Commenti da salvare: via ad una nostra nuova rubrica

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Commenti da salvare: via ad una nostra nuova rubrica

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NON SOLO TENNIS – Questa volta la parola va ai nostri lettori. Non da soli però… Fra tanti “post” che arrivano (anche più di 1000 al giorno) è un peccato non dare dignità di articolo ai migliori. Ma i “like” non bastano a individuarli. A volte nascono da uno spunto anche banale o…sbagliato. Ce li segnalerete? Chi si lamenta della qualità dei commenti…ci aiuti a migliorarli!

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La vita di Ubitennis non è diversa dalle vite di tutti. A volte è placida e serena, a volte scorre tumultuosa. Verremo accusati di autoreferianzialità, ma Ubitennis è leader indiscusso in Italia come numero di lettori e per ampiezza di temi trattati. E pure, per quanto questo possa far arricciare il naso a molti, per qualità media dei pezzi presentati. Questo non significa che siamo esenti da scivoloni e questo non significa che ci adagiamo sugli allori. Per quanto possiamo sembrare sordi a richieste, lamentele, suggerimenti dei lettori la nostra testata rimane, a nostro modo di vedere, una delle poche in grado di mettersi in discussione e a provare strade nuove di interazione con il proprio pubblico. In quest’ottica abbiamo deciso di inaugurare una rubrica “Commenti da salvare” la cui esistenza dipende più da voi lettori che da noi autori. L’idea è di rintracciare tra i mille e mille commenti di cui ci beneficiate, e di cui non possiamo che ringraziarvi, qualche tema che a nostro modo di vedere è meritevole di una diversa e più ampia visibilità. È inevitabile che fra i tanti argomenti quotidianamente proposti – la permanenza media di ciascun lettore su Ubitennis è di 7 minuti (segno che i contenuti non mancano) – diversi lettori rinuncino ad addentrarsi in migliaia di commenti che, siamo i primi a riconoscere, più che essere inerenti ai temi trattati danno sfogo all’insopprimibile voglia di comunicare di alcuni. Non siamo ipocriti: non abbiamo interesse ad abolirli. Sono pur sempre visite. Le visite fanno traffico, il traffico può convincere gli sponsor che possono, a loro volta, tenere in piedi un sito, una redazione cui si chiedono sempre più cose, più attenzione, più competenza e presenza. Onori ed oneri. Ciò premesso, però, dispiace che i contributi più intelligenti, maturi, colti, stimolanti – siano essi strettamente tennistici e non – rischino di passare inosservati in mezzo a tanti che non hanno quelle qualità.
In questa rubrica cercheremo di evitare la solita – e credeteci, non troppo interessante per noi – infinita e inconcludente discussione tra Nadal e Federer, Federer e Djokovic, Djokovic e Nadal o sul GOAT. Discussioni che ovviamente non mancheranno nel nostro sito, perché anche di questo si nutre il nostro sport. Ma qui ci proponiamo di alzare un po’, con le nostre modeste forze, il livello delle discussioni. Recupereremo dunque discussioni nate altrove, e le rimonteremo, offrendovele  in una veste problematica, senza l’ambizione di dare risposte esaustive, ma semmai di invitare a riflettere, nella speranza di crescere un po’, voi e noi con voi.

Forse è inutile l’ulteriore raccomandazione ma in questa rubrica i commenti saranno visionati con estrema attenzione e non verranno inoltrati non soltanto quelli offensivi e sgarbati – come proviamo sempre a fare anche se non sempre con successo, ne siamo consapevoli – ma anche quelli che rischiano di innescare flame del tutto fuori tema. Del resto, per chi intende utilizzare il sito nel modo tradizionale c’è il resto del giornale, questo è solo un esperimento. E visto che la riuscita dell’esperimento dipende da voi, lasciatevi augurare “buona fortuna”

Tra la via kazaka e Nadal, quale giornalista per il tennis?

La nostra prima puntata nasce dalla discussione che si è svolta per intero nel pezzo in cui Daniele Malafarina racconta dell’esibizione di Nadal in Kazakhistan. Il commento da cui partiamo è questo:
Bello il ritratto del Kazhakistan: a leggere l’articolo sembra un’oasi felice e democratica, un paese dove tutto va bene e in procinto di diventare un faro di luminosa economia e libertà. A quando una celebrazione di Lukasenko e della libera Bielorussia? (The Wall80)

Che si chiedesse di più a Ubitennis era confermato da questo altri commenti:
Mi sembra eccessivo sorvolare su qualche problemino di democrazia presente in Kazhakistan. Se si fa della sociologia, tanto vale farla fino in fondo”. (Filou)

Un mezzo accenno al fatto che Nazarbayev è un dittatore tra i più spietati dell’Asia centrale e che ingaggia star internazionali, sportive e musicali, per fare propaganda al suo regime no? Magari così, un accenno”. (Stefano)

In vari modi e con posizioni diverse dibattito hanno preso parte anche Marcopac, Steveaustin, Lew. A parte la critica al governo kazakho – che esula dal nostro tema – il nucleo della discussione riguardava il taglio che Daniele Malafarina ha dato all’articolo. Taglio che il nostro direttore ha difeso:
Quel che non riesco ancora a…digerire, [è che] non ci sia stato un solo lettore che abbia fatto i complimenti all’autore di questo articolo, per la qualità dello stesso, per le informazioni che ha dato su un Paese poco conosciuto, per come lo ha scritto, mi lascia sbigottito. […] se un articolo non è banale e non si limita a dare il punteggio di un’esibizione, facendone un po’ di cronaca, e nessuno, dico nessuno, osserva e sottolinea nulla.[…] conviene davvero avere, a volte, un collaboratore sui luoghi di una scena per descriverla ben diversamente da come la può raccontare un’agenzia che traduce un lancio di un’agenzia kazakha?

I lettori hanno ribattuto aspramente, lamentando che:
Parlare del Kazakistan in questi termini si può eccome, ma visto che siamo nel XXI secolo sarebbe anche il caso, se si vuol parlare di certe cose, di approfondire con altre informazioni.” (The Wall80)

l’articolo […] per metà [… ] parla della situazione economico-politico kazaka, e per l’altra metà […] parla di un match di esibizione, voluto dal presidente dello Stato…, quindi sia l’articolo che il match di tennis porterebbero a parlare della situazione dello stato asiatico. Poi leggo il commento del direttore, che si stupisce che sotto un tale articolo si parli del rientro di Nadal dopo un infortunio di un paio di mesi e sulla sua condizione, e invece non si facciano i complimenti al giornalista che ha scritto un buon pezzo… (ado)

e lo stesso ado ha aggiunto un considerazione interessante:
che non si parli della situzione kazaka, come se ne potrebbe parlare su siti o stampa specializzata, è indubbio, … ed infatti io mai mi sognerei di parlare di tale questione qui, ma neanche mi meraviglio se sotto un articolo del genere se ne parli, conoscendo un pochino internet e le varie “dinamiche” che si vengono a creare nelle varie “comunità”…

A questo ha risposto con una lunga replica l’autore dell’articolo, Daniele Malafarina:

Personalmente preferisco scrivere di tennis ed evitare discussioni politiche che inevitabilmente risultano superficiali, dogmatiche. L’esperienza mi ha insegnato che quando si parla di politica non c’è quasi mai un interesse al confronto o un desiderio di approfondire, quanto un qualche primordiale bisogno di affermare il ‘noi’ contro il ‘loro’. Personalmente poi ritengo che nel mondo reale non ci siano buoni e cattivi ben delineati e che le situazioni vadano comprese dalle radici e conosciute bene prima di lanciarsi in crociate ideologiche che rischiano di fare più danni che altro. Spesso ci sono solo più cattivi e meno cattivi e per cercare di migliorare una situazione non si può imporre un modello ideale che nella relatà non funziona. Si deve avanzare piano, due passi avanti ed uno indietro, con molta fatica facendo sbagli e torti. Questa è la situazione del kazakhistan ad oggi a mio modo di vedere. Ben lungi dall’essere una situazione ideale è un paese in evoluzione che sta cercando lentamente di muoversi verso la modernità ma ne è ancora lontano. Nella politica c’è molta corruzione e la corruzione non si elimina dalla sera alla mattina. I pochi gruppi che controllano il paese hanno principalmente a cuore i loro interessi e non il benessere del paese ma non si possono buttare fuori così, con un gesto della mano. In una situazione in cui il paese ha enormi risorse ed è circondato dagli interessi politici ed economici dell’occidente, della Russia e della Cina, Nazarbayev sta camminando su un filo sottile che potrebbe spezzarsi in ogni momento. Nel fare questo sta facendo crescere il paese, creando posti di lavoro e migliorando le condizioni di vita di gran parte della popolazione (andare a confrontare con paesi vicini quali Uzbekistan e Kyrgyzstan ad esempio).
Chiaramente il presidente non è un santo. Ha fatto e fa tuttora i suoi interessi e quelli della sua famiglia. Ha commesso azioni che in un paese democratico non sono tollerate. Ma il punto è che il Kazakhistan non è ancora una democrazia e non lo può diventare così di botto. Qualcuno pensa davvero che con tutti gli interessi che ci sono in gioco se Nazarbayev lasciasse il potere la situazione diventerebbe rosea ed idilliaca? Qualsiasi alternativa potrebbe portare ad una vera dittatura (in cui le condizioni economiche dei cittadini vanno a farsi benedire, al contrario di come stanno le cose adesso, per quanto i livelli dell’occidente siano ancora lontani) se non addirittura ad una guerra civile. In questo senso le misure che stanno lentamente venendo messe in atto si spera porteranno il paese a diventare un vero paese democratico. Un giorno.
Giusto per fare un esempio, qualcuno citava l’università Nazarbayev dove vengono educati i figli dell’oligarchia del paese, come se fosse una cosa estremamente negativa. Io mi domando che tipo di ragionamento sia. Sorvolando sul fatto che non solo i figli dei potenti vengono ammessi ma anche studenti meritevoli da ogni parte del paese e di ogni ceto sociale. Avrebbe senso che i figli dei potenti venissero esclusi? Questi ragazzi, volenti o nolenti, saranno i padroni del paese un domani. A casa loro i valori che respirano sono quelli dei ricchi post sovietici che fanno soldi a spese dei cittadini. In quella generazione non ci sono alternative. Non ci sono politici che condividano valori occidentali. E non si possono mandare via perchè hanno potere.
Invece all’università i figli di questa gente ricevono un educazione ‘americana’ liberale e democratica, dove vengono loro insegnati valori completamente diversi? Se il paese deve migliorare l’unico modo è dando un’educazione migliore ai leader di domani. O no? Quindi in che senso esporre i figli dell’oligarchia del paese a valori occidentali sarebbe un male? Quale sarebbe una via migliore per creare cambiamento?
I discorsi ideologici sulla democrazia si fanno comodamente dal divano ma come funzionano poi nella vita reale? La Cina non è una democrazia ma ha saputo creare una classe media che crea profitto e guida un’economia in crescita in cui il benessere non va solo a pochi politici. Per contro, ad esempio, l’India è un paese democratico (non ci sono più le caste, vero?) in cui la gente muore di fame in mezzo alla strada mentre pochi ricchi diventano sempre più ricchi. Ma l’India non si critica, la Cina sì. Minoranze etniche vengono discriminate in Cina come negli Stati Uniti. Ma gli Stati Uniti non si toccano. La democrazia in Ialia come sta? Basta dare alla gente l’illusione della libertà per poi bombardarli di programmi Mediaset per vent’anni, giusto?
Qualcuno ha una ricetta per far diventare il Kazakhistan un paese democratico domani? Senza alterare gli equilibri interni ed internazionali? La dica allora, io sarei curioso.
Certi discorsi mi ricordano i boicottaggi delle multinazionali che sfruttano lavoro minorile nel sudest asiatico. Tutti scandalizzati perchè i bambini lavorano in fabbrica a fare palloni e scarpe. Nessuno che si interessi della realtà sociale del posto. La cosa importante per farci sentire bene dal divano di casa è che le scarpe che ho comprato non le abbia fatte un bambino. E allora la fabbrica si chiude e quegli stessi bambini finiscono nella prostituzione o morti in un canale senza i reni. Ma a quel punto che ce ne importa più? Noi la fabbrica l’abbiam fatta chiudere e la nostra coscienza è a posto.
In questo momento un sistema democratico in un paese come questo sarebbe un disastro. Non ci sarebbe un candidato non corrotto. E se ci fosse non verrebbe eletto. E se fosse eletto porterebbe ad un colpo di stato. Purtroppo è vero che in questo stato di cose capita che degli innocenti ne vadano di mezzo, ma forse, se l’alternativa è finire morto in un canale senza reni, per ora è meglio fare palloni. Purtroppo la realtà è questa. Troppo comodo scandalizzarsi da dietro uno schermo di computer invocando posizioni ideologiche. Io, personalmente, piuttosto che rimanere in un paese morente dove la gente si rifiuta di ascoltare preferendo sentenziare dall’alto della propria tastiera senza avere in mente la realtà delle cose e senza avere un’idea di come migliorarle, preferisco cercare di far capire al figlio di un oligarca kazako che può essere una brava persona e fare del bene per il proprio paese.
Non è una questione di cosa sia giusto o sbagliato. È una questione di come stanno le cose e come fare a migliorarle.

La discussione si è a questo punto spostata ancora sul sistema di governo kazakho, con alcuni che lo ritengono una “dittatura” – e come tale solamente nefasta – e Malafarina e Salerno che invitavano ad andarci un tantino più cauti.
Ma piuttosto che una discussione specialistica su cosa è o no “democrazia” o “dittatura” qui vogliamo porre l’attenzione sul ruolo del giornalista: il cronista di Ubitennis deve raccontare quel che vede e sa cercando di spaziare un minimo al di fuori del rettangolo del campo di tennis o dovrebbe rinunciarci in nome di una discutibile equidistanza dello sport?
Il direttore invita a spaziare, quando siamo ovviamente sufficientemente documentati su ciò di cui intendiamo riferire. Può quindi capitare che emergano  descrizioni non asettiche,  non essendo Ubitennis un’agenzia tipo l’ANSA. Possono emergere anche convinzioni personali degli autori. Non necessariamente condivisibili dai lettori, da tutti i lettori. L’unanimità dei pareri è quasi impossibile da raggiungere. Ma, per quanto riguarda la nostra discussione, quanto è legittimo che un giornale on line specializzato in uno sport specifico si avventuri su temi apparentemente molto distanti?
È complicato trovare risposte a queste domande e forse una definitiva non c’è. Ma il dibattito potrebbe far emergere spunti che potrebbero tornare utili, visto che il circuito tennistico tocca parecchi punti “sensibili” del mondo.

In conclusione – e come ulteriore spunto di riflessione –  ci piace ricordare due aneddoti.
Il primo riguarda le furibonde polemiche per la finale di Coppa Davis del 1976 in Cile. Come qualcuno ricorderà  “No, non si giocano volée con il regime di Pinochet!” era lo slogan che i manifestanti della “sinistra” invocavano allora per scoraggiare una trasferta nel Paese del dittatore cileno dell’epoca.
Il secondo ce lo ha ricordato Roberto Salerno e riguarda una polemica che coinvolse Gianni Clerici e Rino Tommasi con Beniamino Placido uno straordinario critico letterario che curava su Repubblica una quotidiana rubrica di critica televisiva “A Parer mio”. Placido reagì ad una dichiarazione del “fantastico duo” secondo i quali “i tennisti non dovrebbero impicciarsi delle questioni politiche”. L’obiezione di Placido, che pure era un grande ammiratore del duo, fu la seguente:
Nelle mani di Rino Tommasi, di Gianni Clerici, e del loro collaboratore Ubaldo Scanagatta, le cronache televisive diventano fra le poche trasmissioni culturali della televisione. Ripeto: culturali. Domenica 2 settembre Rino Tommasi in un intervallo ha voluto (e creduto di) darci una buona notizia, per tutti quelli che odiano l’ utilizzazione dello sport a fini politici. DI CHE SI TRATTA? Dell’ annunciato ritorno del grande Borg? No, in tal caso la politica non c’entrerebbe. Si tratta del ritorno nelle competizioni internazionali dei tennisti del Sudafrica. Esclusi a suo tempo per via dell’ apartheid praticata nel loro Paese. Cosa sono mai queste sciocchezze? Sembra intendere Tommasi. Lo sport è lo sport e con la politica non c’ entra niente. Non strumentalizziamolo. Credo che Tommasi abbia torto, in questa specifica circostanza. Lo sport è certamente un momento di riposo: dalle pressioni della politica e della vita quotidiana. Ma non può pretendere di annullare la vita quotidiana, e la politica. Nessuno dovrebbe saperlo meglio di Rino Tommasi, che ha frequentato i circoli di tennis. Il socio di un qualsiasi circolo tennistico gioca volentieri con tutti. Specie con i più bravi: così si impara. Ma non incrocia volentieri la racchetta con quel consocio che sospetta gli abbia rubato il portafogli. O l’ automobile. O la moglie. Possiamo avere torto o ragione nella nostra presa di posizione sul Sudafrica. Ma se siamo convinti che da quelle parti si comportano male, proprio male, con loro non vogliamo giocare. Non è mica l’ oppio dei popoli, il tennis.

Sono passati 24 anni da questa affermazione di Placido. Molte cose sono cambiate, altre forse sono rimaste le stesse, ma il tema sembra ancora di grande attualità: qual è la giusta via tra la libera espressione del proprio pensiero e il rispetto della sensibilità dei lettori?

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