WTA, le migliori al mondo: 4. Petra Kvitova

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WTA, le migliori al mondo: 4. Petra Kvitova

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TENNIS AL FEMMINILE – Facendo il bis nel torneo londinese, Petra Kvitova ha spostato il giudizio complessivo sulla sua carriera, uscendo dalla categoria delle giocatrici capaci di un exploit unico e irripetibile, e portandosi ad un livello superiore.

QUI la presentazione dei sedici articoli.

Gennaio 2015

Ormai nel tennis contemporaneo gli Slam sono diventati il principale riferimento per stabilire il valore di un giocatore: un Major viene prima di tutto.
Kvitova nel 2014 ha vinto nuovamente Wimbledon, e per quanto detto sopra direi che il valore del successo non ha bisogno di spiegazioni. Ha senso piuttosto considerarlo in rapporto alla carriera: per Kvitova ha significato arrivare a due titoli, e questo le consente di uscire dal novero delle giocatrici capaci di un solo exploit, episodico e irripetibile.

In sostanza il bis di Wimbledon ha significato liberarsi dal tormentone del 2011 come unico vero periodo di affermazione, spostando anche la prospettiva sugli ultimi anni di attività. Con il secondo picco del 2014, in parte si rivalutano anche altri aspetti: ad esempio la continuità nella top ten (quarto anno di fila tra le prime otto) e anche il discreto bottino di tornei di fascia superiore, che cominciano a farne una giocatrice di un certo spessore.

Ho riletto l’articolo che avevo scritto su di lei un anno fa (che compare qui di seguito).
Riconsiderando la parte che ragiona sul futuro, si potrebbe dire che esprime un’impostazione valida per qualsiasi risultato; diciamolo pure: un’impostazione anche un po’ furba. Dal momento che viene sottolineata l’imprevedibilità di Kvitova è difficile avere torto.
E però, malgrado tutto, Petra è riuscita ugualmente a smentirmi. Mi riferisco a questo passaggio: “A distanza di tempo è diventato chiaro a tutti che la vera Kvitova è una giocatrice da montagne russe, capace di picchi altissimi e improvvisi down altrettanto estremi.

Invece Kvitova nell’ultimo Wimbledon non è stata affatto così. Ha vinto esibendo una costanza caratteriale, una stabilità psicologica assoluta. E’ stato grazie alla tenuta mentale che ha prevalso nel match contro Venus Williams, e poi ha regolato le avversarie sempre in due set. E quanto fosse decisa a non distrarsi in alcun modo lo si è visto anche nella finale, conclusa con un tempo quasi record senza la minima concessione a Eugenie Bouchard.
Però almeno un merito lo voglio prendere: mi riferisco alla parte di articolo in cui si sottolinea l’importanza del servizio, e quanto sia indispensabile una alto rendimento del colpo iniziale per tutto l’equilibrio complessivo dei suoi match. Kvitova infatti è tornata a vincere quando ha ripreso a servire ai livelli di tre anni fa, superando l’appannamento delle ultime stagioni (trovate qui la tabella al riguardo).
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Ecco l’articolo pubblicato il 22 dicembre 2013:

Le 16 stelle WTA: Petra Kvitova

Sono kvitoviano; lo dico subito, in modo da sgombrare il campo da dubbi o fraintendimenti. Vorrei però specificare: non riesco proprio a riconoscermi nella definizione di tifoso né in quella di fan.
Per spiegare il mio stato d’animo preferisco rifarmi ad una formula che utilizzavamo da bambini: ”A che squadra tieni?”. Ecco, “tenere a” la trovo adatta perché si associa all’idea di attenzione e di affetto, non rimanda al concetto di malattia (tifoso) e non contiene sottintesi di intransigenza o fanatismo (fan). “Tenere a” spiega il mio modo di seguire Petra Kvitova; oppure, nel passato, Stefan Edberg.

Vorrei aggiungere che secondo me questo non compromette l’obiettività: se c’è da criticare o raccontare una brutta partita lo si farà, né più né meno che se riguardasse qualsiasi altro giocatore; potrà magari dispiacere, ma non impedirà di valutare le cose come stanno. Di questo sono convinto, ma siccome capisco che non tutti possano essere persuasi, preferisco che la situazione sia trasparente, e dichiaro quindi apertamente “a chi tengo”.

Ma torniamo a Petra Kvitova, che per il momento è ancora la più giovane vincitrice di Slam, malgrado da Wimbledon 2011 siano passati due anni e mezzo: è l’unica giocatrice nata negli anni novanta (8 marzo 1990) ad aver vinto un Major.

Da dove cominciare? Quello che mi sento di dire innanzitutto è che Kvitova sembra nata per smentire le previsioni: quando al termine del 2011 era reduce dalla accoppiata Wimbledon + Masters (la stessa di Sharapova nel 2004) ed era diventata numero due del ranking a pochissimi punti dal vertice, c’era chi pensava sarebbe stata la futura dominatrice del circuito. E così non è stato.

Quando sono cominciati i momenti negativi, con le eliminazioni precoci, e quando recentemente Petra è uscita per qualche settimana dalle prime dieci, altri hanno previsto il suo irreversibile declino: e invece lei ha immediatamente vinto in Asia, riportandosi al numero 6 in classifica.

Dopo il 2011 sembrava che il suo periodo di miglior rendimento sarebbe coinciso con la stagione europea (nel 2011 aveva vinto Parigi indoor, Madrid e Wimbledon) e che i suoi problemi con l’asma le avrebbero impedito di dare il meglio al caldo umido delle US Open Series. E invece nel 2012 ha vinto Montreal e New Haven, in pieno agosto.

Dopo i virus che aveva preso in Asia nel 2012, ha di nuovo sorpreso chi cercava di “inquadrarla”, vincendo nel 2013 Tokio e facendo semifinale a Pechino. Se aggiungiamo la vittoria di Dubai, si può dire che sia passata da giocatrice da periodo europeo (2011) a quella da stagione americana (2012) a “regina” d’Asia (2013).

Dopo tutte queste previsioni sbagliate, mi domando se ci sia ancora qualcuno disposto a sbilanciarsi su di lei. Forse si può solo dire che la sua unica regola sia l’imprevedibilità.
Non solo: con Petra bisogna stare attenti a non farsi ingannare dalla prima impressione. Prendiamo il suo fisico: a prima vista sembra una ragazzona forte, e invece soffre di cronici problemi di asma e si ammala con facilità: nel 2013 ha preso in periodi diversi quattro virus, e l’ultimo le ha compromesso gli US Open.

Oppure consideriamo il suo modo di giocare: la senti in un’intervista in cui le chiedono quale colpo preferisce tra dritto e rovescio e lei risponde: “forehand”.
Anche in questo caso meglio non fidarsi: se tutte le avversarie preferiscono servire e insistere sul suo “forehand” e cercano di evitare il “backhand”, forse qualche ragione devono averla. A mio avviso con il rovescio Kvitova sbaglia mediamente meno, e ha estrema facilità nel giocare un colpo incrociato particolarmente stretto che butta fuori dal campo; e se si perde la posizione contro Petra diventa poi difficilissimo recuperarla, vista la velocità dei suoi colpi.
Non che il dritto sia semplice da fronteggiare, ma è meno stabile, tanto è vero che nel tempo ha aumentato il topspin alla palla per cercare (con risultati alterni) di limitare gli errori che derivavano dalle traiettorie più tese e rischiose con cui lo eseguiva qualche anno fa.

C’è poi la questione del carattere. Molti si ricorderanno di come Petra Kvitova aveva vinto Wimbledon 2011: sembrava una specie di macchina da guerra, implacabile.

Pochissimi tentennamenti, nessun grave passaggio a vuoto, nemmeno nella finale giocata da esordiente contro una veterana come Maria Sharapova. E tutti, giustamente, a lodare la sua maturità e stabilità caratteriale:

Poi arriva alla sua seconda importante finale di carriera (Masters 2011), inizia la partita avanti 5-0 contro Azarenka e qui si blocca, disputando poi un match pieno di alti e bassi.
Anche in questo caso la prima impressione non era quella giusta: a distanza di tempo è diventato chiaro a tutti che la vera Kvitova è una giocatrice da montagne russe, capace di picchi altissimi e improvvisi down altrettanto estremi. Non per niente nel 2013 ha stabilito il record di match conclusi al terzo set.

Conoscendo ciò che le era capitato un paio di settimane prima di Wimbledon, verrebbe da dire che a Londra forse non tutto era stato reale, forse Kvitova aveva giocato quasi come in un sogno. Anche perché quel sogno Petra lo aveva davvero fatto: mentre era a Parigi impegnata al Roland Garros, una notte aveva sognato di alzare il trofeo più ambito del tennis, e quella visione potrebbe averle dato una speciale sicurezza:

Dopo l’eccezionale 2011, indiscutibilmente il suo livello è sceso, e da allora è cominciata la ricerca delle cause del calo. Secondo me in questi casi la prima risposta, che vale per tutti i giocatori che si affacciano a grandi livelli, è che gli avversari studiano e prendono le contromisure.

Poi c’è una spiegazione più specifica e condivisa da tutti: il problema fisico. Kvitova ha preso qualche chilo di troppo, e ha perso un po’ della mobilità (già non è eccelsa) rispetto al suo anno migliore.
A questo proposito devo confessare che uno degli effetti collaterali dell’essere kvitoviano è stato diventare esperto in un esercizio che non pensavo avrei mai praticato: il controllo delle pieghe della maglietta attorno alla vita, per capire se il peso forma si avvicina o si allontana. Di questo problema la stessa Petra sembra essere consapevole, tanto è vero che ha cambiato tre preparatori atletici in tre anni.

C’è poi l’aspetto tecnico, e qui le cose sono più controverse. Personalmente credo che il problema principale sia stato un regresso, non vistosissimo ma comunque percepibile, al servizio. Detto in parole povere: nel 2011 (e nel 2010) serviva più forte. Ecco i dati relativi al torneo di Wimbledon:

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Questo calo al servizio (che era un colpo molto incisivo, non solo perché mancino) secondo me determina conseguenze per tutto il resto del gioco: meno battute efficaci significano non solo meno vincenti diretti, ma anche meno cheap point. Meno cheap point significano più scambi faticosi da giocare in serie, e quindi maggior sforzo fisico (e mentale). Questo sforzo al momento pare superiore alle possibilità di Petra: si affatica e un po’ tutto il suo rendimento ne risente.

Del resto Kvitova è una giocatrice con grandi doti tecniche, ma anche con significative lacune: colpisce la palla da fondo campo con una pulizia e un timing spettacolare, riuscendo a imprimere velocità al di fuori della portata di quasi tutte le avversarie.
D’altra parte non ha mai veramente risolto il problema dei colpi al rimbalzo in avanzamento: quando deve correre in avanti se riesce ad intercettare la palla al volo le cose vanno abbastanza bene; ma se deve colpire dopo il rimbalzo sono dolori. Nemmeno nel suo miglior Wimbledon era riuscita ad evitare clamorosi errori in questo aspetto del gioco.

Ha un rendimento non straordinario con i colpi in back (rovescio e drop shot), mentre riesce a “tagliare” discretamente le volèe per imprimere la giusta spinta alla palla; in compenso troppe volte si dimentica di fare il passo in avanti per chiudere sulla rete dopo il colpo di approccio, con il risultato di farsi trovare arretrata quando deve fronteggiare i passanti.

Non si muove male lateralmente, se questo significa farlo nell’ambito di un palleggio di cui ha il controllo; ma è quasi impossibile pretendere da lei le inversioni di direzione e le rincorse in serie quando deve difendere. Se le capita di affrontare qualche scambio difensivo che la impegni per più di due-tre colpi, potrebbe perfino uscirne vincente (cosa peraltro rarissima), ma si può stare certi che perderà i punti successivi, perché poi non riesce a recuperare lo sforzo fatto.

Considerati pregi e difetti, è difficile contraddire l’affermazione che Petra dispone di un grande potenziale. Però “grande potenziale” è il mantra che viene sempre recitato in questi casi, la formula magica e consolatoria utilizzata per spiegare carriere riuscite a metà, quando per una ragione o per l’altra sono più le delusioni che le soddisfazioni. Il campo è il giudice ultimo che certifica i risultati, e con il potenziale non si vincono i tornei.

Gli kvitoviani vivono la soddisfazione mista a rammarico di seguire una tennista che quando gioca bene ha pochissime avversarie che la possono contrastare. E che però è capace di prestazioni negative come forse nessun’altra top ten.
Tanto per fare un esempio: chi ha seguito la partita contro Daniela Hantuchova a Sydney nel 2012 non può dimenticarsi un primo set di livello stratosferico: un vero piacere per chi ama il tennis.

https://www.youtube.com/watch?v=DVQ-mhYR8SU&feature=player_detailpage#t=1

Ma d’altra parte non si può nemmeno scordare, sempre di fronte ad Hantuchova, il disastro di quest’anno a Madrid nei due ultimi set: una fiera degli orrori contro una giocatrice che per le sue caratteristiche sarebbe invece l’avversaria ideale (come testimoniano gli scontri diretti).

Come ho già avuto modo di scrivere, personalmente soffro di una “insana” attrazione per i giocatori perdenti; di conseguenza quando la vedo giocare malissimo, superata l’iniziale delusione, non posso che affezionarmi ancora di più. Poi ci sono le volte in cui la vedo giocare bene e ringrazio di essere un appassionato di tennis, perché il suo modo di colpire continua a darmi una emozione speciale.

A fine 2013, dopo aver visto tante sue partite, ormai è chiaro il destino capitato a noi kvitoviani: sappiamo che dobbiamo aspettarci qualsiasi cosa, nel bene e nel male; e abbiamo capito che in certi momenti il campo non sarà mai grande abbastanza per contenere l’incostanza di Petra:

https://www.youtube.com/watch?v=orw4Ai0BXmU&feature=player_detailpage#t=6839

P.S. Guardate anche il punto successivo.

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