Nadal è tornato Risposta a Federer con il trionfo n. 65 (Martucci), Eterno Federer. La classe non invecchia (Giorni), Bill Tilden, il tennista più grande che dovette lottare contro il conformismo (Clerici), Verso la Davis, sfida al finto Kazakistan (Mancuso)

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Nadal è tornato Risposta a Federer con il trionfo n. 65 (Martucci), Eterno Federer. La classe non invecchia (Giorni), Bill Tilden, il tennista più grande che dovette lottare contro il conformismo (Clerici), Verso la Davis, sfida al finto Kazakistan (Mancuso)

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Rassegna a cura di Daniele Flavi

 

Nadal è tornato Risposta a Federer con il trionfo n. 65

 

Vincenzo Martucci, la gazzetta dello sport del 2.03.2015

 

Nemmeno la pioggia. Nemmeno il ritardo al via. Nemmeno lo stop dopo 13 minuti, sull’1-1. Nemmeno le proteste con l’arbitro potevano fermare Rafa Nadal nella corsa al primo titolo a Buenos Aires (513.000 , terra) il n. 65 in carriera (in 93 finali), il 46 sulla terra (53 finali), per eguagliare il record era Open di Guillermo Vilas. AMICO Cioé il capostipite del tennis argentino che il mancino spagnolo bistratta nel torneo, infilandone quattro, uno dietro l’alto: Arguello, Delbonis,Berlocq e quindi in finale Juan Monaco. Che è il collega più amico sull’Atp Tour, il compagno di doppio col quale ha vinto anche il titolo a Doha, ma contro il quale, nei testa a testa, era già 5-1, lasciandogli appena 7 games negli ultimi 8 set. Del resto, il re di 9 degli ultimi 10 Roland Garros, alla prima finale stagionale, doveva anche dare una nuova dimostrazione di crescita, dopo lo stop da Wimbledon per i nuovi problemi fisici e i balbettii di questi primi 3 mesi dell’anno, inclusa la prima semifinale persa (a Rio, contro Fabio Fognini) sull’amata terra rossa dopo 52 vinte di fila. Così, il maiorchino risponde – sia pure in un torneo di minor caratura, vinto sempre da spagnoli o argentini negli ultimi 13 anni — al trionfo di Roger Federer a Dubai (contro Djokovic) che a quello del connazionale David Ferrer ad Acapulco (con Nishikori), si riprende il numero 3 …….

 

Eterno Federer. La classe non invecchia

 

Alberto Giorni, il Giorno del 2.3.2015

 

 

Un anno e mezzo fa, quando perse clamorosamente al secondo turno di Wimbledon con il carneade ucraino Stakhovsky, molti gli avevano consigliato di ritirarsi per non rovinare una carriera leggendaria, evitando di presentare in campo il fantasma di se stesso. E’ stato il momento più difficile: tormentato dai problemi alla schiena, nel mese successivo alzò bandiera bianca con i semisconosciuti Delbonis e Brands, e il viale del tramonto pareva imboccato a senso unico. INVECE Roger Federer si è rialzato un’altra volta e ora si è concesso il lusso di battere in due set Novak Djokovic, numero 1 del mondo e campione degli Australian Open, trionfando per la settima volta all’Atp di Dubai (che gli sta particolarmente a cuore, visto che lì ha comprato casa). «Il tempo passa, ma mi sento bene»: a 33 anni suonati, lo svizzero è un campione anche di longevità. Frequenta il circuito da quando ne aveva 17 e ha sempre voglia di stupire. Difficilmente Djokovic e Nadal, di sei e cinque anni più giovani, alla sua età saranno ancora così competitivi. Ovviamente non può più avere la continuità delle stagioni migliori, quando inanellava due o tre Slam all’anno, ma il secondo titolo del 2015 (dopo Brisbane) non sarà l’ultimo. Contro Djokovic, Federer ha sfoderato un gioco offensivo da stropicciarsi gli occhi. Roger è un mago nelle volée, però in passato si presentava troppo poco a rete. Da quando lo allena Stefan Edberg, re del serveevolley e suo idolo di gioventù, non esita a gettarsi avanti: abbreviare gli scambi gli consente di risparmiare preziose energie. Si pensava anche che le due coppie di gemelli regalategli dalla moglie Mirka potessero distrarlo. Tutt’altro: le piccole Myla e Charlene, 5 anni, spesso applaudono il papà dalle tribune. CHI POSSIEDE il record di Slam (17), di settimane al numero 1 (302) e ha appena conquistato la Coppa Davis che gli era sempre sfuggita, può sognare altri primati? Federer insegue ancora l’oro olimpico in singolare (appuntamento a Rio 2016), mentre già quest’anno proverà a portare a casa almeno uno dei due «Masters 1000» che gli mancano, Montecarlo e Roma, monopolizzati da Naa dal. Un finale da favola vorrebbe un ultimo successo a Wimbledon, il suo giardino, per essere l’unico a vantarne 8 staccando Sampras. Connors sembra irraggiungibile nei titoli (109) e nelle partite vinte (1253), ma Roger (84 e 1007) vuole almeno il secondo posto superando Lendl (94 e 1071). Con un pensierino a tornare numero 1 in classifica: sarà dura scalzare Djokovic, ma con Federer niente è impossibile.

 

 

Bill Tilden, il tennista più grande che dovette lottare contro il conformismo

 

Gianni Clerici, la repubblica del 2.3.2015

 

 

Tilden Dominatore negli Anni Veni Artista e teorico, fu il primo professionista e cambiò il concetto del gioco. Amico di star come Charlie Chaplin e Greta Garbo, venne perseguitato perla sua omosessualità. Un libro ne ricorda l’importanza Nato altoborghese, volontario in guerra, scrisse libri e girò un documentario SEl tu che lo devi scrivere, Frank».»Ma perché dovrei scrivere proprio io la biografia di Tilden?» mi rispose Frank Deford, il n. 1 dei giornalisti di sport americani. «Perché non c’è. Non esiste biografia di quello che è stato il più grande tennista mondiale, di quello che ha scritto 18libri che sono il Vangelo del Tennis, insomma di William Tatem Tilden detto Big Bill». «Ma perché proprio io?». «Perché ci tocca, Frank. Perché è accaduto che entriamo agli US Championship senza pagare il biglietto, e ci danno pure uno stipendio. E perché nessuno dei famosi biografi americani, da Harold Bloem a Gertrude Stein, se n’è mai occupato, di Big Bill.. «Ma perché non lo scrivi tu, Gianni, se sei così convinto che lo meriti?». Risposi che avevo già dato. Avevo dedicato un anno della mia giovane vita a girare il mondo, dalla Grecia all’Arizona, da Parigi a Los Angeles, per scrivere una biografia di Suzanne Lenglen, l’alter ego femmina di Tilden, la più grande tennista del mondo, addirittura la prima professionista donna nel 1926, prima che Big Bill diventasse, nel 1931, il primo professionista uomo. Avevo passato un anno, scritto un libro che nessun Venne squalificato ed escluso dalla squadra Usa di Davis: i suoi rivali intercedettero per lui editore italiano voleva, lo avevo riscritto in francese, pubblicato alfine da un giovane editore idealista e tennista che era fallito, mentre il libro usciva «E tu pensi che io voglia fare le stesso? Sei davvero matto. Ho un agente, io, che mi fa vendere i libri». «Anch’io, Frank. Si chiama Erich Linder, è uno dei primi in Europa. E mi aveva giusto detto di non scriverlo, che non si sarebbe venduto». «E allora?». «Allora ci tocca, Frank. Ci sono certe cose, nella vita, che non possiamo evitar di fare». Frank De Ford scosse la testa,e forse ancora la scuote, nel suo felice pensionamento. La biografia di Tilden non fu un fallimento come la mia prima biografia della Lenglen, poi riesumata da un agente tennista, Roberto Santachiara, e ripubblicata da due editor generosi, Cecilia Perucci e Mario Desiati, per Corbaccio e Fandango. La presunta follia si è addirittura ripetuta ora che due professionisti maniaci di tennis e studiosi, Luca Bottazzi e Carlo Rossi, hanno cercato di sinteti7r. re il pensiero di Tilden, non semplicemente la sua vita, in un volume dal titolo il Codice del Tennis ( Guarini NEXT editore, 20 euro ). Le tappe di una vita insolitamente non conformista vi sono raccontate, dalla nascita altoborghese, alla decimazione di una famiglia sfortunata, dal volontariato nella prima guerra mondiale, agli inizi di una carriera diversa, perché solitamente i neofiti seguono i maestri e non una loro personale teoria dei gesti e della filosofia — permettetemi — del gioco. I successi di Big Bill sono noti, dal primo Wimbledon del 1920, e dal primo Campionato americano dello stesso anno fino al ’26 senza stop, le 6 Davis di fila, e alla fine, superati i trentacinque anni, la resa parziale ai grandissimi Moschettieri francesi. Per scendere un po’ più in dettaglio, ricordo la vittoria del campione più razionale che istintivo a Wimbledon nel 1920, bissata l’anno seguente, e ribadita nel 1930, a 37 anni, 3 vittorie dunque su sole 4 partecipazioni. Avrebbe anche preso parte, Big Bill, a tre Roland Garros, torneo che data dal 1925, per perdervi due finali. Curiosamente simile questo Tilden, mi fa notare un amico, a Federer, anche lui allergico alla terra rossa, vincitore una sola volta a Parigi. Naturalmente, Big Bill non affrontò mai il viaggio di sei settimane per giocare in Australia, e quindi il suo record di 10 Slam non è comparabile ai 17 del presunto miglior tennista di tutti i tempi. Anche se un fiero dubbio sorge dal rapporto tra i match vinti e persi: 907 vittorie per l’americano su 969 partite in torneo, mentre lo svizzero ne ha perdute 228 su 1235, e cioè circa i118%, almeno secondo il suo sindacato ATP. Va aggiunto, per la verità e la giustizia, che negli Anni Trenta poche decine di tennisti affrontavano dei viaggetti ancorché brevi, e che tra i primi dieci dilettanti del mondo e gli altri esisteva un abisso. Mentre oggi accade che il n. 100 riesca a far lo sgambetto al primo, o giù di lì. Tutto ciò è una parentesi che in realtà poco riguarda “Il codice del tennis”, sulla cui copertina figurano per altro due splendidi diritti sovrapposti di Tilden e di Federer. Ma ricordo di aver scritto io stesso quanto incomparabili siano reciprocamente Omero e Dante. Per ritornare al Codice, egualmente noti furono i dissidi di Big Bill con la Federazione Usa, accanita sino a squalificarlo perché, in un mondo aristocratico, noneralecito né il giornalismo a pagamento, né libri di short stories, né il documentario che Tilden, amico di Charlie Chaplin e di Greta Garbo, girò a Hollywood. I dissidi con lo establishment americano giunsero al punto che, dalla posizione di capitano e insieme di uomo di punta della squadra di Davis, Big Bill venne momentaneamente rimosso, e fu necessaria, nel 1928, la generosa richiesta dei Moschettieri, suoi avversari, perché l’ambasciatore americano a Parigi, Myron Herrick, intercedesse a favore del tennista, che riebbe il suo posto molto probabilmente grazie alla Casa Bianca. Tragicamente avversata fu poi la sua omosessualità, che lo condusse addirittura due volte in prigione, novello Oscar Wilde. Dall’analisi psicologica delle sue teorie, oltreché suggerimenti sulle caratteristiche psichiche degli avversari sotto forma di bersaglio, emerge incredibilmente una sorta di profezia, controllata negli ultimi anni sui dati di Federer Djokovic e Nadal, che indicava nel 40% dei punti giocati, i vincenti dei fenomeni…….

 

Verso la Davis, sfida al finto Kazakistan

 

Angelo Mancuso, il messaggero del 2.03.2015

 

 

«Che ne dici di venderci qualche giocatore?». Non è calcio mercato, sono le parole pronunciate qualche anno fa dal presidente della federtennis del Kazakistan, Bulat Utemuratov, un riccone che voleva acquistare addirittura l’Inter prima dell’avvento di Eric Thohir. L’interlocutore era il suo “collega” russo Shamil Tarpischev: a spedirlo a Mosca era stato il Presidente Nursultan Nazarbayev, grande appassionato di tennis, signore e padrone (pure lui miliardario) del Kazakistan, stato transcontinentale a cavallo tra Europa e Asia, nato nel 1990 dalla disgregazione dell’ex Unione Sovietica. Uno scherzo fare incetta di tennisti a suon di dollari per chi, come Nazarbayev, ha indetto un concorso di architettura per progettare la nuova capitale al posto di Almaty, polverosa città a 50 km dalla Cina. A vincerlo fu il giapponese Kisho Kurokawa, scomparso nel 2007 e noto in Italia per aver progettato il Pala-sport di Torino perle Olimpiadi invernali del 2006. E’ nata così Astana, che in kazako significa “Capitale” (lo è dal 1997), simbolo di potenza visionaria tra grattacieli, piramidi e una foresta che la protegge dagli impetuosi venti glaciali. Proprio in questa città futuristica che dista oltre 2mila km da Mosca, l’Italia del tennis giocherà il 1 turno della Coppa Davis: da venerdì a domenica Fognini e compagni saranno impegnati sul campo in cemento del National Tennis Centre. D’IMPORTAZIONE Tarpischev, quando gli venne avanzata la proposta, non seppe resistere: le casse moscovite avevano bisogno di ossigeno. Pose tuttavia una condizione: i giocatori non dovevano essere compresi tra i primi 50 della classifica mondiale. Nel 2008 “arrivarono” Mikhail Kukushkin e Andrey Golubev, che gravitavano intorno alla 200esima posizione. Ora il primo è vicino ai top 50, il secondo ai top 100 e per qualche anno si è allenato in Italia a Bra. Ma anche Evgeny Korolev e Yuri Schukin: tutti russi pronti a cambiare nazionalità in nome del dio denaro. Difficile rifiutare se, si sussurra, ti offrono 120mila dollari all’anno più bonus. Motivazioni sufficienti per creare lo spirito di gruppo nel nome di un paese straniero. Nel 2010 hanno conquistato il World Group battendo per 5-0 la Svizzera e non ne sono più usciti. Da allora hanno centrato i quarti per 3 volte, battuto la Repubblica Ceca e messo paura a Federer e Wawrinka. Mentre il Kazakistan affronterà l’Italia, la Russia giocherà contro la Danimarca nella serie B della Davis, con Tarpischev accusato di aver svenduto giocatori che potevano essere utili alla causa. PORTAFOGLIO SEMPRE APERTO Appena il quartetto kazako delle meraviglie si è dimezzato per i ritiri di Korolev e Shukin il portafoglio di Utemuratov si è riaperto: il prescelto è stato Aleksandr Nedovyesov (anche lui vicino ai top 100), 28 anni come Kukushkin e Golubev, ma ucraino nato in Crimea. I suoi ex connazionali non l’hanno presa bene: lui ha fatto spallucce e cambiato bandiera. Un conto, però, è collezionare giocatori come figurine, un altro creare una base sulla quale lavorare. Stanno costruendo centri e strutture, ma nonostante gli investimenti il tennis non ha ancora sfondato. Su una popolazione di 17 milioni, i tesserati della KTF non sono più di mille. Avevano puntato su Denis Yevseyev, oggi 22enne, che si è smarrito: non è tra i primi 700 Atp. Ora la speranza è il 18enne Dmitry Popko, quarto uomo della squadra che sfiderà gli azzurri. Utemuratovnon demorde: «Tra qualche anno avremo il nostro top ten kazako al 100%».

 

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