupano ogni giorno di lui e centinaia di fan lo seguono ovunque. Agli Slam di Melbourne e New York calano in massa. A Flushing Meadows se lo sono goduti per 2 ore e 5 minuti vedendolo alla fine lasciare le briciole a Odesnik: 6-2 6-4 6-2.

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