Novak Djokovic: la sfortuna di nascere al momento sbagliato

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Novak Djokovic: la sfortuna di nascere al momento sbagliato

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TENNIS PERSONAGGI – Come essere uno dei più grandi tennisti di tutti i tempi, al livello dei vari McEnroe, Becker, Edberg e Agassi, ma non trovarsi mai (o quasi) sul gradino più alto del podio mediatico

Ha vinto più del suo tecnico, Boris Becker. Molto di più. Più di Edberg. A fine carriera avrà vinto certamente un buon numero di titoli in più rispetto ad Andrè Agassi e sarà molto vicino, se non sopra, a quelli di McEnroe. Eppure. Eppure, al contrario di questi illustri predecessori, Novak Djokovic ha sempre trovato qualcun altro sulla sua strada che fa parlare più di lui. Un qualcun altro che, alternativamente, si chiama Roger Federer o Rafael Nadal.

L’esempio più lampante lo si è avuto in questa stagione, nella quale il serbo ha incamerato più successi rispetto ai suoi principali contendenti ed è tornato, con pieno merito, in testa al ranking. Eppure. Eppure l’Australian Open delle sorprese ha visto soprattutto Wawrinka e la schiena di Nadal tra i protagonisti, di Novak ha fatto notizia soltanto la sconfitta col futuro vincitore, nulla più. E ci può anche stare. Al Roland Garros lo spazio è stato tutto per l’epos delle nove vittorie di Rafa, con Nole ancora a un soffio dall’incamerare l’unico Slam che gli manca, sopraffatto dai record del maiorchino. E ancora a Wimbledon, e qui si raggiunge il vertice, giornali e rotocalchi hanno dato nettamente maggior risalto non alla sua vittoria o al suo match di finale straordinario, ma al coraggio e all’aura leggendaria di Roger Federer, al suo torneo, alla sua rimonta da antologia nel quarto set, al suo spirito indomito, inattaccabile come la sua classe nonostante l’età. Se poi aggiungiamo che allo Us Open Djokovic ha perso in semifinale dal runner up e non dal vincitore, e che tutte le attenzioni si sono concentrate sul nuovo Cilic e di nuovo sul vecchio Federer, che ha perso forse l’ultimo treno per il suo diciottesimo Slam, il quadro è completo.

Novak Djokovic è nato al momento sbagliato.

E dire che la carriera e le date, all’inizio, sembravano poter essere quelle giuste. Sei anni di divario e distanza tra lui e Federer, un ancestrale predominio sul coetaneo migliore, Andy Murray, una capacità di adattare il gioco all’erba e al cemento superiori a quelle di Nadal, davvero invincibile solo su terra rossa. I primi tornei vinti a 19 anni nel 2006, il primo Master 1000 e la prima finale Slam nel 2007 a vent’anni, poi l’esplosione col primo major in Australia nel 2008, aiutata anche da un pizzico di fortuna nel trovarsi davanti Federer con la mononucleosi e Tsonga al posto di Nadal. Insomma, il prologo, l’atto di presentazione di un nuovo dominatore, del personaggio di cui parlare sempre e comunque? Il nuovo antagonista di Nadal, con Federer destinato inevitabilmente al declino e all’ombra? No. No, perchè Nadal e Federer ancora non avevano lasciato la loro diarchia, tramontata (quasi) definitivamente solo nel 2011, l’annus mirabilis del “Djoker”, del quale si sente parlare davvero insistentemente e da prima pagina soltanto in quella fantastica stagione. Nell’anno successivo infatti Federer torna grande a sorpresa, Nadal preda dei suoi infortuni tentenna e lascia nel mistero e nell’ansia i suoi fan, poi si rialza nel 2013 dominando di nuovo tutto o quasi e lasciando il palcoscenico a Murray in quel di Wimbledon. Le vittorie serbe in Australia sembrano sempre passare in secondo piano rispetto ai successi degli altri, ritenuti più prestigiosi, più inaspettati, più faticosi, più leggendari. Djokovic continua a vincere, e tanto. Ma fanno più notizia i suoi rivali: fa più notizia il 2012 strepitoso di Federer, il ritorno sul trono del Re di Wimbledon con tanto di nuovi record abbattuti. Fanno più notizia le soste e i rientri di Nadal. Fa addirittura più notizia il sigillo di Murray a Church Road a centomila anni di distanza o quasi rispetto a Fred Perry. Nole piace, è simpatico, i suoi siparietti fanno ridere. È forte, fortissimo, vince tanto. È anche numero uno del mondo, pensa un po’! Ma non attira le folle e gli ultras come Federer e Nadal, non accende la mischia come i due campioni del suo tempo, più longevi forse di quel che tutti ci aspettassimo. Non si possono fare paragoni tra epoche diverse, ma forse non è azzardato dire che Djokovic sia un mostro sacro del nostro sport, certamente al livello di McEnroe, Becker, Edberg, Agassi e molto sopra a tanti altri plurivincitori di Slam. Ha il gioco e il fisico per essere un dominatore, ma si è trovato di fronte due giganti di talento, certo, ma anche d’immagine. Imbattibili. Anche e soprattutto perchè quella carriera e quell’immagine sono riusciti a costruirsela prima del “Djoker”.

Ecco che allora un campione come Djokovic si trova costretto a vivere una parabola sportiva scintillante ma sempre in penombra, di fronte a due “eroi” non solo nello sport ma anche nei media. C’è tempo per recuperare? Avrà anche Nole i suoi titoli di testa belli grandi ed esclusivi, sempre, che vinca o che perda, che ai tornei si presenti oppure no? Difficile. Perchè per riuscire in questo intento il serbo ha bisogno di una o più stagioni di nuovo da record e soprattutto ha bisogno di una cosa fondamentale: sopravvivere, vincente, a Federer e Nadal. Seppellire il loro ritiro, che verosimilmente e per motivi diversi precederà il suo, di trofei, vittorie e dominio. Altrimenti avremo uno dei più forti prodotti del tennis di ogni epoca confinato al ruolo, ahilui, di ingiusto e involontario comprimario. Stretto all’interno di un dualismo che forse anche i mass media hanno contribuito a rendere più epico di quanto già non sia stato in realtà.

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