Federer tra routine, viaggi e regolamento: "Vorrei imparare l'italiano"

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Federer tra routine, viaggi e regolamento: “Vorrei imparare l’italiano”

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Impegnato questa settimana a Istanbul al TEB BNP Paribas Istanbul Open, Roger Federer risponde alle domande di un sito svizzero

Roger Federer, un uomo alla ricerca di nuovi stimoli: nell’intervista al sito svizzero bazonline.ch racconta la sua voglia di nuove esperienze – e alla fine decide che è tempo di invertire i ruoli.

Lei ha dichiarato di essere venuto qui a Istanbul anche perché si trattava di qualcosa di nuovo…
Già, certe volte bisogna provare nuove esperienze per mantenersi giovani e vivaci.

Perciò questo varrebbe anche nel caso in cui in questa intervista le venissero poste domande, come dire, nuove?
Sì, io ne sarei felice. Se lei ha intenzione di chiedermi chi sia il favorito per gli Open di Francia, be’, non c’è bisogno che io e lei ci sediamo qui assieme, basterebbe che lei venisse a una conferenza stampa dove mi venga posta la stessa domanda. È per lo stesso motivo che tengo queste sessioni di Twitter con i miei fans, così sono loro stessi a pormi le loro domande. In questo modo mi ritrovo con molte domande inedite che dai giornalisti non riceverei mai perché nei loro articoli certi aspetti della mia vita non sono così interessanti. Generalmente io mi diverto molto in queste situazioni, ed è assolutamente indifferente cosa mi venga chiesto. Quando, per esempio, un giornalista mi chiede se sono ancora capace di vincere tornei, ecco, io sono un buon incassatore e rispondo, ma questo fa parte del gioco.

C’è qualche abitudine della sua vita di cui non sente più il bisogno? Un momento in cui lei dice a se stesso: se questa cosa cambiasse, io non sarei affatto scontento.
Non devo riflettere molto per rispondere: sicuramente la preparazione di tre ore prima di ogni match, fatta di stretching, riscaldamento, poi doccia e mangiare qualcosina e poi in campo. Ecco, di queste cose io farei volentieri a meno. Sarebbe bello poter uscire di casa e giocare a tennis, così, semplicemente, come fanno i giocatori non professionisti. Giocherellare con la palla per qualche minuto e poi via con il match.

Solo che poi arriverebbe la ricompensa: un ‘pizzicorio’ alla coscia, il polpaccio che tira..
Sono conscio del fatto che questo non sarebbe giusto per me, per il mio corpo e che è proprio per loro che scelgo di prepararmi in quel modo. E così a ogni match si ripete la stessa storia…

Cosa le fa perdere la calma? C’è qualcosa che riesce a innervosirla?
Ho sicuramente trovato un buon equilibrio nella mia vita, il che mi rende una persona equilibrata. La cosa che più mi stressa è essere in ritardo. Una volta non mi disturbava, la prendevo come la conseguenza dell’essere un po’ disordinato. E chiaramente anche i miei figli ogni tanto mi fanno perdere la pazienza: soprattutto quando non mi ascoltano. (Ride)

Quand’è stata l’ultima volta che lei è potuto uscire dall’Hotel e girare per la città senza una meta precisa?
Normalmente so sempre dove mi dirigo. Ma a Parigi è capitato che io e Mirka, con i nostri figli, siamo finiti in una strada senza uscita e all’improvviso non avevamo più idea di dove fossimo. E allora abbiamo optato per il meglio: ci siamo goduti il sole e abbiamo mangiato un gelato per strada, soprattutto con i bambini capita di dover improvvisare. Poterlo fare con semplicità è una di quelle piccole ‘normalità’ di cui ho bisogno.

Dove prende lei le informazioni riguardanti una città?
Su internet, su alcune riviste e nelle brochure disponibili negli hotel. Spesso mi capita di pensare: che peccato aver così poco tempo per vedere tutto quel che c’è da vedere. Le città che frequento le frequento per il tennis e perciò devo rispettare un certo stile di vita, dormire abbastanza. Non penso che l’unico modo per visitare una città sia perlustrare tutti i musei. Penso anche all’approcciarsi alle persone, all’imparare a conoscerle, a ricevere da loro qualcosa di nuovo, di interessante, che mi permetta uno sguardo sulla vita del luogo.
Qui a Istanbul c’è l’Hammam a cui prestare attenzione perché è un qualcosa di tipico. E allora magari io vado un’oretta in un hammam e sono molto contento. In fondo anche questo è fare qualcosa di nuovo.

Lei perciò ha tempo anche per sé.
Nonostante tutti gli obblighi di un tennista professionista direi di sì, ne ho. E mi devo organizzare per poterlo sfruttare al meglio. Per giocare bene a tennis, devi avere la testa libera. E questo può succedere soltanto se ti sei un po’ abituato al posto in cui ti trovi e dedichi del tempo a te stesso, per fare semplicemente ciò che ti va di fare.

Lei è qui senza famiglia. Come decidete se fare il viaggio tutti insieme o meno?
Lo decidiamo molto velocemente. A volte capita che la mia famiglia voglia stare un po’ a casa. Prima del torneo ho detto: se prima di venerdì ho solo un match va bene che io viaggi da solo, e per un paio di giorni posso farlo. Prima di Madrid decideremo di nuovo insieme. Ci capiamo velocemente, senza parlare troppo. Magari uno dei nostri figli sta poco bene e allora bisogna saper prendere tutte le precauzioni necessarie. Comunque, nella maggior parte dei tornei la famiglia è presente.

Come rimane in contatto con la sua famiglia quando lei è in giro per il mondo?
Domenica ci siamo sentiti via skype. Ma la cosa bella è questa: che i bambini spesso durante le chiamate skype portano in giro il pc per la casa per mostrarmi tutto quel che fanno e io sento la loro mancanza. E allora dico: ok, va bene, chiamo ancora una volta più tardi.

Lei è stato in tantissimi paesi. Il posto più ‘pazzo’?
Direi il Sud America. È incredibile laggiù, non importa se sia Rio, Buenos Aires o Bogotà. La gente perdeva completamente la testa in un modo bellissimo. Sono stati 10 giorni a tutta birra.

La prima volta che ha saputo che ci sarebbe stato un nuovo torneo Atp a Istanbul lei è stato molto entusiasta.
Tutto ciò ha a che fare con la mia esperienza scolastica. Avevamo una compagna turca che non parlava tedesco. Noi gliel’abbiamo insegnato e lei aveva fatto lo stesso con la sua lingua. E infatti io so contare un po’ in turco: bir, iki, üç, dört, beç (sono i numeri in turco). Hey, non posso ricordarmi tutto. Una volta comunque arrivavo fino a dodici. E a Congeli giocavo a calcio con molti ragazzi turchi. Perciò il contatto con la cultura turca per me non è un fatto nuovo, anzi, è avvenuto tempo fa.

Assaggia le specialità della cucina locale quando si sposta in un posto?
Assolutamente, è una cosa che amo, infatti conosco moltissimi tipi di cucina. Diciamo che ho mangiato la carta-menù di tutto il mondo.

E le ha mai cucinate?
Mai. Io ho – e tutti lo sanno – un buono stomaco. È una cosa che mi piace molto. E perciò è molto importante che noi tennisti stiamo in pace durante i nostri pasti.

Deve decidere: la sua cucina preferita?
La mia classifica è: 1) cucina svizzera 2) quella italiana 3) quella orientale, asiatica. L’ultima novità è quella peruviana, che mi piace molto perché ha gusti totalmente differenti.

Che lingua le piacerebbe imparare?
Italiano. Una lingua magnifica. Purtroppo non ne ho il tempo, ma magari in futuro, chissà.

Quali sono i paesi nei quali non ha ancora viaggiato per il tennis ma che le piacerebbe visitare?
In Africa ci sono posti che non ho visto. Mio padre parla sempre della Namibia, ma io non ci sono mai stato. In Sudafrica sì, ma lì non ho mai giocato a tennis. Mi piacerebbe poter fare un’esibizione. Ho in mente di visitare alcuni paesi con l’auto. Mi piacerebbe viaggiare paese per paese in Italia o andare nei fiordi del nord Europa. E naturalmente mi eccita molto anche l’Asia, dove ci sono un sacco di posti che non ho mai visitato.

Le capita di avere paura del nuovo?
Come si dice in Inglese: “siamo figli dell’abitudine”. L’uomo è un abitudinario, e certamente con la famiglia la sicurezza è importante. Non ho bisogno di stupide sorprese. Ma altrimenti sono un tipo ben contento di provare qualcosa di nuovo e, in fondo, anche alla ricerca di nuovi stimoli.

Lei è anche così aperto quando si tratta di apportare modifiche regolamentari al tennis?
In Australia ho giocato con Hewitt un match al meglio dei 4 game e nel quale non c’era il deuce. Per i tornei nei club e per quelli di basso livello penso che possa anche andare bene questo format. Anche il torneo a squadre in India è stato interessante; certo, non deve diventare eccessivamente complicato. Se i fans non capiscono le regole, il gioco non vale la candela. Io sono un tradizionalista per quanto riguarda le regole. Non credo che quelle che abbiamo oggi nel tennis siano invecchiate. Fa parte del gioco che il tennis non si possa programmare e prevedere fino al minimo dettaglio e che nessuno sappia se un match durerà 55 minuti, 2 ore o 6.

Come vede la sua vita dopo il ritiro?
Non sarà una vita di puro riposo, con i figli non lo è mai. E questo mi piace. Non sto volentieri da solo, non sono un tipo che ha bisogno di ore seduto in un angolo da solo. Divento subito impaziente. Mi piace avere gente intorno, soprattutto la mia famiglia. E infatti è bello che siamo così tanti.

Farebbe qualcosa di diverso, se potesse tornare agli inizi?
No, avevo bisogno di ogni esperienza, di tutto ciò che ho fatto nella vita per arrivare qui dove sono ora. E ciò naturalmente comprende anche le scelte difficili. Questo spesso viene dimenticato dalle persone perché sembra che per me sia tutto facile. Ero un testardo, cacciato più volte del centro tennis perché, insieme a Marco Chiudinelli, facevo troppo casino. E a 13 anni mi sono trasferito a Ecublens e vivevo quasi come in un collegio. È stato duro, ma è stata una delle esperienze più importanti della mia vita. Avevo nostalgia di casa, ma sapevo di doverci passare per poter diventare un giocatore professionista.

Lei quindi non cambierebbe niente.
Ecco. È stato importante fare certi errori, per diventare un giocatore e un uomo migliore. Decisivo è il modo in cui si apprendono ‘le giuste lezioni’ e si impara a non ripetere gli stessi errori. Non si deve sottovalutare quest’aspetto. Come professionista si possono commettere moltissimi errori: con i media, gli sponsor, i fan, gli organizzatori dei tornei. Il pericolo c’è.
Le scelte più importanti le ho sicuramente fatte in maniera corretta: i miei allenatori, il mio preparatore, il mio agente, è stato tutto perfetto.

Quanto si interessa alle news?
Mi interesso, ma non ne sono dipendente. Non voglio nemmeno guardare tutti i telegiornali quando sono con i miei figli, preferisco fare qualcosa che piaccia a loro. Ma, spesso, durante una seduta di massaggi o di trattamenti fisici ho tempo per leggere, soprattutto notizie sulla Svizzera e su Basilea.

Ok. A quale domanda che non le è stata mai posta le piacerebbe rispondere?
Accidenti, in cosa mi sono fatto incastrare (ride). Potremmo però girare il gioco e fare così: io le faccio una domanda e lei risponde. Sarebbe certamente qualcosa di nuovo.

Per me va bene.
Io ho più di una domanda: di quanti sport si occupa?

Di almeno una mezza dozzina. Tennis e calcio soprattutto, a volte mi capita di scrivere di atletica leggera, boxe, badminton e una volta all’anno forse anche di ping pong.
Qual è per lei lo sport più brutto?

Nessuno, altrimenti non ne scriverei. Ma la cosa più brutta comunque penso che sarebbe trovarsi al centro del ring e dover combattere.
Cosa trova di bello nel tennis?

Il tennis è uno sport incredibilmente psicologico, con svolte e cambiamenti sempre sorprendenti. Se penso all’ultima finale di Wimbledon, quella che lei ha giocato contro Novak Djokovic, con tutti quei su e giù. All’inizio del quarto set lei sembrava destinato alla sconfitta, e poi invece è tornato su portando il match al quinto e dando vita a qualcosa di incredibile.
Penso che ciò faccia parte delle regole che devono essere conservate con cura. Tutto può succedere, e molto rapidamente. Solo nella boxe il cambiamento è più rapido, quando il tuo avversario sembra k.o. e invece ti colpisce e bummm – tu sei a terra, anche se hai dominato per un 11 round. C’è qualcosa che lei cambierebbe nel tennis?

Mi dispiace che solamente nei tornei dello Slam si possano vedere match al meglio dei cinque set. Forse sarebbe il caso che almeno le finali degli altri tornei venissero giocate su quella distanza.
Capisco quest’idea. Quando una finale si svolge come quella con Goffin di Basilea, gli spettatori spendono molto di più di ciò a cui effettivamente assistono. Però, allo stesso tempo, non funzionerebbe. Io non potrei partecipare a una serie di tornei, se le finali fossero così. Penso al filotto Madrid-Roma e poi Parigi. Troppo faticoso. Il sistema fu cambiato dopo la finale di Roma 2006 tra me e Rafa. Fu una finale pazzesca: io venivo da match tutti tirati per tutta la settimana e giocammo quella finale. Il giorno dopo potevo a malapena camminare e mi dovetti ritirare da Amburgo. E lo stesso fece Rafa. E gli organizzatori di Amburgo non furono così contenti. È chiaro, per i tifosi un match al meglio dei 5 set è super. Tutti i match che si ricordano finiscono al quinto set.

Con l’eccezione, forse, della semi al Master di Londra 2014 tra lei e Stan.
Già, ma come lei ha giustamente detto, questa è l’eccezione. In effetti è incomprensibile che al Master non si giochi la finale al meglio dei cinque. È il culmine della stagione, e dopo, Davis a parte, non ci sono più partite.

Ok, non mi resta che augurarle un buon divertimento qui all’Hammam. Avrei ancora una domanda: chi vince il Roland Garros?
Haha! Bel tentativo!

 

Traduzione di Maurizio Riguzzi

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