Il segno di Ivanisevic: “Ho fatto solo capire a Cilic che poteva battere tutti” (Martucci). Cilic, il servizio killer piega Nishikori: a New York vince la “generazione X” (Piccardi). E’ Cilic che punisce Nishikori o Ivanisevic che batte Chang? (Giua)

Rassegna stampa

Il segno di Ivanisevic: “Ho fatto solo capire a Cilic che poteva battere tutti” (Martucci). Cilic, il servizio killer piega Nishikori: a New York vince la “generazione X” (Piccardi). E’ Cilic che punisce Nishikori o Ivanisevic che batte Chang? (Giua)

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Il segno di Ivanisevic: “Ho fatto solo capire a Cilic che poteva battere tutti” (Vincenzo Martucci, Gazzetta dello Sport)

Il re a sorpresa degli Us Open, Marin Cilic, s’identifica in Goran Ivanisevic: altezza, servizio, potenza, essenzialità, Croazia. Il re miracoloso di Wimbledon 2001, anche lui campione di lunedì, è del resto il coach della sua svolta, da novembre.

Goran, in tribuna era stravolto, come suo padre 13 anni fa guardando lei.

«E’ più facile giocare, fuori puoi solo soffrire e sperare. Un supplizio. Ma posso già chiudere la carriera di allenatore, no? Mi ritiro da vincente».

L’allievo ha imparato tutta la lezione.

«Tatticamente perfetto. Nishikori era troppo nervoso, Marin lo era appena entrato in campo, ma s’è rilassato tirando i suoi colpi come bisogna fare in uno Slam, senza farsi distrarre dal resto, ha salvato subito la palla-break e, dal 4-2, è stato padrone. Ha scalato marcia: quarta-quinta, e Kei è rimasto alla seconda, staccato».

Che tipo di muri aveva davanti Cilic?

«Marin non era molto offensivo, non capiva che se non rischi non sai che cosa può succedere, nessuno ti conosce. “Fai vedere quanto sei forte”, gli dicevo. Non era rilassato, giocava come se avesse un peso di 15 chili sulle spalle. Non è stato facile mettergli nella testa quant’è bravo, soprattutto dopo l’ingiusta sospensione per doping che l’ha tenuto fermo 4 mesi. Ora ci crede, ha una seconda chance, è tornato fra i top ten, più forte che mai e più sicuro, con questo primo Slam. Che si merita tutto. Ne può vincere altri. La sua vita ormai non sarà più la stessa».

Che fa di diverso l’ex giocatore-coach?

«Non sono un generale, so quando bisogna spingere, so che occorrono indicazioni semplici, lavoriamo tanto, 4-5 ore al giorno, ma c’è lavorare e lavorare, e ci divertiamo anche tanto insieme». La Croazia sarà impazzita. «E’ un grande momento per un paese di 4 milioni e mezzo di abitanti, ci meritiamo qualche eroe. Abbiamo vinto di squadra, è come se avessi vinto anch’io un altro Slam» (…)

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Cilic, il servizio killer piega Nishikori: a New York vince la “generazione X” (Gaia Piccardi, Corriere della Sera)

C’è chi odia i lunedì. In un lunedì d’inizio settembre, fatto di umidità e allineamento d’astri (non è, forse, la stessa materia dei sogni che si realizzano?), Marin Cilic, 25 anni, ci ha dimostrato che anche chi non fa parte del club dei BigFour (Nadal, Djokovic, Murray, Federer) può dare del tu a uno Slam. Non succedeva dal 2005: Marat Safin re in Australia. Cilic ha vinto l’Open Usa, a New York, la città più competitiva del pianeta. E non è strano, di certo nemmeno casuale, che a Flushing il darwinismo abbia spazzato via i soliti noti come una pioggia di meteoriti i dinosauri, consegnando il futuro del tennis a un giapponese di buoni natali (Kei Nishikori) allenato dal cinese made in Usa che aspettò il cadavere di Lendl sulle rive della Senna (Michael Chang) e a un bosniaco apparso a Medjugorje, che per la Croazia ha sbancato l’Us Open in un giorno non canonico, proprio come il suo coach, Goran Ivanisevic, sedusse all’ennesimo tentativo (da numero 125 del ranking) Wimbledon 2001, in una finale slittata a lunedì per pioggia. E poi c’è ancora qualcuno che pensa che le cose succedano per caso (e che i lunedì siano odiosi)?

È il trionfo del servizio: 17 ace nel match con Nishikori per il titolo, incluso un game perfetto (4 ace) nel secondo set, più il 61% di punti vinti sulla seconda. Incollato sulla linea di fondocampo — ma Ivanisevic saprà trasmettere a Marin il gusto dolcissimo della rete — Cilic ha mandato in giro per tutta New York un avversario stremato dalle battaglie con Raonic, Wawrinka e il favoritissimo Djokovic, privato dall’acido lattico della proverbiale esplosività nelle gambe. Depotenziato nella corsa, in balia dei fendenti del killer di Federer, il primo giapponese della storia in una finale Slam ha mancato l’appuntamento con la leggenda (6-3, 6-3, 6-3 per Cilic in appena un’ora e 54’); ma anche se la Cbs, all’ultima diretta della finale dell’Open Usa dopo 46 anni, avrebbe sperato in uno spettacolo migliore, lunedì a Flushing abbiamo assistito a un lampo di futuro proiettato su questi schermi perché ormai è chiaro che la generazione X (Raonic, Dimitrov, Cilic, Nishikori, tutte giovani pistole nate in un fazzoletto di anni, dall’88 al ’91, mentre Del Potro, stessa cucciolata, sta per rientrare nel circuito dopo il secondo intervento al polso) è pronta al sorpasso e che il rotary dei Big Four non è più esclusivo e inavvicinabile come nel passato.

È, anche, il successo di un pregiudicato del doping, un tennista cioè che non ha più la fedina penale pulita. L’anno scorso Cilic fu costretto a saltare l’Us Open per squalifica: trovato positivo a uno stimolante proibito, evitò uno stop di due anni facendo appello e professandosi innocente (la solita solfa dell’assunzione involontaria), accontentandosi di quattro mesi. Il governo del tennis, autarchico come nessun altro nel mondo dello sport, da Agassi in giù non è mai stato troppo severo con i suoi sudditi-padroni e Marin Cilic ha saputo ben approfittarne (…)

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E’ Cilic che punisce Nishikori o Ivanisevic che batte Chang? (Claudio Giua, repubblica.it)

Eccoli qui, finalmente l’uno contro l’altro nella finale dello Slam americano. I due si conoscono bene. Il croato è riuscito a prevalere quattro volte quand’erano entrambi poco più che ventenni, il campione dagli occhi a mandorla l’ha però successivamente sempre tenuto a bada, tant’è vero che nei testa a testa è lui in vantaggio per 6 a 4. Tra le sue vittorie più significative c’è quella nell’unico match sui cinque set finora giocato contro il gigante cresciuto sulla costa adriatica dell’ex Yugoslavia, con un punteggio che evidenzia l’equilibrio in campo: 6-7 6-2 6-4 3-6 6-3. Il primo ha nel servizio l’arma vincente. L’altro risponde con l’agilità e la varietà dei colpi. Ma quel che conta è il risultato di oggi agli UsOpen. Perché per Goran Ivanisevic e Michael Chang – sto scrivendo di loro, ovviamente – questa è la partita della loro seconda vita.

Di quanto hanno fatto in campo i datori di lavoro di Goran e Michael, il connazionale Marin Cilic e il giapponese Kei Nishikori, potete leggere nelle cronache dall’Arthur Ashe Stadium. Io, invece, mi sono concentrato sugli ancora giovani ex campioni – il croato compie 43 anni tra cinque giorni, l’americano il prossimo febbraio – che hanno trasformato in macchine da Slam due giocatori che parevano destinati a un redditizio comprimariato. La domanda alla quale cercherò di dare indirettamente una risposta è: chi ha fatto meglio? Il tardivo vincitore di Wimbledon a 30 anni (2001, Ivanisevic vs. Patrick Rafter 6-3 3-6 6-3 2-6 9-7) o quello che si prese un altrettanto clamoroso Roland Garros a soli 17 anni (1989, Michael Chang vs. Stefan Edberg 6-1 3-6 4-6 6-4 6-2)?

Il tennis di prima fascia degli ultimi anni ha enfatizzato il ruolo dei coach, sempre più spesso ex numeri uno come Lendl e poi Mauresmo per Andy Murray, Edberg per Roger Federer, Becker per Novak Djokovic, Hingis per Sabine Lisicki. Oltre a Ivanisevic, Chang e Ljubicic (per Milos Raonic), tutt’e tre Top Three. La ragione è semplice: c’è da gestire in tempo reale la tensione che crea un calendario senza soste e proporre soluzioni pret-a-porter alle richieste tecniche e psicologiche che vengono dagli atleti. Solo chi ha vissuto in prima persona gli stessi eventi e problemi sa farlo.

Ivanisevic ha lavorato dal 2010 con Marin sul doppio binario del gioco più aggressivo e della sicurezza nei propri mezzi. Il ragazzo di Medjugorje, classe 1988, era abituato a puntare solo sul servizio (è alto un metro e 98) e sulla tenuta nello scambio da fondo campo. Oggi, pur non lesinando nelle prime palle regolarmente sopra i 210 chilometri orari, entra appena può nel rettangolo e cerca di guadagnare terreno per chiudere con il passante lungolinea o incrociato strettissimo.

Nishikori, molto mobile e con i fondamentali messi a punto da Bollettieri, è cresciuto parecchio grazie ai consigli del cino-americano nato a Hoboken, New Jersey, che vanta tra le sue glorie Frank Sinatra. A meno di 25 anni il giapponese è un giocatore completo e consapevole di poterla spuntare con chiunque dei Top Ten. Da gennaio Chang gli ha insegnato ad essere “duro e tranquillo”. Sentitelo: “Aver battuto a Flushing Meadows il numero 6 Raonic e il 4 Wawrinka (e poi soprattutto l’1 Djokovic ndr.) ha dato certezze a Kei. Che contro lo svizzero è stato duro e tranquillo”. Inoltre, quest’anno ha dovuto imparare a non avere timore degli infortuni, che per due volte l’hanno fermato e dai quali s’è ripreso più forte di prima.

Tuttavia, se nove mesi di lavoro con un giocatore possono fare miracoli, il vero cambiamento ha bisogno di tempi più lunghi. Cilicevic – Cilic più Ivanisevic – sta raccogliendo adesso quanto impostato in quattro anni. Nishichang ha invece bisogno trovare le dosi giuste dell’amalgama, anche se gli ingredienti ci sono tutti.

La finale di oggi vinta da Cilic per 6-3 6-3 6-3 in un’ora e 53 minuti era l’ottavo match tra i due. Fin qui il giapponese conduceva il confronto testa-a-testa con 5 successi. L’ultima volta aveva travolto il croato per 6-1 6-3 a Barcellona in maggio. Sicuramente qualcosa è accaduto da allora. Solo Marin e Goran sanno cosa. È probabile che Ivanisevic abbia ripetuto ultimamente i verbi “osare”, “rischiare” e “divertirsi”, che Cilic ha fatto propri. Ha osato e rischiato tanto da prendersi il doppio dei game di Nishikori, s’è divertito tanto da far meglio del suo mentore, che tredici anni fa era arrivato al quinto set nel “suo” Slam. Vedremo se Cilicevic saprà ripetersi in futuro.

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