Mio cattivissimo e carissimo McEnroe perché sei diventato finalmente simpatico (Clerici), Talento e ribellione McEnroe genio eterno (Marianantoni), Sharapova stella solitaria (Semeraro), Tutte contro Serena (Mancuso)

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Mio cattivissimo e carissimo McEnroe perché sei diventato finalmente simpatico (Clerici), Talento e ribellione McEnroe genio eterno (Marianantoni), Sharapova stella solitaria (Semeraro), Tutte contro Serena (Mancuso)

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Rassegna a cura di Daniele Flavi

 

Mio cattivissimo e carissimo McEnroe perché sei diventato finalmente simpatico

 

Gianni Clerici, la Repubblica del 20.10.2014

 

“A 18 anni ero così perché ancora non capivo il mondo Wimbledon 1980… la partita che mi rese famoso, per una sconfitta… Ma quel match mi fece diventare migliore.” Grazie alla cortesia di Fabio Fazio ho ottenuto un posto di proscenio a “Che Tempo che fa”, nella serata in cui era intervistato John McEnroe. Più di un amico mi ha chiesto com’era. Ero solo di fronte a una folla di psichiatri che non capiscono come mai non profittassi dell’invito di giornalista, per ammirare Mac e i suoi coetanei, Chang, Lendl e Ivanisevic, impegnati a Milano in un torneo esibizione, e ho sinceramente risposto che rivederli in campo mi avrebbe fatto la stessa tristezza che avevo provato nel vedere la prima ballerina Carla Fracci, e altri idoli, sommersi dall’età. Non mi sono per altro del tutto stupito nell’osservare il teatro televisivo pienissimo, e mi sono detto che se abbiamo gli anni dell’ex rivediamo in lui i ricordi della nostra giovinezza, se siamo giovani riusciamo a immaginare come fosse, anche grazie ai filmati, e alle storie che abbiamo letto, o che stiamo leggendo, quella di Mac appena ripubblicata da Fiamme, con il time se un avvocato attaccasse il giudice, e addirittura sputare poteva condurre in cella. II Mac cinquantacinquenne visto a Milano, bianchissimo di capelli e elegante in un completo grigio, era molto diverso da quello dei miei ricordi di spettatore professionista. Migliore? Vorrebbe forse sapere l’aficionado. Certo diverso, nel ricordarci che a “diciotto anni ancora non capivo come fosse il mondo e avere figli (5, da due diversi matrimoni, con Tatum O’Neil e Patty Smyth) mi ha reso più umile, in modo che la mia vita è più bella ora.” Di se stesso campione, del suo comportamento spesso criticato, che lo portò ad essere il primo anche nella squalifica di un tennista professionista, all’Australian Open, Mac ci ha dato una spiegazione: “mi sentivo solo”. E al perché di Fazio, reiterava. “Ti senti nudo, e sei nudo di fronte a una folla di psichiatri che non ti capiscono. Avevo paura, in campo, ma non volevo dimostrare la mia paura, e allora era meglio reagire urlando che piangere.” In seguito a molte critiche, che avevano spinto qualche lettore a ritenermi nemico di Mac, dopo che i nostri rapporti son diventati amichevoli grazie ad una comune ammissione alla Hall of Fame, non potevo non ricordare a me stesso la drammaticità di un gioco che ci costringe soli, di fronte a diecimila persone, spesso in una condizione fisica di profonda fatica, di disagio, di disaccordo con noi stessi, addirittura di uno smarrimento di auto-stima, di un auto giudizio negativo. E ho creduto di capire, meglio di quanto non fossi riuscito nel vederlo nei suo sette Slam vinti o in quelli perduti, che le reazioni verso i giudici, verso un malcapitato raccattapalle, verso quell’accessorio di sé che è la racchetta, altro non fossero che dialoghi negativi, spesso disperati, di un giovanotto che una mano sensibilissima aveva spinto allo sport, così come alla musica un pianista. Ma, per chi non abbia assistito, ieri sera, a “Che tempo che fa”, par giusto riassumere qualche brano. Per primo quello del più famoso tie-break sin qui giocato, il 18-16 della finale del 1980 a Wimbledon contro Borg, in cui Mac salvò sette match point, per poi perdere al quinto set. “La partita che mi rese famoso, famoso per una sconfitta” ha commentato Mac, per aggiungere “dopo quel match, Borg mi fece diventare un tennista migliore. E non ho potuto non capirlo, non ammirare la sua forza di volontà, il suo cuore”. Ci ha anche parlato di sé telecronista, ed ha ammesso di essere molto lontano dagli ascolti di Fazio, in una trasmissione fallita per aver ottenuto lo 0,2%, grazie alla affezionata e ripetuta presenza di Papà e Mamma. Un simile Mac autoironico ci ha raccontato altro, ad esempio la volta in cui sua mamma Kathy lo convinse ad accettare l’invito del Presidente alla Casa Bianca, per sentir Reagan chiedere alla moglie Nancy: “è lui il giocatore di golf che devo vedere?». Mac ha poi risposto con una risata all’evidente riferimento ad Andrè Agassi, quando Fabio gli ha domandato se non avesse mai odiato il tennis. Una risata che gli ha probabilmente evitato di farci sapere che la biografia del suo giovane epigono è stata brillantemente inventata da un ottimo e bugiardo biografo quale Moehringer. Mac ha concluso con parole di affetto per il suo vecchio partner, Peter Fleming, che giunse ad affermare che il miglior doppio è fatto da John McEnroe insieme a qualunque altro tennista.. Una gran serata, insomma, resa ancor più affascinante dal ritrovarmi seduto, e per un’ora, fianco a Filippa Lagerback. Non accade a tutti, amici aficionados.

 

Talento e ribellione McEnroe genio eterno

 

Luca Marianantoni, la Gazzetta dello sport del 20.10.2014

 

Scegliere John McEnroe per inaugurare una collana di libri dedicati ai più grandi campioni della storia del tennis è come toccare il cielo con un dito, ricevere una scossa elettrica e piombare di colpo sul finire degli anni 70. Quando un tennis per la prima volta fisico, troppo meccanico e poco fantasioso — vedi Borg, Connors e Vilas — fu spazzato via da un moccioso newyorkese ribelle che si era messo in testa di ricucire lo strappo con la tradizione del grande tennis. Con questo strafottente personaggio, accarezzare la palla e inventarsi soluzioni pirotecniche, per incantare gli spettatori e lasciarli a bocca aperta, era ancora possibile nell’era del top-spin esasperato e della forza bruta. Madre natura Gli ingredienti, SuperMac, li aveva tutti: a partire da quello slice mancino che usciva imprendibile da un servizio anomalo (per preparazione ed esecuzione), incipit di un tennis spumeggiante, vissuto sempre all’arrembaggio; per finire con i giochi acrobatici di volo, creati all’istante dal nulla, come se fossero la cosa più semplice e giusta da fare; passando però anche per millimetriche rasoiate di rovescio che affettavano il campo da una parte all’altra, e improvvisi attacchi di dritto, sempre anticipato e mai banale. Da allora quel ragazzino dalla faccia d’angelo, con i capelli ricci, con la bandana sulla fronte, ha continuato a giocare a tennis per tutta la vita, sfidando due avversari: quello che stava dall’altra parte della rete e quello che gli albergava dentro, il modello del campione perfetto, capace di un tennis irraggiungibile, che John ha sempre inseguito come una stella cometa. The Genius ha attraversato in lungo e in largo il più denso periodo di campioni della storia del tennis. Ha debuttato trovandosi in mezzo a due icone come Bjorn Borg e Jimmy Connors. «La decisione di Borg di ritirarsi è stato uno dei grandi dolori della mia carriera. Giocare ai tempi di Borg e Connors è stato per me come vivere un sogno». Poi si è imbattuto in Ivan Lendl, il prototipo del tennista grigio e poco dotato, ma calcolatore, capace di costruirsi in laboratorio automatismi micidiali. «Ho più talento io nel mio mignolo di quanto ne abbia Lendl in tutto il suo corpo. Io sono stato il bene del tennis e lui il male». E la finale di Parigi 1984, vinta dal ceco al quinto set, è la pagina più triste della parabola tennistica dell’americano: «La peggiore sconfitta della mia vita, devastante. Ancora adesso, quando ci ripenso, non riesco più a prendere sonno. Tutte le volte che torno a Parigi, il pensiero va a quella maledetta partita contro Lendl, a come la mia vita poteva cambiare se avessi vinto». Infine ha duellato con le generazioni future, Pete Sampras e Andre Agassi. Sfide che hanno lasciato il segno nella storia del tennis, con un marchio indelebile. La storia A differenza degli altri campioni, quando uno dice John McEnroe non pensa ai 7 Slam vinti (3 Wimbledon e 4 US Open) in singolare e ai 9 di doppio, alle 170 settimane trascorse da numero 1 del mondo, ai 77 titoli Atp in singolare e ai 78 in doppio, ai 16 anni consecutivi trascorsi tra i primi 30 del mondo (dal 1977 al 1992), ai 10 anni da top ten e a quel fantastico 1984 in cui chiuse l’anno con 82 vittorie e appena 3 sconfitte. Quando uno pensa a John McEnroe pensa al talento del suo braccio sinistro, alle sfuriate con gli arbitri, a un carattere sempre pronto ad esplodere, al suo modo di essere ribelle. E ancora oggi quando dici McEnroe, a tutti quelli con i capelli brizzolati brillano gli occhi perché nella linea di successione che parte da Rod Laver e finisce con Roger Federer, nel mezzo c’è solo John McEnroe.

 

Sharapova stella solitaria

 

Stefano Semeraro, il Corriere dello sport del 20.10.2014

 

Delle magnifiche otto, è l’unica che non ha amiche tra le rivali Per Maria lo sport innanzitutto business. E quando capita, tira anche frecciate micidiali di Stefano Semeraro Tenniste disperate, o se preferite “Tennis and the city’: La city è Singapore, dove da oggi alle 19.30 locali (le nostre 13.30, diretta Tv su SuperTeimis) vanno in onda le Wta Finals, il tennis è quello delle otto campionesse che si contenderanno il titolo di “maestra” del 2014, e che non sono legate – o separate – solo dai risultati sul campo, ma anche da complicità, vecchie ruggini e antiche amicizie. Maria Sharapova, ad esempio, di amiche sul circuito non ne ha, anzi non vuole proprio averne. Per lei il tennis è strettamente “business” e anche se un filo di attenzione la lega ad Eugenie Bouchard, la debuttante canadese che da bambina era una sua accanita fan (tanto che a Parigi le ha “concesso” di indossare la sua linea di abitini), è probabilmente la meno amata dello spogliatoio. In particolare da Ana Inanovic, che quest’anno a Cincinnati ha accusato persino di aver simulato un calo di pressione per prendere tempo. La serba se l’è legata al dito. Per non parlare dello scambio velenosissimo che ebbe l’anno scorso a Parigi con Serena Williams che l’accusava di troppe smancerie con il suo neo-fidanzato Dimitrov. «Parla lei, che sta con un uomo sposato», rispose Masha, ma negli ultimi tempi pare che si siano ristabiliti normali rapporti diplomatici. Anche Serena Williams in passato stava cordialmente antipatica a molte, visto che con sorella Venus faceva vita a parte, ma l’età ha addolcito la Pantera. «Con gli anni ho capito che nella vita ci sono cose più importanti che colpire una pallina da tennis», ha dichiarato ieri la numero 1 del mondo. «Oggi non credo di avere problemi con nessuna negli spogliatoi, mentre sono molto amica di Caro-line (Wozniacki – ndr). Ein dall’inizio c’è stata una simpatia fra di noi, che si è fatta via via più forte. Ora è la mia migliore amica: io aiuto lei, lei aiuta me». Prima del Masters però a Serena, nota gaffeur, è scappato un tweet di troppo in cui dava della “bugiarda” a Caroline, ed è stata costretta a scusarsi più volte pubblicamente. Pace fatta, comunque, visto che alla presentazione di questo Masters le due hanno inviato un selfie di coppia: “la bionda e la tettona’ il commento di Serena. Del clan danese-americano fa parte anche Aga Radwanska, che fino a un paio di anni fa faceva coppia fissa con la grande assente di questo Masters, Vika Azarenka, con la quale però ruppe clamorosamente a Dubai nel 2012, anche lei convinta che la (ex) arnica avesse finto una zoppla per metterla in difficoltà. «Credo di aver perso un po’ di rispetto per Vika, oggi», commentò all’epoca. La migliore amica di Petra Kvitova, la campionessa di Wimbledon, è invece Na Li, la cinese ex n.2 del mondo che però si è appena ritirata e a Singapore è andata solo per fare visita alle sue ex colleghe e dare il suo incora::. amento alla Kvitova. Simona Halep, l’altra debuttante al Masters, va d’accordo con tutte, mentre Eugenie Bouchard ai tempi delle gare juniores era inseparabile da Laura Robson ma da un paio di anni ha clamorosamente rotto con l’inglese. «Perché – ha spiegato – nel tennis non si possono avere amiche. Però in occasioni come queste ridiamo, scherziamo e parliamo di cose più importanti del tennis: di ragazzi, ad esempio».

 

Tutte contro Serena

Angelo Mancuso, il messaggero del 20.10.2014

 

Inutile girarci intorno: la decisione della WTA di assegnare fino al 2018 il tradizionale Masters femminile riservato alle prime 8 giocatrici della stagione a Singapore, ai confini dell’Estremo Oriente, è una scommessa basata sul denaro. Del resto la cifra incassata dall’Associazione delle giocatrici è di quelle irrinunciabili: 70 milioni di dollari in 5 anni. Quando sul tavolo di Stacey Allaster, manager oculata, è arrivata l’offerta, il grande capo della WTA non ha avuto dubbi. Lasciare Istanbul è stata una decisione coraggiosa, perché negli ultimi 3 anni la kermesse femminile aveva ottenuto un enorme successo in Turchia con le tribune sempre esaurite. Una scelta però inevitabile. Dal 2010 il tennis femminile ha perso il suo ricco title-sponsor (la Sony Ericsson non ha rinnovato il contratto) ed è a caccia di soldi: ne ha bisogno per continuare a crescere. Il nuovo Eldorado non può allora che essere l’Oriente con la sua voglia e capacità di investire. Non a caso, con il senso pratico che la contraddistingue, la Allaster qualche anno fa aveva definito la vittoria della cinese Na Li su Francesca Schiavone nella finale del Roland Garros 2011 «una delle più grandi fortune per le strategie della WTA». UNA BOCCATA D’OSSIGENO Conti alla mano il Masters è fondamentale per le casse dell’Associazione. Al momento si registra il sold-out soltanto per le finali (singolare e doppio) di domenica prossima, ma la campagna promozionale è tambureggiante da mesi. Quest’anno, durante ogni torneo, le giocatrici più note hanno posato accanto a cartelli stradali che simboleggiavano la «Road to Singapore». Il sontuoso Singapore Indoor Stadium, che da oggi ospita gli incontri, si trova nel complesso noto con il nome di “Singapore Sports Hub”, accanto al National Stadium, un impianto all’avanguardia da 55mila posti in cui venerdì si esibirà una star internazionale della musica pop come Mariah Carey. Un evento nell’evento. Il numero delle coppie in gara nel doppio è aumentato da 4 a 8 per dare maggior visibilità e tra gli eventi collaterali è in programma un torneo tra ex grandi campionesse (WTA Legend Classic), cui parteciperanno Martina Navratilova, Tracy Austin, Marion Bartoli e Iva Majoli. Spazio anche alle campionesse del futuro con un torneo riservato alle migliori giovani dell’area Asia-Pacifico. TORNEO APERTO La WTA ha fatto tutto il possibile per creare uno spettacolo senza precedenti, ora la parola passa alle giocatrici. Sarà lotta per la posizione n.1 nel ranking mondiale tra Serena Williams e Maria Sharapova. Il campo di partecipazione è affascinante, con il ritorno di alcune delle giocatrici più amate dal pubblico come Ana Ivanovic e Caroline Wozniacki, nonché l’esordio di Eugenie Bouchard, la nuova pin up del circuito. In più il torneo sembra aperto ad ogni soluzione perché Serena, vincitrice delle ultime due edizioni, è meno favorita del solito. La 33enne statunitense ha vissuto una stagione a due facce: ha vinto più titoli di tutte

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