Da Edberg a Bjorkman, il coach parla svedese (Martucci). Le due vite di Sabrina: “Un domani c'è sempre” (Cappelli).

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Da Edberg a Bjorkman, il coach parla svedese (Martucci). Le due vite di Sabrina: “Un domani c’è sempre” (Cappelli).

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Da Edberg a Bjorkman, il coach parla svedese (Vincenzo Martucci, La Gazzetta dello Sport).

All’inizio fu Lennart Bergelin, ex buon tennista diventato allenatore-faro di Bjorn Borg. Poi è stato John-Anders Sjogren, padre tennistico del poliedrico Mats Wilander. Quindi, dagli istruttori svedesi con gli atleti solo svedesi è scaturita l’epopea dei nipotini dell’Orso che ha portato addirittura a 6 finali di coppa Davis consecutive (dall’84 all’89), trionfi Slam a raffica ed egemonia nei «top ten». Dopo di che c’è stato l’oblio e oggi il primo svedese nella classifica mondiale dei professionisti, Elias Ymer, è soltanto al numero 171. Torneranno in auge? Difficile, finché il golf sarà più popolare della racchetta. Intanto, i grandi del tennis di ieri si sono riciclati come allenatori. Nel 2001 Mats Wilander, capace di vincere 7 Majors, ha aperto la strada guidando prima Marat Safin e poi Wayne Ferreira, Tatiana Golovin e Paul-Henri Mathieu. Poi si è scoperto commentatore tv: da coach, era troppo ingombrante. Il «gemello», Joakim Nystrom, ex numero 7 in singolare e campione di un Wimbledon in doppio, forse era invece troppo dimesso, chioccia di professionisti buoni, ma non eccelsi come Jarkko Nieminen, Jurgen Melzer e Jack Sock. Peter Lundgren, talento precoce ma troppo altalenante, s’è specializzato come guida di star bizzose, come il cileno Marcelo Rios, che portò nei primi 10, come il giovanissimo Roger Federer, che ereditò dal povero Peter Carter, e come altri talenti di prima qualità, da Marcos Baghdatis a Grigor Dimitrov. Prima di deragliare su Stan Wawrinka e Daniela Hantuchova. Più successo, da coach, ha avuto Magnus Norman, che, nel 2000, vinse Roma e fu finalista al Roland Garros e arrivò al numero 2 del mondo. Fu stoppato da vari problemi fisici. Con la sua accademia, «Good for great tennis», ha aiutato anime in pena come Dimitrov e, accanto agli ex colleghi Mikael Tillstrom e Nicklas Kulti, ha rilanciato la carriera del connazionale Thomas Johansson, ha rivitalizzato quella di Robin Soderling – classifica record di numero 4 del mondo, due finali di fila al Roland Garros e unico castigatore di Rafa Nadal a Parigi negli ultimi 10 anni – e ha portato Wawrinka a salire al numero 3, interrompendo l’egemonia dei Fab Four negli Slam, col trionfo agli Australian Open 2014. Nel filone dei coach svedesi spicca, ovviamente, Stefan Edberg, 6 titoli Slam in singolare e 3 in doppio, più la corona di n. 1 nella classifica. Dal gennaio 2014, l’ex campione svedese sta aiutando Roger Federer a giocare il miglior tennis di sempre. Ma allenare il Magnifico è relativamente facile. Più dura sarà per l’intelligente cultore della volée Thomas Bjorkman, campione di 4 Slam di doppio, spingere a rete Andy Murray per fargli superare il nuovo impasse. E chissà se Thomas Johansson, ex numero 7 e campione di un miracoloso Australian Open, saprà svezzare il talento croato Borna Coric. Avrà la pazienza dell’omonimo Hogstedt, già numero 38 del mondo, guida di Tommy Haas, Li Na e Maria Sharapova? Vale anche per Thomas Enqvist, che deve indirizzare i tiri mancini di Fernando Verdasco.

Le due vite di Sabrina: “Un domani c’è sempre” (Valerio Cappelli, La Gazzetta dello Sport – Roma).

Sabrina Fidaleo era brava a scuola, studiava musica, poi cominciò a lavorare per il Comune. “Ero una ragazza promettente”, dice con un sorriso ironico. Giocava a pallavolo, ma sentiva un dolore costante al ginocchio e si sottopose a una banale artroscopia. “In sala operatoria ho contratto un’infezione. Poi mi hanno messo un gesso enorme, dall’inguine alla caviglia, che ha compromesso tutto. Ho subito venti interventi alla gamba sinistra e ancora devo finire. A settembre saranno 15 anni che mi hanno amputata”. Oggi Sabrina vive da sola a Milano, in carrozzina, ma va spesso ad Aprilia, la sua città natale in provincia di Latina. E rimasta una sportiva, tutte le risposte che cercava le ha avute nel tennis e nella Nazionale disabili di pallavolo, che il 2 e 3 maggio giocherà ad Ascoli Piceno, e sta per entrare in un circuito internazionale. “Quando mi hanno amputato la gamba non mi ero resa conto della situazione. Sono andata in ospedale con indifferenza, come se fosse una normale operazione”. Sabrina ha avuto la stessa reazione di Alex Zanardi: “L’importante è che sono viva. I miei genitori erano disperati, e così il medico. Gli dissi che sarei andata alle Paralimpiadi e che gli avrei portato una medaglia. L’amputazione è stata sbagliata, il femore non era coperto dalla fascia muscolare. C’è stato un processo penale, alcuni medici sono stati condannati. Mio padre, operaio in pensione, per pagarmi le spese mediche ha dovuto vendere la casa e un uliveto”. A Milano, dove era andata per le cure mediche, Sabrina ha scoperto l’esistenza del tennis sulla sedia. “Ho vinto il campionato italiano di doppio. Nei tornei non sono previsti rimborsi, è dura se non hai una società o una Onlus alle spalle. Nel sitting volley c’è una organizzazione che funziona. Devi imparare a giocare seduta, trovare un equilibrio per terra e, se vieni colpita, non cadere male. All’inizio lo odiavo, ma quando sono entrata in campo, non ne sono uscita più”. E Sabrina ha ripreso anche a sognare: “Vorrei cercare di cambiare qualcosa, parlare nelle scuole e dire che non siamo un mondo parallelo. Anche se non hai le gambe, un domani c’è”.

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