L'ABC del tennis: come si valuta chi non si conosce?

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L’ABC del tennis: come si valuta chi non si conosce?

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Quali sono i primi aspetti da prendere in considerazione per cercare di valutare una tennista non conosciuta?

“ABC del tennis”: il titolo è il tentativo di sintetizzare alcuni aspetti basilari del modo di giocare a tennis. Devo però chiarire: non mi riferisco agli aspetti che potrebbero interessare un maestro che si trova di fronte a un bambino alle prime armi. No, qui faccio riferimento alle prime caratteristiche che prendo in considerazione quando cerco di scoprire una giocatrice che sta facendo il salto tra le professioniste. Vale a dire una tennista di solito ancora giovane, ma comunque già in possesso di un modo di stare in campo abbastanza maturo e personale.

Immaginiamo di voler seguire in tv una promessa che si affaccia nel circuito WTA, per farci una prima idea su di lei. Innanzitutto sarebbe importante poterla vedere contro un’avversaria che già conosciamo. In questo modo tutto risulta più semplice; anzi, direi che è un requisito fondamentale per poter avere dei punti di riferimento sicuri, evitando le troppe incognite di una partita tra due sconosciute.

In televisione alcuni aspetti sono più complessi da valutare al primo impatto: ad esempio la velocità di palla e il tipo di traiettorie utilizzate, perché la loro percezione dipende dalla posizione della camera principale (posizione che cambia nei diversi tornei e che può alterare le sensazioni).
Anche per questo normalmente inizio prendendo in considerazione caratteristiche ancora più “terra terra”, che si possono controllare con più facilità.
Ecco quali sono:

1) Posizione in campo
La prima cosa che di solito cerco di capire di una giocatrice è dove si mantiene durante lo scambio: cioè quanto a ridosso della linea di fondo riesce a posizionarsi e quanto arretra (o al contrario: quanto riesce a non arretrare) nelle situazioni difficili.
Ad esempio tra le giovani leve sono state proprio l’anticipo e la capacità di non perdere campo che hanno consentito a Eugenie Bouchard di ottenere gli ottimi risultati del 2014.
Per giocare a ridosso della linea di fondo bisogna possedere un gran senso del tempo e la capacità di gestire traiettorie di controbalzo: due doti che non sono da tutte.

Ci possono essere eccezioni che confermano la regola, magari giocatrici rapidissime che riescono a reggere il confronto stando un pochino più indietro: ma di solito quanto più “avanti” si riesce a giocare, tanto più in alto si può pensare di puntare in termini di carriera.
Questo aspetto non determina situazioni particolarmente spettacolari per lo spettatore; ma secondo me saper tenere solidamente il palleggio da una posizione di campo avanzata, è segnale di una caratura tennistica di alto livello.

2) Profondità di palla
Spesso ci soffermiamo su quanto riesce a tirare forte una giocatrice. Dote di sicuro importante, ma secondo me nel tennis femminile può fare più male una traiettoria che viaggia qualche chilometro in meno, ma che rimbalza negli ultimi metri di campo rispetto ad una un po’ più veloce ma che ricade attorno alla linea del servizio. Le donne infatti, difficilmente riescono a caricare di topspin la palla al punto tale da renderla insidiosa anche quando non è molto lunga.
Perfino un colpo appoggiato e con poco peso se atterra nei pressi della linea di fondo può risultare efficace contro la quasi totalità delle giocatrici. Magari è insufficiente contro le primissime, ma stiamo parlando di poche tenniste di alto livello, che possiedono colpi e potenza davvero superiori.
E siccome sto cercando di fare un ragionamento più generale, direi che saper giocare profondo è un ottimo punto di partenza per scalare le classifiche. Mi verrebbe da dire: un metro in più in lunghezza nel proprio gioco rispetto ad un’altra tennista può significare diverse posizioni in più nel ranking a fine anno.

3) Gestione della seconda di servizio

a) in battuta
Nel tennis femminile il servizio non è un fattore paragonabile a quello maschile. Tutti i dati statistici lo confermano; ad esempio negli ultimi Australian Open  gli uomini hanno tenuto il servizio nell’80,8% per cento dei game; le donne si fermano al 64,9%.
E mentre (più o meno) ogni giocatrice con la prima di servizio riesce a vincere più punti di quanti ne perda, è invece cosa da pochissime riuscire a superare il 50% sulla seconda di servizio. Significa cioè che quando si gioca uno scambio iniziato con la seconda palla, normalmente chi risponde è avvantaggiata rispetto a chi serve.
Per questo, se provo ad approfondire la conoscenza di una tennista, cerco di non sottovalutare questo momento: quanto riesce a spingere la seconda? Quanto riesce a variarla? Come la gioca sui break point? Etc etc

b) in risposta
È la situazione speculare della stessa fase di gioco.
Nel tennis contemporaneo optare per una risposta che consenta semplicemente di entrare nel palleggio può risultare un atteggiamento troppo conservativo; in sostanza una occasione mancata. Se c’è la possibilità di prendersi subito un vantaggio, va colto immediatamente.

Schematizzo: nel gioco da fondo campo (non parlo quindi di chip and charge) la ricerca continua della risposta “di attacco” è una innovazione introdotta da Monica Seles, ulteriormente sviluppata dalle sorelle Williams: aggressività immediata, senza tentennamenti. Ma ancora fino a qualche anno fa ci sono state anche giocatrici di alto livello che sceglievano di rispondere in sicurezza, senza cercare molto di più.
Come ad esempio Jennifer Capriati sulla battuta di Elena Dementieva (US Open 2004):
https://www.youtube.com/watch?v=jFw-5ZKhY2I&feature=player_detailpage#t=285
Probabilmente molti ricordano le profonde crisi attraversate da Dementieva in questo fondamentale; crisi che producevano movimenti non ortodossi, e velocità inferiori ai 100 Km/h. Malgrado questo, Capriati non spinge più di tanto. E stiamo parlando di un match tra la numero 6 (Elena) e la numero 8 (Jennifer) del mondo.

Ma oggi è sempre più importante sia saper servire una seconda efficace sia saper approfittare in risposta di battute troppo tenere. Lo si è visto, ad esempio, durante il recente match di Fed Cup tra Errani e Mladenovic, in cui Sara ha sofferto moltissimo l’aggressività dell’avversaria.

4) Errori non forzati
Forse la cosa più banale, meno affascinante e per questo anche un po’ sottovalutata. Perché si può anche essere giocatrici capaci di colpi molto interessanti, che consentono di vincere tutte le situazioni più spettacolari; ma a tennis un grande scambio e un errore evitabilissimo contano allo stesso modo: sempre un quindici, che sommato agli altri può fare la differenza.
Saper regalare poco all’avversaria non è una dote che accende la fantasia, ma può portare molto in alto. Caroline Wozniacki, ad esempio, con questa qualità è riuscita a essere la numero uno del mondo per 67 settimane.
Quando seguo per la prima volta una giovane, cerco sempre di non farmi sfuggire le statistiche dei gratuiti a fine match, perché a meno che non si tratti di “bombardiere” straordinarie, avere un gioco punteggiato da tanti errori non forzati può diventare un handicap difficile da superare.
Amo le giocatrici estrose, ma alla fine bisogna anche fare i conti con la realtà.

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Ecco, questi sono gli elementi che cerco di non dimenticare quando vedo per la prima volta una giocatrice. Poi, inevitabilmente, saranno le sue specificità a colpirmi, ma quelle sono per definizione particolari per ognuna, e di conseguenza imprevedibili e non codificabili.

Con questa sintesi quasi brutale mi rendo conto che molti avranno idee differenti e potranno sostenere con ottime ragioni criteri di valutazione diversi.
Si potrebbero citare tante altre caratteristiche su cui ragionare (la velocità di piedi, la capacità di muoversi in verticale, il tocco di palla, l’intelligenza tattica, etc etc); però così non sarebbe più l’ABC del tennis, ma l’intero alfabeto.

In chiusura aggiungo una nota che mi sembra indispensabile.
Si dice che la differenza tra buoni e grandi giocatori sia determinata non tanto dalle qualità fisico-tecniche ma soprattutto da quelle mentali; e a mio avviso c’è molto di vero.
E però avrete notato che sino ad ora non ne ho parlato. La ragione è questa: credo che le doti psicologiche siano le più difficili da valutare al primo impatto, specie se ci si trova di fronte ad una giovane giocatrice.
Le esordienti (o le quasi esordienti) nel circuito professionistico spesso giocano in una condizione di momentanea serenità, quasi di euforia; senza che abbiano granché da perdere, sentono meno il peso della responsabilità, e scendono in campo molto più libere.
Al contrario le giocatrici esperte si misurano all’interno un quadro di valori che sentono ormai consolidato: sono professioniste che in base al ranking e ai risultati ottenuti sanno perfettamente giudicare l’importanza del match che stanno disputando. E questa consapevolezza finisce per pesare mentalmente.

Per questo ritengo che non sempre siano attendibili le prime impressioni ricavate sul piano della tenuta psicologica, e che sia più ragionevole trarre conclusioni su queste caratteristiche in seguito, quando si è esaurita la spensieratezza del primo periodo.

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