#TennisDiPeriferia: Lusso e relax a Roma nord, nel regno del padel

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#TennisDiPeriferia: Lusso e relax a Roma nord, nel regno del padel

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Di tennisti di provincia che giocano nei super circoli di Roma, di gente che prende la tintarella a novembre, di set persi con un vantaggio di cinque a zero, di partite che devono finire in un’ora e mezza, di imitatori di Rafael Nadal e di Roma nord regno del padel: il tennis di periferia è anche questo

Ci sono ricascato. Non sembrava, ma c’ero rimasto male da quel match perso nel ritorno alle gare dopo molti anni. Allora, qualche giorno dopo la disfatta, ho dato un’occhiata al calendario dei tornei della FIT Lazio e ho scelto di iscrivermi al torneo del Due Ponti, un circolo dove non ero mai stato e che volevo tanto vedere, io che sono cresciuto tennisticamente in provincia, dove si chiamano circoli tennis due campi contigui e una catapecchia eretta a mattoni forati senza riscaldamento che funge da spogliatoio. Ho imparato a conoscere in età under, quando si giocavano le gare di Coppa Italia a squadre nelle trasferte romane, alcuni fra i circoli più blasonati della Capitale. Ogni volta rimanevo impressionato nel vedere questi enormi centri sportivi, dove si poteva socializzare anche senza giocare, guardando la televisione sui divani della club house oppure mangiando qualcosa al ristorante. Da noi invece si andava al circolo solo per giocare o per vedere qualche amico farlo mentre si mangiavano le solite patatine comprate nel mini bar. Il Due Ponti ad ogni modo non lo avevo mai visto.

Il circolo è sua via Due Ponti, a nord di Roma, ed è circondato dal parco del Veio. Le due strade che gli passano vicino solo la Flaminia da un lato e la Cassia dall’altro, vie nobili quando si approcciano al GRA per formare zone residenziali di prestigio, scelte da quella che a Roma è nota come la “bella gente”. Il circolo è enorme: si estende su venti ettari e conta diciotto campi da tennis oltre a piscina, palestra, campi da calcetto, calciotto e campi da padel. È uno di quei circoli di Roma Nord frequentati da professionisti e da gente più o meno famosa per via dei passaggi in televisione a seconda di ciò che guardate. Al Due Ponti è normale vedere Fiorello giocare a tennis o fare l’edicola mattutina; oppure guardare Luca Marchegiani e Dario Marcolin, ex calciatori della Lazio, giocare a padel. In palestra è normale incontrare soubrette televisive come Carolina Marconi, famosa per aver partecipato a una qualche edizione del Grande Fratello, e Nathalie Caldonazzo, attrice. Il circolo ovviamente si fregia di queste frequentazioni illustri e non manca di postare sulla propria pagina Facebook le foto di questi famosi sportivi che sorridono mentre alzano un bilanciere o fanno i piegamenti.

Mi presento per il primo turno lasciando con fatica la macchina nel parcheggio principale, nei larghi posti predisposti per i Suv che dominano in numeri il parco auto. Entro e mi trovo di fronte una hall che sembra quella di un grande albergo. Mi avvicino quindi al concierge e questo mi indica il tornello da superare per gli ospiti, come me. Regolarizzo subito l’iscrizione dal collaboratore del giudice arbitro, il maestro di tennis del circolo, che è relegato in fondo alla hall. È un ex tennista professionista, molto bravo, e ora dirige la scuola tennis. Non male. Vado a cambiarmi. Lo spogliatoio che tocca a noi ospiti è quello denominato “Silver”. È molto ampio, bello, e caldo. C’è un tepore che agevola l’operazione di spoglio. Mentre mi cambio guardo le file interminabili di armadietti, con la numerazione che supera quota mille. Ci sono anche le stampelle per le camicie degli avvocati e commercialisti in pausa pranzo. I soci del circolo mi guardano curiosi, bollandomi subito come straniero. Borbottano mentre si cambiano per andare sui campi da tennis. Si capisce dai loro discorsi (“Che palle ‘sto torneo”) che la gara è una scocciatura, perché limita il numero dei campi a loro disposizione.

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Esco fuori dagli spogliatoi e comincio a guardare le bacheche che circondano la grande hall. C’è praticamente di tutto nelle varie vetrine: coppe, trofei, targhe, scarpe sportive, abbigliamento, gioielli e anche antiquariato (con sculture zoomorfe in bella mostra). Ogni bacheca ovviamente reclamizza ampi sconti per i soci del Due Ponti. C’è anche uno spazio dedicato agli appuntamenti culturali. In bacheca questa settimana è prevista la presentazione di un libro thriller, scritto presumibilmente da un socio, dalla copertina orribile ovviamente impressa su sfondo nero e che reca la fascetta con su scritto “Intenso come Faletti”. La hall sfocia verso un’ampia uscita che dà su un cortile interno, arredato con panchine e sedie di ferro. C’è una macchina luccicante esposta in bella vista – è il nuovo modello della BMW presentato qualche settimana fa proprio al circolo –  e il negozio sportivo che vende i prodotti dello sponsor tecnico. Novembre volge al termine e fuori, in questo cortile dove ci si incontra, ci si saluta e si chiacchiera formando dei capannelli che si litigano gli scampoli di sole che filtrano dagli alti pini, si sta veramente molto bene.

Devo attendere un po’ che il mio primo avversario arrivi e si cambi. Converso un po’ con il giudice arbitro mentre mi guardo intorno. Ascolto gente che si saluta con “Arrivederla e riconosco i classici personaggi di Roma Nord, gente agiata, gli AA di Boris che conversano sui divani con le gambe accavallate fingendo conversazioni fondamentali, donne che vestono piumini leggeri bianchi color neve dolomitica svettando sul classico tacco dodici, o altre che si incrociano uscendo dallo spogliatoio eleganti come se fossero uscite dal parrucchiere, con i boccoli che scendono copiosi e le fronti lisce senza rughe, intente a scambiarsi i classici “Stai benissimo,  sei meravigliosa, sei perfetta”, mentre sorridono a bocca aperta, con i maschi che passano dandosi un tono con le loro borse porta padel, lo sport del momento per chi non è molto bravo a giocare a tennis. Ascolto dialoghi un po’ improbabili e infarciti di superlativi assoluti, tanto che sembrano scritti dagli autori di The Lady. Insomma: la sensazione è che nessuno abbia veramente qualcosa di importante da fare. Sono tutti rilassati e felici.

Man mano che passano i minuti realizzo che il padel è molto in voga fra i soci del circolo. Conosco di nome i giocatori che si allenano qui per l’agonistica, quelli veramente molto forti. Sono in pochi. Il maestro poi è un ex professionista e chissà quanto si diverte quando lancia le palline prese dal carrello della spesa di un supermarket che ha in campo, mentre il social media manager del circolo lo filma per mettere poi il video sulla pagina Facebook del Due Ponti – come fa per tutte le attività, scoprirò poi. Il padel invece l’ho scoperto quest’anno al Foro Italico, quando Mancini l’allenatore dell’Inter e Totti  giocarono contro i campioni italiani di questo sport dentro un gabbiotto di vetro circondato da fan. Ricordo ancora la risata di un mio collega giornalista quando, dopo che mi rivelò che i due calciatori stavano giocando contro i campioni italiani di padel, gli dissi: “Ah perché esistono anche i campioni italiani di questa cosa?”. Lo squash dei poveri e dei fighetti trova al Due Ponti, ma in generale a Roma nord, uno dei centri più frequentati. Giocano anche le donne, che lo preferiscono al tennis anche perché hanno più spettatori. Molti degli avventori di questo sport, che si può chiamare anche paddle, fanno sul serio. Alcuni hanno una maglietta con su scritto “Padel forense”. Ci metto un po’ prima di capire che hanno partecipato al campionato di padel riservato agli avvocati. I vecchi tennisti giocano a tennis, evitando il contagio fighetto del padel.

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Arriva il mio avversario: è un ragazzino. “T’ho dato er centrale” mi fa il giudice arbitro. Il campo è il numero tre (!), il peggiore a quell’ora perché è ombrato solo per metà. Iniziamo a palleggiare e il tipo mi tira subito un vincente con un’arrotata mancina. È un chiaro fan di Rafael Nadal. È mancino e porta i colpi come lo spagnolo, specie il rovescio bimane, e non farà altro che arrotare per tutta la partita, cercando il mio rovescio ad una mano, come Nadal faceva contro Federer sulla terra rossa. Questa volta a vincere è però Federer –  io nella fattispecie –  e solo perché il ragazzino ancora non tiene la palla dentro, sparacchiando qua e là. Non ci riposiamo mai ai cambi di campo, lui non si arrabbia minimamente, il padre lo guarda seduto da dietro il campo e alla fine, dopo che ha perso 6-0 6-1, mi chiede quanti anni ho. Questa cosa un po’ mi spiazza. La sua età rientra nella categoria “Potrebbe essere mio figlio, ampiamente”. Gli dico quanti anni ho. Lui mi fa: “Giochi bene”. Il padre mi sorride e mi saluta. Credo sia soddisfatto che il figlio sia uscito con onore dal torneo.

Torno il giorno dopo e trovare parcheggio è sempre più difficile. Il piazzale è pieno delle auto dei soci ma anche delle auto BMW messe su un piedistallo in bella mostra. La casa tedesca infatti è sponsor dell’intero circolo e ci saranno almeno quattro o cinque auto in mostra qua e là. Al secondo turno incontro un classificato 4.2 locale. Lo trovo in campo che si riscalda già da qualche minuto. È un cinquantenne in ottima forma fisica, lo capisco da come si muove. Iniziamo a giocare e lui mi fa capire immediatamente: “Se vuoi i punti prenditeli, perché io non ti regalo nulla”. Io sto un po’ fuori palla, sbaglio molto nei primi game ma poi raccolgo il suo invito immaginario. Chiacchieriamo un po’ di racchette mentre ci puliamo le scarpe nella vasca con un filo d’acqua che cattura tutta la terra rossa per non sporcare la hall.

Il turno seguente è in programma per il giorno dopo. C’è sempre il sole e arrivo di buon’ora al circolo, quando la club house si popola di gente per il pranzo, mentre l’ampio bar dal bancone che dà su tre fronti serve gustosi tramezzini, oltre a pizzette, piadine e agli immancabili yogurt biologici e dietetici per le donne appena uscite dalla lezione di G.A.G. Come arrivo al box per dare la presenza il giudice mi fa: “Hai vinto, il tuo avversario non viene“. Ci rimango male. Fuori, al sole, c’è un bel tepore, mi andrebbe proprio di giocare contro uno classificato meglio di me. È un avvocato del circolo, lo sento al telefono quando me lo passa il giudice arbitro. Vorrebbe rigiocare ma io non posso aspettare un altro giorno. Gli dico che posso aspettarlo anche per diverse ore ma lui non può. Si avvicina il weekend, e quindi le attività improrogabili della famiglia unita: lo shopping per il piccolo Nadal di casa del sabato e una nuova edizione della “Domenica dello sport”, dove tutti assieme andiamo al circolo dove siamo soci e ci dividiamo fra babynuoto (little Nadal), Acquagym (Clotilde) e palestra/tennis/nuoto (io).

Sto in orario sabato, a mezzogiorno. Faccio una proposta indecente (e paracula) alla famiglia: “Perché non andiamo tutti assieme in questo bel circolo, con voi che pranzate al ristorante mentre io gioco?”. Clotilde acconsente miserevolmente e misericordiosamente. Nella hall intanto c’è una esposizione di quadri di un socio del circolo. Ci sono molti cagnolini, razze pregiate di taglie piccole che al Due Ponti hanno a disposizione anche un dispenser automatico di prodotti canini, scatolette, kit raccogli bisogni e giocattoli, in bella mostra proprio davanti l’ingresso del circolo. Io passo oltre e stringo la mano al mio avversario, un terza categoria più grande di me di dieci anni credo, lui vicino ai cinquanta, io vicino ai quaranta. Gioca bene e lo capisco fin dai palleggi, quando impatta in maniera secca e abbastanza classica. Sotto rete poi ha un tocco sopraffino, niente a che vedere con le mie rozze volée. Mi faccio impressionare come al solito dai palleggi, quando battezzo tutti più forti di me. Poi però mi ritrovo 5 a 0 sopra: ho la palla più pesante e sto giocando profondo, così da rendere difficile i suoi colpi di controbalzo. Lui infatti gioca come gioco io quando gioco con uno più giovane di me di dieci anni: con i piedi più vicino alla linea di fondo possibile, in maniera da non cedere campo lateralmente.

Sul 5 a 0 Clotilde si affaccia in campo: “Mi sono perso Samu. Il mio avversario mi fa uscire a cercare il pargolo che stava correndo in un prato limitrofo in preda all’eccitazione dei tanti bambini mini calciatori da prato. È una giornata magnifica infatti e al Due Ponti ci saranno almeno mille persone. Per parcheggiare infatti ho fatto per ben due volte il giro del circolo, facendo ammattire il parcheggiatore e trovando posto solo grazie ad un socio che usciva. Rientro in campo, mi posiziono per la risposta. Di fronte a me, nel cortile del circolo, c’è la premiazione di un torneo di doppio giallo, li sento perché hanno il microfono. Dietro di noi arriva musica da discoteca ad alto volume, ci sono donne riunite a fare ginnastica su un campo da calcetto. Mentre giro la racchetta fra le mie mani, preparandomi a flettere le ginocchia per il saltello che mi consentirà di arrivare sulla battuta del mio avversario, guardo alla mia sinistra. C’è la piscina dalla copertura retrattile, molto moderna. Davanti ci sono delle sdraio dove qualcuno si gode il match rinnovando l’abbronzatura. Ci saranno 20 gradi, mancano dieci giorni a dicembre, le strade sono già piene di luci inneggianti alla festa pagana per eccellenza e un signore di mezza età prende il sole in costume e ciabatte a pochi metri da me.

Riparte il match e dal 5 a 0 per me dopo dieci minuti servo sul cinque pari: la pressione mi ha divorato. Il braccio si è accorciato, stecco tantissimo e non riesco più a colpire una palla decentemente. Quando mi siedo sulla panca dopo aver perso il tiebreak, penso che sto vivendo l’ennesimo momento tennistico che poi rimpiangerò. Quante partite ho perso così, dilapidando vantaggi monstre e giocando meglio del mio avversario. Bevo acqua, mi asciugo le braccia facendomi baciare dal sole e penso a cosa mi direbbe DM, il capitano allenatore della squadra di calciotto che mi ha accolto da qualche mese, l’AIK Solna . Puntualmente nelle nostre partite di calciotto (abbiamo vinto il campionato lo scorso giugno) andiamo sotto nel punteggio, ed è solo grazie a DM che riusciamo a rimontare le partite. Lui ci striglia senza pietà, infierendo con giudizio e capacità sulle nostre debolezze e manchevolezze fino a procurarci un moto d’orgoglio che si tramuta in energia positiva in campo. L’ho immaginato seduto sulla panchina vicino a me, come se fosse il mio capitano in un match di Coppa Davis. Nella mia testa, dopo qualche frase con l’accento romano in cui mi avrebbe preso in giro per questo vantaggio poi annullato dalla mia paura, avrebbe smontato una a una le scuse che la mia testa crea ad arte per giustificare le mie sconfitte. Mi avrebbe messo di fronte all’evidenza, ovvero che in campo ci sono io e che i fantasmi non esistono. Avrebbe terminato il suo discorso dicendomi che sono più forte e che quindi forse sarebbe il caso di dimostrarlo ogni tanto. Vado subito sul 3 a 0 col doppio break e chiudo 6-2 senza neanche pensare al punteggio.

Si va al terzo set e non sono minimamente stanco. Lui controlla il telefono e allora lo faccio anche io prima di iniziare. C’è un messaggio di Clotilde più che eloquente.

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Vinci o perdi io dopo un’ora e mezza me ne vado” mi ha detto per incitarmi al mio ingresso in campo.

Mi fa un po’ male la gamba destra, colpa di un calcione rimediato in un’entrata killer da parte di un terzino da 100 chili nella sfida dell’AIK Solna della sera prima. In tribuna arriva il mio avversario del secondo turno, quello con cui avevo conversato un po’ a fine gara. Si crea questa cosa nei tornei minori in cui quando perdi sei incuriosito dal proseguo del torneo di colui che ti ha appena battuto. Continuo a giocare bene e mi ritrovo a servire sul tre a zero, 30 pari. Giochiamo sulla diagonale di rovescio colpendo ad una mano, spesso di controbalzo e sugli spalti sono in diversi a seguire la nostra partita. Nel campo adiacente, dove ogni tanto butto un occhio, si vedono pallettoni scagliati con le Babolat d’ordinanza, l’arma preferita del tennista di quarta categoria. Noi due invece giochiamo con due racchette identiche ma di marche diverse, Head Prestige 600, lui, e Wilson Blade 93, io. Il suo rovescio incrociato colpisce il nastro e la palla cade dalla mia parte, imprendibile. Mi salvo col servizio, che non sbaglio più da un po’. Ho sempre fretta quando batto e quindi mi ritrovo a cambiare spesso il movimento di esecuzione. All’inizio di questo torneo mi sono imposto di adottarne uno fisso, e per far funzionare questo artificio altra maniera non c’era se non imitare il servizio di qualcuno. Ho scelto di servire come Thomas Muster, il mio idolo di gioventù, che liftava molto la palla per tenerla in campo e comandare lo scambio. Vinco il game decisivo, lottando e soffrendo, ma con merito: poco dopo sono di nuovo sul 5 a 0 per me. Servo io stavolta e non sono preoccupato. E poi il mio avversario è stanco. Basta spostarlo e l’errore arriva. Sul matchpoint tiro un diritto lungolinea che il nastro gentilmente smorza al di là della rete, finendo per essere arbitro imparziale del set. Il tipo mi saluta e se ne va di fretta. C’erano molti suoi amici a vederlo e non è stato molto felice del risultato.

Incrocio il giudice arbitro, gli comunico il punteggio e gli faccio: “Ieri sera sono andato a giocare a calciotto, oggi qui al tennis. Domani è domenica e se vuoi salvare la mia famiglia mi metti in campo lunedì a che ora ti pare”. Accontentato: la domenica è salva. Si rigioca lunedì, ore 14.30. Il circolo ha un’aria più rilassata rispetto alla folle frenesia del weekend. Si respira più aria di tennis, complice anche il tabellone che vede in campo tutti terza categoria tranne me e il mio sfidante. Sono rilassato, perderò solo se lui si rivelerà più forte di me. Incrocio nuovamente il mio avversario di secondo turno. Mi chiede con chi gioco, gli dico il cognome del tipo e lui mi fa: “Tu giochi bene ma lui è molto bravo”. Io rispondo: “Eh vabbè”. Iniziamo e sale subito tre a zero. È il classico tennista “Babolat”. Così chiamo quei tennisti che, armati con l’attrezzo della casa francese, colpiscono in top spin maneggiando queste racchette così leggere e che aiutano tanto in termini di potenza. Lui sa fare due cose: diritto e rovescio in top. Noi del torneo stiamo giocando su quattro campi e ci saranno almeno cinque tennisti che giocano come lui, rimandando tutto, premendo da fondo senza mai nessuna variazione sul tema. Corrono però, questi ragazzi. Corro pure io però, dietro la pallina, a tratti disperatamente, spesso in ritardo. Questo sedicenne dall’ascella puzzolente mi costringe a giocare sovra ritmo aprendo il campo lateralmente. Non mi sorprende mai, chiude solo quando perdo troppo terreno mentre io faccio io punti più belli: contropiedi, anticipi di rovescio in lungolinea ad una mano, smorzate, e chiusure di diritto non appena arrivo bene sulla palla e piazzo il piede destro come cardine. Non accade spesso, ahimè.

Recupero sul tre pari, fisicamente sto tenendo anche se con fatica ma gioco malamente il game del 6 a 5 per lui, servizio mio, perdendolo a zero dopo un paio di errori sciocchi: il primo set è suo. Nel frattempo abbiamo perso un paio di palline per via di alcune stecche che hanno consegnato le Dunlop Clay Court alla vegetazione del Due ponti, potata con cura lungo tutto il perimetro del campo due. Il giovanotto allunga di nuovo in apertura di secondo set, salendo 3 a 1. Dopo aver sciupato due palle per il tre pari, capitolo. Sono un po’ stanco dopo queste altre due ore di gioco. Non posso regalare oltre venti anni al mio avversario, specie se questo è un moccioso appena uscito di scuola e pieno di testosterone. Chiude 6-2 e io rosico giusto un pochino. L’età mi aveva dato un piccolo vantaggio nel turno precedente, giusto ora averlo reso indietro al pischello.

Si sono accesi i riflettori intanto, e il buio inghiotte il torneo che prosegue verso la fine, prevista per il weekend. Saluto quei soci che ho visto tutti i giorni a ridosso dei campi e che mi sorridono mentre passo nel vialetto dove sono seduti a guardare altre partite. Entro nello spogliatoio mentre c’è il solito via vai verso la palestra, la piscina e le tante sale fitness. Arrivano anche quelli del calcetto e calciotto mentre qualcuno si cambia da tennista ma poi prende un Padel e si avvia verso le gabbie dalle vetrate trasparenti. Guadagno il tornello d’uscita, carico la borsa in macchina e noto che sul parabrezza della mia auto c’è l’adesivo del Due ponti appiccicato sopra. Sorrido: uno dei grandi centri di aggregazione, socialità e relazioni di Roma nord, ha accolto un piccolo tennista di provincia come me. E poi dicono che lo sport non è democrazia.

Indice della rubrica:
Tennis di periferia: Ritorno al passato, torneo di tennis col solito finale
Tennis di periferia: Rompere la racchetta, quando il tennis è malato

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