Il tennis dà speranza ai carcerati di San Quintino

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Il tennis dà speranza ai carcerati di San Quintino

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I valori dello sport in un posto cupo e tristemente noto come il carcere di San Quintino. Ecco come i detenuti dimenticano, per qualche ora, la propria condizione, grazie al tennis: “Quando siamo su quel campo, noi non siamo in prigione”

San Quintino, nato nel 1852, è il carcere più antico della California e sorge a Nord della città di San Francisco, su un area di 1,7 km quadrati. Rappresenta da decenni una delle prigioni più note e discusse del globo, quasi un luogo cult per gli Stati Uniti e per la California, tanto da diventare oggetto di racconti e rappresentazioni cinematografiche. Il penitenziario californiano ospita il temutissimo braccio della morte, area destinata ai condannati a morte o ai detenuti, in attesa di sentenza, ritenuti particolarmente pericolosi. Le fredde mura di quella zona del carcere hanno visto detenuti uccisi in camere a gas, con iniezioni letali o semplicemente impiccati.

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Uno dei luoghi più oscuri e temuti d’America, che ospita più di 5200 detenuti, già condannati o in attesa di giudizio. Le giornate trascorrono lente e inesorabili, se non fosse che l’amministrazione carceraria ha previsto e messo a disposizione dei luoghi ricreativi, dove è possibile praticare sport e respirare la brezza dell’Oceano Pacifico: oltre ai campi di basket e baseball c’è un solo campo da tennis che, ristrutturato nel 2004, rappresenta uno dei luoghi di ritrovo degli appartenenti ad ogni ala del penitenziario, senza distinzioni di razza o colore. Già, perchè l’esasperata multietnicità presente in America, si riflette, inevitabilmente, anche a San Quintino, con rischi di contrasti tra etnie e gang, all’ordine del giorno; una sorta di segregazione politica che vede i bianchi da una parte, i neri dall’altra, gli ispanici da un’altra ancora. L’unica eccezione è rappresentata proprio dal campo da tennis, come dimostra un interessante video-documentario girato da Vice Sport: “Quando entriamo in campo, noi ci abbracciamo perchè amiamo questo sport, al di là di razza, età o altro, e il rispetto continua anche fuori perchè è questo che il tennis ci insegna” ha saggiamente dichiarato uno dei detenuti intervistati.

L’artefice di quest’oasi di pace all’interno di un vero e proprio inferno, è Don Denevi, pensionato ora settantasettenne e direttore dell’area ricreativa, da cui è partita l’idea di restaurare un campo, precedentemente senza reti di protezione e pieno di buche, con le palline che prendendo una di queste schizzavano addosso ad altri detenuti (cosa non propriamente facile da gestire se sei a San Quintino). L’idea di Denevi è stata quella di creare un team di detenuti che coltivasse la passione per il tennis. L’inizio non è stato facile , essendo i più legati al basket e al baseball, sport che dominano la scena in America: “Andai da loro e li insultati, gli dissi ‘ehi femminucce, questi sono sport da donne, il tennis è uno sport per uomini veri’ e loro accolsero la sfida, pur essendo io, all’inizio, l’uomo più odiato del penitenziario”.

Ecco la visita dei fratelli Bryan al carcere di San Quintino:

Inizialmente le sfide dell‘Inside Tennis Team (così si fa chiamare il team di Denevi) erano lanciate a gente esterna disposta a passare del tempo con i detenuti, andando così a formare, anche se inconsapevolmente, una sorta di spaccatura ulteriore tra il mondo dei ‘normali’ e quello dei carcerati, non potendoci essere contatti tra le due fazioni. Oggi la situazione è diversa, c’è integrazione tra i team e i match si svolgono mischiando i componenti; ciononostante non è sempre facile trattare con i detenuti di San Quintino, tanto da dover imporre delle regole anche agli ‘esterni’: non familiarizzare troppo con i carcerati, parlare quasi solo di tennis e obbligo di pantalone di tuta o leggins per le donne. “La cosa importante da capire è che nel tennis ci sono delle regole e i giocatori devono rispettarle, del resto è per questo se siamo qui, perchè non abbiamo rispettato le regole” ha dichiarato un altro dei detenuti “il tennis è il nostro psicologo”.

“So che alcuni hanno fatto delle cose terribili, e se potessi li ucciderei con le mie stesse mani” ha ammesso Denevi “ma ai miei ragazzi cerco di chiedere il meno possibile, non voglio sapere, voglio che loro vivano per quello che sono adesso e per dove sono. Pensare al passato ora non ha senso. Credo che morirò di vecchiaia, qui a San Quintino, sul campo da tennis, dopo aver servito contro un detenuto”. L’esperienza dell’Inside Tennis Team,, procede a gonfie vele a San Quintino; dopo una prima fase di scetticismo generale, gli ‘appassionati’ adesso non ne hanno mai abbastanza: giocano anche con palline consumate, raccolte da vecchi circoli e per loro, oramai, il tennis è diventato una valvola di sfogo indispensabile  . Nessuna gerarchia tra di loro, nessuno scontro civile ma una sola regola: “I problemi derivanti dal tennis, si risolvono sul campo da tennis”

Una visione serena e rientrante nell’ottica di rieducazione del condannato, concessa dallo sport in generale, in un ambiente che, in teoria e in pratica, si basa su altro. Basti pensare ai racconti evocati da carcerati e giornalisti inviati a San Quintino: detenuti, scortati dalle guardie nel braccio della morte, coperti da un cappuccio in testa, per evitare di essere sputati, che compiono gli ultimi passi della loro vita, transitando proprio davanti alla zona ricreativa che ospita il campo da tennis: non esattamente una prospettiva incoraggiante per gli altri.

Uno sport di tradizioni nobili, il tennis, che in questo caso, ha anche l’arduo compito di nobilitare gli uomini che fanno parte del carcere di San Quintino. Uomini che hanno ucciso altra gente, violentato donne, commesso ogni tipo di reato; uomini colpevoli o innocenti, pur sempre uomini: “Essere in prigione non è divertente, c’è molta gente triste, siamo molto limitati nelle cose da poter fare e questo campo qui è un grande privilegio: in realtà si trova in una prigione, ma quando giochi a tennis non sei in prigione: sei libero!”

 

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