Federer, il tabù Davis sfatato con una telefonata (Martucci). Mito Federer, conquista anche la Davis (Clemente). La prima Davis, Federer in lacrime (Clerici). E’ Roger Cup, anche la Davis sedotta da Federer (Piccardi). Davis alla Svizzera, Federer chiude il cerchio (Semeraro). Federer ancor più nella leggenda (Giorni). E’ la Davis di Federer, ma Wawrinka ha grandi meriti (Giua)

Rassegna stampa

Federer, il tabù Davis sfatato con una telefonata (Martucci). Mito Federer, conquista anche la Davis (Clemente). La prima Davis, Federer in lacrime (Clerici). E’ Roger Cup, anche la Davis sedotta da Federer (Piccardi). Davis alla Svizzera, Federer chiude il cerchio (Semeraro). Federer ancor più nella leggenda (Giorni). E’ la Davis di Federer, ma Wawrinka ha grandi meriti (Giua)

Pubblicato

il

 

Federer, il tabù Davis sfatato con una telefonata (Vincenzo Martucci, Gazzetta dello Sport)

All’inizio, Roger Federer ha preso la Davis come un gioco, Aveva 17 anni, i capelli biondi tinti, il sorrisetto da Gian Burrasca e la voglia matta di stupire. Troppa. Il capitano-giocatore, Marc Rosset, già l’aveva aggregato al gruppo, ma era stato Claudio Mezzadri a farlo esordire, contro l’Italia, nel 1999, a Neuchatel, quando piegò Davide Sanguinetti. Un segno del destino perché poi, in Italia, avrebbe anche messo la prima firma Atp, nel 2001, a Milano. Rogerino aveva in mente soprattutto i tornei, e per anni la gara a squadre più famosa gli lasciò più ferite che soddisfazioni, con Escudé a Neuchatel 2001, ma soprattutto con Hewitt il selvaggio, nella semifinale da sogno di Melbourne nel 2003, quando andò avanti due set a zero, ma poi crollò, di gambe, e la sua Svizzera perse 3-2.

Negli spogliatoi pianse di rabbia, ma si convinse definitivamente della necessità di diventare un atleta vero. Perciò ingaggiò il mago dei muscoli, Pierre Paganini, e cominciò a preservare il fisico dagli infortuni allungandosi la carriera fino ai 33 anni di oggi. Quell’avventura gli aprì anche gli occhi sulla solitudine dei numeri 1, soprattutto in un paese come la Svizzera, dove il numero 2 è molto lontano e non pub aiutarti davvero in una maratona dura come la coppa Davis. I suoi compagni, con tutto il rispetto, erano Manta, Bastl, Allegro, Kratochvil, Bohli, Lammer e Chiudinelli, e l’ultimo aggregato, Stanislas Wawrinka, si allenava tanto ma non veniva fuori, con il suo gioco meccanico e potente. Del resto, Roger era troppo attratto dal circuito pro, degli Slam, dalla sirena troppo forte e persuasiva della rincorsa alla storia del tennis. Così, nel momento d’oro, dal 2003 al 2010, quando colleziona 16 titoli dell’immortalità, fra Australian Open, Roland Garros, Wimbledon e Us Open, si disinteressa della Davis, presentandosi alle convocazioni qua e là, snobbandola spesso, arrivando in extremis come salvatore della patria agli spareggi per non retrocedere in serie B, e scatenando infine anche le prime proteste casalinghe: lui, il dio dello sport nazionale, il personaggio che ha fatto sentire per la prima volta davvero grande la piccola Svizzera. Con il cucciolo di casa, «Stanimal», come lo chiama Roger, che ha alzato per ultimo la voce: «Perché non dai un po’ d’attenzione anche a noi?».

Una tirata d’orecchi importante che, insieme al primo successo Slam, agli Australian Open, ha spostato i riflettori sul giocatore diligente ma non appariscente, un po’ il Corrado Barazzutti di Svizzera, che tanto contrasta con l’Adriano Panatta elvetico, per riportarci ai mitici eroi della Davis azzurra del 1976. Tanto l’uno è anonimo nel gioco come nella personalità, tanto l’altro è capace con una pennellata di portare dalla sua parte anche il pubblico avversario e di attirare tutte le attenzioni, a prescindere dal risultato. Ma, col suo impegno, coi primi successi, e poi con la presenza sempre più costante nei grandi tornei e fra i «top ten», il Brutto Anatroccolo ha finalmente convinto il Magnifico che magari, chissà, la Davis non era proprio la chimera irraggiungibile come ha pensato per anni e gli ha fatto rivedere il calendario stagionale sempre organizzato con precisione svizzera, alternando settimane di tornei, riposo, allenamento, e poca Davis.

E’ andato tutto bene, finché il destino non si è messo di traverso più volte nelle ultime due settimane. Prima ha spinto Federer a giocare di più, troppo, per scalzare in extremis Djokovic dal numero 1 del mondo. Poi gli ha bloccato la delicatissima schiena proprio alla vigilia della finale del Masters, otto giorni fa, terrorizzando Roger e la Svizzera a un passo dal sogno. Con tanto di incidente diplomatico per la signora Federer super-tifosa. Con la Francia che già si fregava le mani al pensiero delle ultime due Davis vinte proprio per infortunio dell’avversario principale. E invece no, invece, proprio quando sembrava che il tabù Davis restasse tale, Roger s’è ribellato come altre volte negli Slam — «avevo l’esperienza di Wimbledon 2003 e 2012», ha raccontato lui — ed ha forzato il suo talento per la squadra, per la nazione, per il pubblico, e ancora di più per sé stesso. Perché nella sua incredibile bacheca gli mancava proprio la Coppa per completare una collezione inimmaginabile (…)

—————————————————–

Mito Federer, conquista anche la Davis (Valentina Clemente, Corriere dello Sport)

E’ stato un viaggio, un’avventura costruita nel tempo, questa vittoria in Coppa Davis della Svizzera, la meno attesa (per le problematiche delta vigilia), eppure la più desiderata. Si dice spesso che il successo arrivi nelle mani di chi la cerca e a spingerei desideri rosso-crociati c’è stata una tensione verso l’alto che è stata diametralmente opposta a quella della Francia, vittima forse più dei suoi fantasmi che del campo. È vero che l’incontro decisivo, che ha visto in campo Roger Federer e Richard Gasquet, è stato un disegno quasi perfetto del campione di Basilea, ma allo stesso tempo è stata una partita che ha visto l’umanità dei due protagonisti emergere a fior di pelle. Confermando le voci che circolavano nella serata di sabato, Jo-Wilfried Tsonga ha dato forfait per un problema al gomito e al suo posto, raccogliendo il peso di quello che poi è stato l’incontro decisivo, si è fatto avanti Gasquet, già poco convincente nel doppio.

L’avvio dell’incontro è stato sul filo della tensione perché i due protagonisti hanno “servito” sia vincenti sia errori gratuiti, ma alla distanza è stato lo svizzero a trovare il ritmo migliore, dimostrando ancora una volta tutta la vivacità e la completezza del suo tennis nonostante i suoi bistrattati 33 anni. II gioco ha vissuto a suo modo un ritmo intenso e senza pause: Federer ha cercato di non farsi trovare impreparato ai ritorni di fiamma di Gasquet e per mettere ancora di più la pressione al suo sfidante, in avvio di secondo set, ha conquistato il servizio del francese con mestiere. Dopo il break, il parziale è scivolato via senza grandi sussulti, se non quelli dei francesi perle difficoltà riscontrate sul terreno dal loro portabandiera. 1a parte più densa e intrinseca di significati è legata però al terzo set dove Gasquet ha cercato di aggrapparsi disperatamente al risultato, mentre Federer in retta d’arrivo ha commesso qualche sbavatura in più. Il tutto è rientrato nei ranghi al quarto game, quando lo svizzero ha messo a segno il break che ha portato all’allungo decisivo.

Il resto è la storia: le immagini, l’ultimo punto quando Roger cade sulle ginocchia, piange e si stende sulla quella terra rossa spesso nemica II capitano Severin Luthi corre a raccoglierlo, ad abbracciarlo, a portarlo in trionfo verso i compagni, perché è la squadra che ha vinto, unita soprattutto nei momenti difficili. Il riassunto migliore del week end è stato nelle parole di Stan Wawrinka: «La situazione è cambiata nel giro di due giorni: siamo arrivati qui sfavoriti, secondo la stampa, per i problemi di Roger alla schiena e le nostre dispute a Londra. Penso che la miglior risposta l’abbiamo data sul campo, parlando poco e focalizzandoci su quello che era il nostro obiettivo, come abbiamo sempre fatto. Siamo felici perché abbiamo conquistato questo trofeo punto dopo punto».

Federer da parte sua si è messo di lato, lasciando il centro della scena proprio al compagno di squadra, perché sa che il peso del suo personaggio avrebbe potuto oscurare un successo costruito sul collettivo: «È stato Stan metterci in posizione favorevole, vincendo il primo punto venerdì. È stata una settimana lunga, per il nostro team, ma la migliore di tutte: la maggior parte delle persone che lo compongono sono lì da dieci anni e ora festeggiamo tutti insieme questo prestigioso traguardo. Volevamo vincere disperatamente questa Coppa, specialmente dopo essere passati in vantaggio. Ho spinto punto dopo punto e il fatto che dietro di me ci fossero Stan e gli altri mi ha dato una carica ancora maggiore (…)

————————————————

La prima Davis, Federer in lacrime (Gianni Clerici, La Repubblica)

Roger Federer ha vinto per la Svizzera la prima coppa Davis, dopo che Mr. Dwight l’aveva inventata. Vinta, mormora un mio vicino di banco insubro, dopo che per nove volte la distrazione l’aveva spinto a non considerarla un ‘must’ nei suoi programmi. Si è tuttavia commosso non meno che a Wimbledon e, contrariamente al solito, forse per preservare la schiena, si è abbandonato in un tuffo in avanti sulla terra, quasi un nuotatore. La vittoria di Roger mi era parsa indubbia sin da ieri notte quando, al banchetto ufficiale al quale ero penetrato abusivamente, avevo sentito il piccolo presidente Gachassin, l’ex-Peter Pan del rugby, annunciare con involontaria innocenza che Jo Tsonga aveva male ad un gomito. Ben noto per la mia mancanza di senso dello sgub, mi ero una volta di più rattristato che il giornale fosse già chiuso, perché qualsiasi bookmaker inesperto avrebbe offerto la vittoria di Gasquet contro Federer a quote iperboliche.

Sono io stesso uno dei più delusi ex ammiratori di Gasquet, che definii anni addietro un nuovo Mozart, dopo averlo ammirato bambino dominare il torneo dei Petits As a Tarbes. Figlio di due maestri di tennis, Gasquet non era riuscito a sottrarsi al suo destino e i suoi splendidi gesti avevano fatto sperare molti di rivedere in campo l’elegantissimo n. 1 Rene Lacoste. In un susseguirsi di affermazioni seguite da rovesci, il Mozart mancato era finito nelle tenere mani del mio allievo Riccardo Piatti, che l’aveva risollevato, alimentando antiche speranze. Lasciato da un Piatti deluso, Gasquet era scivolato via via indietro, sino all’odierno n. 26.

Cosa poteva fare una simile speranza fallita, con un Federer liberato dal mal di schiena e, forse, da Mirka? Mi ero addormentato sicuro di vedere una partita solo per quei tifosi pronti a trasformare la Davis uno spettacolo paracalcistico, sommerso di ferini clangori. Nel riguardare insultati del povero Gasquet contro Federer, avevo rilevato tuttavia due vittorie, una del lontano 2005, e una più recente, del 2011, tutte e due sulla terra, ma contro ben 10 sconfitte. L’ultima delle quali, quest’anno, addirittura per 6-1, 6-2. Appassionato di cinema quale sono, avevo addirittura cercato di immaginarmi un happy end, in cui il campione fallito riesca a riprendersi grazie all’amore di Marianna e batta il presunto più grande di tutti i tempi. Apoteosi, sfilata ai Champs- Elysèes insieme a Delhomme ( che oggi non c’era ), decorazioni e pensione assicurata Cosa mai sarebbe accaduto nell’ultimo match tra Monfils e Wawrinka, che non è certo un eroe? E’ tuttavia noto agli aficionados che gli happy end avvengono quasi soltanto al cinema. E quindi, per chi non possedesse tromba, tamburo, finte chiome bianco-rosso-blu e sonori preservativi per elefanti, la partita era segnata Gasquet ha fatto quasi pari nella diagonale di rovescio, con i suoi splendidi gesti di altri tempi, ma è stato sommerso da servizi e volè, per non parlare dei diritti (…)

————————————————

E’ Roger Cup, anche la Davis sedotta da Federer (Gaia Piccardi, Corriere della Sera)

Mirka è rimasta a casa, lasciandogli il palcoscenico. E la Francia, tutta (i 27.448 spettatori nello stadio Pierre Mauroy, incluso il presidente Hollande, più il quartetto mal assemblato da capitan Clement, la cui panchina ora traballa paurosamente), sedotta e abbandonata dall’anziano latin lover del canton Svitto, ha finito per spellarsi le mani davanti alla leggenda inzaccherata di terra rossa e lacrime. È la Roger Cup anche se a sollevarla sono dieci mani svizzere di contribuenti a bassissima tassazione: l’amico d’infanzia Laminer, il doppista Chiudinelli, il capitano-psicologo Luthi e l’eterno secondo Stanislas Wawrinka (r titolo Slam contro 17), l’architrave del primo trionfo della Svizzera in Coppa Davis inevitabilmente schiacciato dall’insostenibile pesantezza dell’essere compagno di squadra di Roger Federer, Monsieur Tennis. Era arrivato a Lille spaccato in due dal mal di schiena, frustrato dal ritiro nella finale del Masters con Djokovic e amareggiato dalla discussione con Wawrinka, il sodale di Losanna che si era creduto Federer per due settimane in Australia lo scorso gennaio, annettendosi un titolo che non ha mai sanato l’atavico complesso di inferiorità nei confronti del maestro. Il casus belli era Mirka, la signora Federer, troppo vivace nell’incitare Roger nella semifinale tutta svizzera del Masters, prudentemente rimasta nel villone di Wollerau con i quattro gemelli.

È ripartito, stamane, arzillo come un ragazzino 33enne al culmine della carriera, dopo aver riempito la penultima casella che gli rimane per completare l’en plein (l’ultima sarà l’oro individuale all’Olimpiade: ne ripartiamo a Rio 2016). «È impossibile paragonare questo risultato ad altri del passato. Quando ho vinto il primo Wimbledon ero sotto choc. Con la Davis, che non volevo fallire, è una sensazione diversa perché in campo non si è da soli. Ora provo una delle gioie più grandi. La Svizzera è un paese piccolo: speriamo che questo trionfo ispiri una nuova generazione di tennisti e stimoli gli investimenti nello sport», ha detto nel garbato politichese che mastica in cinque lingue diverse, perfetto manager di se stesso fino all’ultimo granello di quella palude di polvere di mattone che la Francia gli aveva apparecchiato sotto le suole, ottenendo venerdì con Monfils l’illusione di un totem che vacilla.

Sull’1-1, con l’opinione pubblica francese tiepida nei confronti degli enfant du pays cui non perdona di pagare le tasse proprio in Svizzera, è stato Wawrinka a rimettere in carreggiata la sfida nel doppio, prendendosi sulle spalle un Federer ancora indeciso tra gloria o martirio, mentre Tsonga usciva di scena per un infortunio gestito come peggio non si poteva dal team francese, tanto da presentare al Migliore come vittima sacrificale, sotto 1-2, il magnifico perdente Richard Gasquet, già deludente con Benneteau. È la Federer Cup perché al mondo c è una giustizia superiore. E quando la storia si ferma ad aspettarti, consentendoti di disegnare la stagione intimo all’insalatiera (3-2 all’Italia in semifinale) e di recuperare da un infortunio che non poteva/doveva inquinare il corso naturale delle cose, non resta che sedersi intorno a un tavolo di Lilla con gli occhietti ancora umidi e dire grazie (…)

————————————————————

Davis alla Svizzera, Federer chiude il cerchio (Stefano Semeraro, La Stampa)

E così il terzo giorno la risurrezione si è completata, il Federer evanescente e dolorante del primo giorno si è trasfigurato, apparendo in tutta la sua gloria e abbagliando il povero Gasquet. La parabola si è chiusa. Tre a uno per la Svizzera, dopo un’ora e 56 di pubblica umiliazione (6-4 6-2 6-2) e ora che la finale è andata come tutto il mondo – tranne i francesi, ma neppure tutti – sognavano, resta da capire se è più la Davis ad aver completato il palmares di un Federer infinito, o più la sua firma che nobilita la vecchia Zuppiera. Tutti i grandissimi del Gioco l’avevano alzata almeno una volta, da Borg a Becker ed Edberg, da McEnroe a Sampras, da Agassi a Djokovic e Nadal. Mancava solo lui, il 2lesimo fra i 25 n.1 dell’era del computer (e la Svizzera la 148 nazione) ad aggiudicarsi la Coppa. «Erano 15 anni che la inseguivo, e non c’ero mai arrivato così vicino», ha detto dopo il drop-shot ricamato con l’uncinetto dell’ultimo punto, la genuflessione sulla terra rossa, i rituali lacrimoni a beneficio interiore e a favore di telecamere. «Sono contento di aver contribuito ad un momento storico del mio Paese, ma questo è un successo della squadra. Di Wawrinka, che ha dato tanto in questi anni, e degli altri ragazzi. Io ho vinto abbastanza nella mia carriera, non avevo bisogno di questo per riempire una casella».

E’ l’orgoglio un po’ ganassa di un fuoriclasse che la Davis l’ha lungamente considerata (a torto) un di più, quasi un fastidio. Un trofeo fossile che intralciava preparazione e programmazione. Nessun tennista svizzero ha vinto tanti match di Coppa (50) ma nella sua epoca dorata Roger l’ha quasi sempre onorata come si fa con un contratto, giusto per evitare che la Svizzera scivolasse in serie B (e neppure sempre: nel play-off salvezza dello scorso anno contro l’Ecuador la firma ce l’ha messa solo Wawrinka). A 33 anni però per hai non è più tempo di scorpacciate negli Slam (il conteggio è fermo da due anni a quota 17). Roger ha capito che il momento di colmare le lacune è arrivato e gli astri, magicamente, si sono allineati: le assenze di Nadal e Djokovic, il boom di Wawrinka in Australia, il calendario favorevole a gennaio l’avevano convinto che si, stavolta si poteva fare. E senza troppa fatica.

Una visita in Serbia, i brividi inattesi con il Kazakistan, dove ha rimediato al crollo di Wawrinka; la passeggiata a Ginevra con l’Italia Alla vigilia della finale di Lille la schiena malandata e l’incidente diplomatico con l’amico Stan sembravano poter scompigliare i piani, paradossalmente però la squadra davvero malconcia si è rivelata la Francia, confusa dalle scelte sbagliate del ct Clement e dagli infortuni (veri o presunti) del numero 1 dei galletti, Jo-Wilfried Tsonga. Così Roger ha stretto i denti con Monfils, ha fatto da spalla di lusso a Wawrinka in doppio e ieri ha pasteggiato sui resti tecnici e nervosi di Riccardino Gasquet. I 27.400 del «Pierre Mauroy» lo hanno applaudito come si fa con un eroe di tutti (…)

———————————————

Federer definitivamente nella leggenda (Alberto Giorni, Il Giorno)

L’ultimo ricamo di rovescio è la firma d’autore a una pagina di storia. Roger Federer si allunga in lacrime sulla terra promessa, entrando ancor di più nella leggenda: la Coppa Davis, unico grande trofeo che gli mancava, farà bella mostra di sé nella sua bacheca e in quella della Svizzera. Il 6-4, 6-2, 6-2 a Richard Gasquet è una lezione di tennis e il punto esclamativo del 3-1 alla Francia padrona di casa. «Hopp Suisse, hopp Suisse!», canta alla fine a squarciagola lo spicchio rosso di tifosi elvetici nello stadio Pierre Mauroy di Lille, isola nella marea blu dei 27mila francesi delusi, che però sportivamente dedicano un lungo applauso al «meilleur joueur de tous les temps», come lo chiama lo speaker. Può commuoversi ancora chi ha vinto 17 Slam? Sì, l’antico fascino della Davis resta speciale.

E’ un trionfo di squadra. Stanislas Wawrinka è stato fondamentale conquistando il primo singolare e offrendo un importante contributo nel doppio. E’ ovvio però che tutti i riflettori siano su Federer, risorto rispetto al fantasma acciaccato di venerdì che ha dovuto cedere a Monfils. In passato è stato criticato parecchio perché spesso non si rendeva disponibile per la sua Nazionale, privilegiando i tornei individuali. A 33 anni Roger ha capito che, con un Wawrinka a un livello così alto, era la stagione buona per provarci con decisione e mettere la ciliegina su una carriera inimitabile. Missione compiuta, superando anche l’Italia in semifinale: lo screzio di una settimana fa tra i due dopo la semifinale del Masters sembra lontano anni luce. Nella sfida delle panchine, il capitano Luthi ha dato scacco matto al collega transalpino Clement, che salirà sul banco degli imputati. A sorpresa ieri ha escluso Tsonga in favore di un Gasquet mai in partita ed è sfumato così il sogno della decima coppa; il digiuno francese dura dal lontano 2001.

L’unione fa la forza: sulle note dell’inno svizzero, Federer, Wawrinka, Chiudinelli e Lammer alzano insieme la storica Insalatiera d’argento, consegnata dal presidente ITF Ricci Bitti, e sono l’immagine della felicità. «La coppa non è per me, ma per loro – dice Federer con gli occhi lucidi indicando i compagni e lo staff –. Io non avevo bisogno di questo successo, la Svizzera lo meritava: siamo un piccolo Paese e non vinciamo grandi eventi tutte le settimane. Sono 15 anni che gioco in Davis e averla fra le mani è un’emozione indescrivibile; complimenti a Stan, il suo successo di venerdì ha aperto la strada». A essere pignoli, all’infinita collana di Roger manca un’ultimissima perla, l’oro olimpico in singolare: appuntamento a Rio 2016.

———————————————-

E’ la Davis di Federer, ma Wawrinka ha grandi meriti (Claudio Giua, repubblica.it)

Il rovescio a una mano è da anni un’eccezione tra i giocatori di prima fascia: meno del dieci per cento lo preferisce al colpo bimane, gli altri forse lo considerano un residuo di un tennis antico, sorpassato. Non è così: tra gli irriducibili del classic one-handed backhand si contano alcuni tra i migliori giovani, da Grigor Dimitrov e Dominic Thiem, e tra i più forti degli ultimi due lustri, come gli svizzeri Roger Federer e Stan Wawrinka. Sono proprio loro due, efficacissimi testimonial del colpo più scenografico del tennis, a guadagnarsi l’ultima standing ovation della stagione 2014 con l’impresa realizzata in terra di Francia, a Lille. L’uomo che impersona la sconfitta dei francesi nella finale di Coppa Davis è tuttavia un altro esegeta del rovescio a una mano, il supercampione molto annunciato e mai compiuto Richard Gasquet, ieri in drammatico tono minore nel doppio con Julien Benneteau e oggi incapace di mettere in difficoltà Federer nel quarto match del confronto transfrontaliero, quello della speranza amaramente delusa del capitano Arnaud Clement.

Con il limpido trionfo su Gasquet (6-4, 6-2 6-2 in un’ora e 52 minuti) il numero 2 al mondo, in balía solo 48 ore fa di Gael Monfils, ha conquistato uno dei pochi titoli che mancava nel suo curriculum, quello di campione mondiale con la nazionale rossocrociata. La sua grande felicità s’è espressa con il tuffo sulla terra rossa e con qualche lacrima. Ma va detto che buona parte del merito del successo di squadra, il primo nella storia svizzera, va riconosciuto a Stan Wawrinka, travolgente venerdì con Jo-Wilfried Tsonga e perno portante della coppia con Federer ieri.

Contro Gasquet, Roger ha sfoggiato un gioco pulito e concreto, senza errori e con alcuni acuti che hanno entusuasmato il pubblico dello Stade Pierre Mauroy, meno sciovinista di quanto m’aspettassi. Ha controllato l’emozione – gareggiare per i colori nazionali non è come farlo per se stessi – fino al colpo del ko, un incrociato a campo preventivamente sgombrato che entrerà nell’immaginario sportivo svizzero come in quello italiano si scolpì il gol di Rivera nei supplementari della semifinale di Città del Messico con i tedeschi, nel 1970.

Non credo che adesso a Federer importi l’aver mancato l’altro obiettivo della sua fantastica stagione, che era arrivare alla sosta invernale da numero uno ATP. Festeggerà stasera con Stan Wawrinka, con il capitano-amico Severin Lüthi, che quest’anno non ha sbagliato una scelta, con Marco Chiudinelli e Michael Lammer, comprimari e ottimi sparring partner. Spero li raggiunga Mirka, la moglie di Roger, protagonista una settimana fa dell’episodio che aveva irritato Wawrinka durante la semi delle ATP Finals, e che forse d’ora in poi adotterà la linea di un maggiore understatement. Ma sono dettagli in uno dei giorni più memorabili per Roger, che inizierà il 2015 con sicurezze e stimoli persino maggiori di quelli degli ultimi anni.

Continua a leggere
Commenti
Advertisement

⚠️ Warning, la newsletter di Ubitennis

Iscriviti a WARNING ⚠️

La nostra newsletter, divertente, arriva ogni venerdì ed è scritta con tanta competenza ed ironia. Privacy Policy.

 

Advertisement
Advertisement
Advertisement