Rafael Nadal, ultimatum sulla terra

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Rafael Nadal, ultimatum sulla terra

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Il tennista spagnolo, dopo la sconfitta di ieri, si appresta alla parte di stagione di norma a lui favorevole. Ma mai come stavolta è pieno di dubbi. Riuscirà ancora una volta a trovare vittorie e motivazioni sull’amata terra rossa?

 

Da quando Rafa Nadal è Rafa Nadal, quindi dal 2005, sia lui che i suoi tifosi aspettano con impazienza l’arrivo della primavera, della bella stagione, del sole e dell’allungarsi del dì; perché la primavera è sinonimo di scampagnate, non solo fra i prati verdi, i laghi azzurri e le montagne brune, ma anche sulla terra rossa.

Il maiorchino negli ultimi dieci anni ha costruito una carriera da mito dello sport della racchetta dominando come nessun altro mai su una qualsiasi superficie. I numeri di Sampras sull’erba, del Federer del quadrienno magico sul cemento, impallidiscono di fronte alle percentuali della perfetta decade terraiola di Rafael Nadal.

Il palmares, quasi superfluo ricordarlo, parla da solo: considerando i 5 tornei sul rosso primaverili dal 2005 abbiamo 9 Roland Garros, 8 Montecarlo, 8 Barcelona, 7 Roma. In tutti questi ovviamente è il recordman dei detentori. Su 40 tornei totali, ne ha vinti 32. Solo a Madrid è meno dominante, con “appena” 4 titoli (ma 3 su 6 da quando si gioca su terra, e andrebbe sommato un titolo ad Amburgo che occupava quello slot nel 2008).

Nelle ultime stagioni proprio per ottimizzare le sue caratteristiche, Nadal si è “abbassato” a giocare i tornei sudamericani di febbraio, una parentesi terraiola in mezzo al cemento. Una prassi che gli ha portato alterne fortune. Nel 2013 fu una mossa azzeccatissima, il rientro sulla terra dopo un lungo infortunio gli portò subito una finale al primo torneo, Vina del Mar, seguita da due trionfi a San Paolo e Acapulco, dove in finale distrusse un David Ferrer che in teoria partiva, unica volta in carriera, favorito.

Il mese latinoamericano diede il la a una delle migliori stagioni in assoluto di Nadal, con i soliti trionfi primaverili, la sua miglior annata cementifera di sempre, due slam e la riconquista della vetta del ranking.

Lo scorso anno la parentesi terraiola di febbraio, anche a causa dell’infortunio alla schiena patito in finale a Melbourne, si limitò alla difesa del solo Open di Rio, riuscita ma con qualche patema: in semifinale Rafa ebbe ragione di Andujar solo al tiebreak del terzo, conclusosi 12-10. E anche in finale contro Dolgopolov vinse senza convincere. I più attenti cominciarono a ipotizzare che quel Nadal, impeccabile come sempre fino alla finale australiana, cominciava a perdere qualche colpo persino su suo amato mattone tritato.

Anche in questo caso, la stagione primaverile rispecchiò la piccola parentesi terraiola di febbraio: Nadal vince il suo nono Roland Garros, e anche il Master di Madrid. Ma più che le sconfitte sono proprio queste due vittorie a far preoccupare: in Spagna è sovrastato dagli anticipi di Nishikori, in affanno come raramente lo si è mai visto sulla terra. Ma alla fine se la cava grazie anche (o soprattutto) all’infortunio del giapponese. A Parigi poi vince ma non trionfa, non domina come fa di solito. Purtuttavia, la cara, generosa terra salva la stagione di Nadal, altrimenti fallimentare per i suoi standard. Sconfitto a Wimbledon da Kyrgios, lo spagnolo dà in pratica l’arrivederci al 2015 saltando più tornei di quanti ne giochi a causa di vari infortuni.

Giungiamo quindi a questo 2015. Se vale la regola vista finora, che il buongiorno primaverile di Nadal si veda dal mattino sudamericano, lo spagnolo ha qualche ragione di preoccuparsi. La stagione di Nadal è una reazione a catena, un domino. Iniziare bene sul cemento australiano e, nelle ultime stagioni, la terra latina, gli dà la serenità per affrontare la fase del mattone europeo, che a sua volta gli fornisce la fiducia per proseguire con buoni risultati sull’odiato cemento americano (Wimbledon negli ultimi anni lo lasciamo stare).

Questo meccanismo non pare essersi rotto, ma quantomeno arrugginito: l’inizio d’anno di Nadal è deludente. Soprattutto per uno come lui che ha spesso abituato tifosi e controtifosi a ottenere grandi risultati fin da subito al rientro da lunghe parse, attirandosi anche sospetti e sfottò per questa sua caratteristica. Nadal stavolta invece pare in difficoltà proprio nel trovare la condizione ottimale. Sono passati ormai tre mesi dall’inizio della stagione e del “Vero Nadal” ancora non c’è traccia. Qualche miglioramento si vede, ma a rilento. La sua migliore prestazione, e ciò che più fa sperare i suoi tifosi, è stata una partita persa, ai quarti di Indian Wells da Raonic. Giammai in una decade di onorata carriera perdere da un lungagnone solo servizio, uno poi con quei capelli, sarebbe potuta sembrare una nota positiva. Ma in questo 2015 lo è, e ciò dà un’idea di quanto Rafa, clan e tifosi stiano rivedendo gli obiettivi in un modo di fare forse rassegnato. Il concetto che “l’importante è fare bene e mostrare miglioramenti” è una filosofia nuova nell’ambiente di Nadal, il tennista per cui più di tutti l’importante è stato sempre il risultato, indipendentemente dalla prestazione. Nadal mai, prima d’ora, è parso soddisfatto di perdere giocando bene.

La stagione di Nadal finora recita: un solo titolo, ottenuto non senza fatica a Buenos Aires, dove l’avversario di miglior ranking è stato il numero 59 Delbonis. Uno slam buono a livello relativo ma preoccupante dal punto di vista assoluto, con un grosso rischio contro Smyczek al secondo turno e una sonora sconfitta da Berdych nei quarti, con tanto di bagel. E poi altre sconfitte qua e là da Berrer, Fognini, Raonic e, ultimo, Verdasco. Non ha ancora battuto un top10 (ranking più elevato il numero 14 di Simon, sconfitto agli ottavi di Indian Wells), ma in compenso ha già perso da tre tennisti fuori dai 25. Il tutto con una stranissima tendenza per lui a perdere i match al set decisivo e a tremare quando è il momento di chiudere un parziale o un incontro.

Far bene a Miami era importante per la fiducia, e invece si è vista addirittura una regressione rispetto a quanto prodotto in California: il primo tassello del domino nadaliano si è concluso e, per la prima volta in carriera, non lascia presagire nulla di buono.

Ora Rafa guarda al futuro e alla sua terra, sulla quale ha sempre investito con profitto e che già in passato è venuto a salvarlo. Dei suoi 5255 punti che si ritroverà in classifica da lunedì, 3870 sono in scadenza da qui a fine Roland Garros, da difendersi con le unghie e i denti. Soprattutto l’infernale trittico Madrid-Roma-Parigi, dove Nadal lo scorso anno raccolse 3600 dei 4000 punti totali a disposizione. Montecarlo e Barcelona, dove fece quarti lo scorso anno, sono le uniche riserve dove mettere da parte qualche punto verso il primo obiettivo in ordine temporale: presentarsi a Parigi entro i primi 4 del ranking. Fallire significherebbe rischiare di trovarsi ai quarti uno dei due tennisti che più di tutti possono sgambettarlo nel suo regno francese: Djokovic e Nishikori.

Il riscatto nadaliano si celebra a Parigi ma si comincia a costruire a Roquebrune-Cap-Martin a inizio aprile. Più volte Nadal è parso nella polvere, più volte come un altro illustre in terre francesi è tornato sull’altare. E’ però proprio un fatto di sensazioni, di body language e confidenza in campo, di dichiarazioni in conferenza stampa, di dritto che non viaggia, di blackout mentali, più che di freddi numeri, che fanno pensare che questo Nadal non sia il “Vero Nadal”, e molti cominciano a chiedersi se lo si vedrà più. Ma si faceva lo stesso discorso su Federer nel 2013, e oggi sappiamo in che condizioni si trovi lo svizzero.

Riuscirà Rafael Nadal Parera da Manacor a trovare una volta di più riscatto sulla terra? E non dovesse riuscirci, avrà la voglia e la determinazione di accettare il verdetto e rimettersi sotto a lavorare in vista del futuro, magari cambiando qualcosa, o appenderà la racchetta al chiodo dopo Rio 2016 assieme al suo amico Rogelio? Ai posteri l’ardua sentenza.

 

 

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