ATP Finals, i protagonisti: Prima di tutto, Kei Nishikori

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ATP Finals, i protagonisti: Prima di tutto, Kei Nishikori

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TENNIS MASTERS – L’allievo di Michel Chang ha già collezionato un numero impressionante di primati. E non si fermerà.

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Il primo tennista asiatico ad arrivare alle Finals. Il primo giapponese ad arrivare agli ottavi di finale dello US Open dal 1937, quando Jiro Yamagishi si arrese al povero Joe Hunt che morirà in guerra neanche 26enne. Il primo giocatore asiatico ad arrivare in una finale slam. Il primo ad entrare nei primi 40 e naturalmente nei primi 30, 20, 10… Più giovane non testa di serie a sconfiggere un top4 a New York (Ferrrer) dopo Bjorn Borg che c’era riuscito contro Ashe.  Primo giapponese a sconfiggere un numero 1 del ranking. Per quanto questi risultati possano anche apparire dei record secondari l’uragano Nishikori si è abbattuto sul tennis mondiale quasi con la stessa potenza con la quale si era abbattuto Del Potro. Ma a differenza dell’argentino, che anche fisicamente, sembrava potersi scagliare con i FabFour senza temerli, il giapponese ha schiantato uno dietro l’altro Federer, Nadal e Djokovic non riempendoli di terrificanti bordate ma giocando con un anticipo straordinario e con un’intelligenza tattica fuori dal comune. Quanto ci sia di Chang su quest’ultima caratteristica non lo sapremo mai, ma Kei non è uno facilmente disposto a concedere meriti, per quanto i suoi allenatori ne riconoscano la grande capacità di ascoltare e imparare. Quando a Barcellona gli chiesero di Chang disse “non è che adesso gioco diversamente da prima”, sostenendo che forse – forse –  il cinoamericano gli aveva dato maggiore convinzione. 

Il suo cammino di quest’anno è stato a volte irresistibile, spesso fermato solo dagli infortuni. In Australia fa vedere i sorci verdi al Nadal dei giorni pari, costrigendo lo spagnolo a due tiebreak e un long-set, poi vince Memphis ed è costretto a fermarsi per un infortunio. Quando torna si assesta un po’ a Indian Wells e a Miami è pronto per prendere a pallate un Federer più che buono. Ma lo sforzo gli costa troppo, non scende in campo contro Djokovic, si ripresenta  a Barcellona e vince passeggiando sugli avversari. In terra catalana forse si avverte un secondo scricchiolio, oltre a quello fisico. Il giapponese si distrae un po’ nei game di inizio set ma soprattutto gli servono sempre più di un paio di match point per chiudere la gara. In ogni caso non sembra uno che si possa fermare facilmente. A Madrid perde troppo tempo in semifinale e mentre Nadal è quasi ridotto all’avvilimento come forse neanche Djokovic 2011 riusciva a fare, la gamba non risponde più, è costretto a fermarsi. Ripende a Parigi ma esce subito, non è pronto. A Wimbledon ha problemi persino con il nostro Bolelli e poi si arrende a Raonic per l’unica volta in carriera. Si ferma ancora, sembra non debba giocare a New York poi ci ripensa e viene fermato solo in finale dopo aver cotto Djokovic in semi. Quando torna a giocare naturalmente vince il torneo di Kuala Lampur e quello di casa a Tokyo. Si ferma solo in semifinale a Bercy, stavolta Djoko non ha il sole a picco e può prendersi la sua rivincita, ma, ancora, soltanto dopo che Kei perde troppo tempo nei turni precedenti. 

A ripercorrere l’annata sembra che ci sia davvero molto poco da scherzare: se il giapponese non ha malanni non perde. Il girone è stato poco clmente con lui, perché se con Raonic difficilmente potrà soffrire in Federer e Murray trova forse i peggiori clienti che gli potevano capitare: il primo perché per quanto possa provare ad anticipare si troverà di fronte uno che tende a chiudere in 3-4 scambi; il secondo perché è capace di rimandare dietro di tutto per poi provare ad attaccarlo. Con Murray Nishikori non ha mai vinto. Ma non sarà certo una “prima volta” a intimidire Kei. 

 

 

 

 

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