Wallace, Federer e Sampras: il tennis come esperienza religiosa (II)

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Wallace, Federer e Sampras: il tennis come esperienza religiosa (II)

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TENNIS LIBRERIA – Seconda puntata della piccola biblioteca del tennis dedicata a David Foster Wallace, le conclusioni sul classico della letteratura tennistica: Il tennis come esperienza religiosa (Pier Paolo Zampieri)

Eravamo tutti un po’ più giovani, eravamo a Wimbledon, era solo il 2006. Quella domenica di Luglio non era un giorno come un altro. I più forti tennisti del mondo si scontrano nel più importante campo da tennis del mondo, davanti al più grande scrittore di tennis del mondo. Federer come esperienza religiosa è il risultante di quella specie di kolossal in 3D (e la seconda parte del libro in questione). Un’atmosfera così non si respirava dalla Golden Age del tennis contemporaneo. Quando le pietre focaie Borg e McEnroe incendiarono uno sport ancora d’élite, catapultandolo dentro la dimensione globalizzata dell’immaginario pop. Se prima i tennisti erano semplicemente campioni, dopo quel famoso tiebreak diventarono delle pop star, dei divi. Con Federer siamo allo step successivo. C’è qualcosa oggettivamente impossibile da spiegare davanti alle emozioni che ogni suo gesto suscita. I superlativi sono ormai esauriti e anche categorie come semidivinità, leggenda, mito non sono sufficienti a spiegare quello che forse Freud definirebbe il più grande produttore di pensieri omosessuali latenti del mondo.

Il pezzo di Wallace affronta questo enigma di carattere estatico e ci restituisce alcune tra le più belle pagine che io abbia mai letto sul tennis (e non solo). Il medium d’indagine è sua maestà la Scrittura che sconfina sul piano dell’estetica e della religione chiamando in causa l’essenza stessa dell’essere umano e il suo rapporto antropologico con il mistero della bellezza. Le poche pagine in questione trasformeranno paradossalmente Wallace in un oggetto di culto quasi pari all’amato svizzero.

Molto di questo è già stato detto, anche in questo stesso sito e non è bello ripetersi ma il vantaggio di una rubrica come questa è permettersi di rileggere in maniera critica i libri, anche con lo sguardo del presente. Direi che questi quasi dieci anni trascorsi da quando eravamo tutti più giovani, non hanno lasciato una sola ruga sulla pagina ma solo un grande neo. Wallace incantato dall’aurea d’invincibilità del Federer targato 2006 non ha colto l’incredibile carica drammaturgica rappresentata della figura di Nadal. Dobbiamo parlarne.

Sui pregi faccio in fretta. Praticamente in sole tre pagine Wallace riscrive il vocabolario del tennis contemporaneo. Il (ex?) dritto di Federer viene battezzato “un’ampia frustata liquida”. Il moderno gioco d’attacco da fondocampo composto di mera orizzontalità viene chiamato “schema a farfalla” e poi ci sono i famosi “Federer Moments”, quei momenti in cui lo svizzero compie gesti tecnici inaccessibili agli esseri umani “Sembrava di vedere «Matrix». Non mi ricordo il genere di suoni emessi, ma mia moglie dice che quando è entrata in stanza il divano era coperto di popcorn e io ero in ginocchio, con i bulbi oculari tipo quelli dei negozi di scherzi”.

Se è possibile questo straordinario livello descrittivo è la parte meno interessante. Quello che è davvero meraviglioso è lo sforzo di capire perché quei gesti ci suscitano emozioni così forti. In due parole la spiegazione sta nell’esperienza religiosa contenuta nel titolo. Quella capacità tutta umana di entrare in vibrazione simbolica con cose più grandi di noi che ci permette l’accesso a dimensioni estatiche. In quest’ottica Federer è una specie di medium. Il vero paradosso è che l’unico dispensato da questo enigma è proprio lo svizzero. Quel colpo che a noi non sembra nemmeno pensabile per lui è normale. Dove noi vediamo scie di palline gialle imprendibili, lui vede palloni da basket da colpire. Più o meno. Per un approfondimento vi rinvio al pezzo di un paio di anni fa. Parliamo adesso del neo. Col senno del poi un neo bello grosso.

Wallace vede in Federer l’uomo capace di traghettare il power tennis contemporaneo verso dimensioni non più prevedibili. In due parole “La cosa straordinaria di Federer è che è Mozart e i Metallica allo stesso tempo, e l’armonia è squisita”. Lungi da sfuggire alla dittatura della potenza del tennis contemporaneo Federer lo incorpora in gesti classici. Pochi tirano più forte dello svizzero. È questa la grande magia. Il più classico di tutti che tira più forte di (quasi) tutti i contemporanei. I greci ci insegnano che senza conflitto non c’è storia, non c’è narrazione. Quella è la contraddizione che rende drammaturgico, metafisico e inspiegabile lo svizzero. Il futuro si è riaperto. Chapeau Mr. Wallace, ma forse non basta. Due anni dopo il più contemporaneo di tutti i tennisti ha battuto il più classico proprio in quello stesso prato che rappresenta il tempio e la storia del tennis. Da lì (ma forse ancora di più dall’Australian Open successivo) è cominciata un’altra storia, ancora più potente e inspiegabile. Quella catena di sconfitte inflitte da Nadal che sembravano “solo” una diretta conseguenza della maledetta terra rossa sono diventate altro. Un vero paradosso logico che suona così: Federer è il Più Forte di Tutti ma Nadal è più Forte di Federer. Chiunque cerchi di sbrogliarlo precipita nella trappola drammaturgica alimentandola ulteriormente.

È questa contraddizione insolubile il dramma (dal greco δρᾶμα, “drama” = azione, storia) che ha proiettato l’attuale epoca in una Nuova Golden Age difficilmente ripetibile che verrà ricordata, rimpianta e celebrata per decenni. Detta diversamente Nadal che nel racconto di Wallace è quasi uno sparring partner, anche se extra-luxe, ha rappresentato la seconda pietra focaia di quel Grande Big Bang chiamato Tennis contemporaneo.

Prossimo libro: Drucker J. (2004), Jimmy Connors mi ha salvato la vita, Effepi Libri, 2006.

Puntate precedenti:

Wallace D.F., Il tennis come esperienza religiosa, tr. Granato G., Einaudi, 2012

Agassi A., Open, Einaudi, 2011

Clerici G., (1974), 500 anni di tennis, Mondadori, 2004

[1] E’ questo il motivo perché le sfide Djokovic vs. Nadal non hanno lo stesso sapore. La posta in palio è qualitativamente minore. Chi vince è semplicemente migliore dell’altro.

Pier Paolo Zampieri

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