Mezza giornata senza Federer. O quasi

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Mezza giornata senza Federer. O quasi

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Un torneo che volge al termine, una città troppo grande, uno stadio brutto e distante. Ingredienti per una giornata non troppo particolare, con il tennis lontano ma incombente

Quando i tornei si avviano alla conclusione in genere si è a metà strada tra il sollievo e un pizzico di nostalgia. Il sollievo di non dover tornare a vedere due tipi che con una racchetta in mano sbuffano, strepitano, deliziano o di non dover andare a cercare qualcosa da chiedere senza che poi ci si debba per forza ritrovare nel tipo che i giocatori descrivono (fanno sempre domande banali eh Federer? la prossima volta parliamo del sistema politico centripeto o degli sgomberi di Gozi Park); e la nostalgia per una città che non si riesce mai a vedere fino in fondo, che si abbandona con la sensazione di avere un po’ sbagliato nella divisione dei tempi, sempre troppo in favore del tennis.

Figuriamoci a Istanbul, città sterminata per definizione, dove in 5 giorni è già tanto se si riesce a capire come muoversi. Il vantaggio in questi casi è che essendo la città così enorme difficilmente ci si lega a qualcosa di specifico. Anche se poi si arriva a sera e quando si scende alla solita fermata, quando ci si ferma al solito carrettino per quell’assurdo panino della buonanotte, col tipo che sorride e toglie la parte col prezzemolo, ci si accorge che si è di nuovo fregati: ecco un’altra città che, Federer o non Federer, si ricorderà.

Forse per questo la mattina si prova a scappare da Federer, Dimitrov, il tennis, i numeri. Ci si imbarca per l’Asia, perché è una cosa che non si dice spesso (“che fai domani?” “mah, magari vado in Asia“), perché da Besiktas partono i traghetti da cui si può vedere il ponte sul passaggio delle vacche (il Bosforo, tra noi intellettuali; santa Wiki) e perché sembra che tra le nuvole si stia facendo strada un po’ di sole. Tanto le partite iniziano nel pomeriggio, anche Garofalo si farà una ragione del mancato racconto di Lajovic. Anzi, in fondo ci si può togliere il pensiero: match point su servizio Guccione che serve slice su Albot, il buon Radu risponde bene e a rete Sa è costretto alla volée difensiva, avanzamento di Lajovic, pallonetto di Guccione che rispedisce indietro Lajovic e Albot, dritto violento di Guccione corretto dal nastro e palla lunga. Chissà se è vero. In ogni caso ci sarà un altro Lajovic domani, alle 14,30 in finale contro Melzer e Lindstedt (le 13,30 da voi). Quasi quasi si potrebbe chiedere che l’assegnino all’avvocato, non negheranno certo questo favore?

Nel frattempo il traghetto ha attraversato il Bosforo per fermarsi a Uskudar. Se provate a leggere qualcosa, rimarrete perplessi per via del fatto che pare che molti occidentali arrivano, vedono i cantieri e se ne tornano nella parte europea. Questo è il risultato dei prezzi bassi dei trasporti pubblici, aveva ragione Fidel. Mentre si cerca di capire perché mai almeno non dare un’occhiata all’enorme moschea – si, forse si capisce, dopo 2 ore di Istanbul i minareti cominciano francamente a infastidire – ci si incammina sul lungo mare. Chissà l’effetto che fa, vedere la parte europea da quella asiatica e non pensare a Federer. Sul lungo mare ad un certo punto c’è qualcosa davvero di sorprendente. Hanno piazzato dei tappeti, immagino l’assessore all’ambiente o il sindaco dell’Anatolia, e due cuscini su alcuni gradoni che arrivano al mare. Ci si può sedere guardare a sinistra la torre Kiz Kulesi che, dicono, grazie allo sfondo della penisola storica, mostra una delle più scenografiche silhouette di Istanbul. Dev’esserci nebbia, perché si intravede appena la Moschea Dolmabahçe, dove si erano rifugiati i ragazzi per sfuggire alle aggressioni della polizia (che ne pensa Mr. Federer? ritiene appropriata la politica di riappropriazione degli spazi del movimento Occupy?) però ci si siede con l’animo in pace e il tennis lontano. Una signora vuol vendere delle rose ma si ferma da una ragazza che le offre da fumare e si siedono insieme a chiacchierare chissà di cosa. Pace.

È abbastanza complicato trovare qualcuno che parla inglese, molto presto si cominciano ad usare le mani e a scrivere i luoghi verso cui si è diretti. Inutile dire che appena si mostra ad un tizio il foglio bianco con su scritto Kuzguncuk in perfetto inglese fornisce le indicazioni, una mappa e il tragitto turistico migliore. Come in tante città musulmane, a Kuzguncuk convivono circa 6 o 7 religioni. Cosa fa pensare questo meglio tenerselo per sé, anche perché nel frattempo è arrivata l’idea: caro Federer ecco la gran domanda. 

Si torna nella parte europea per cominciare il lungo viaggio che porta fino alla parte bulgara, cioè alla Galati Koza Arena, un comodissimo ritrovo a poche centinaia di chilometri da Sofia e a 65 dall’imbarco per Uskudar. Si deve prima prendere il metro-tram, cambiare dopo 15 fermate (fate una media di due minuti a fermata), farne altre tre, scendere, prendere il o metro bus e farne altre 12 oppure un comodo autobus che in circa un’ora e mezza lascia in Süleyman Demirel Bulvarı (con la “i” rigorosamente senza puntino) a meno che l’autista non faccia un incidente, cosa che alle 14.30 capita puntualmente. In effetti erano stati strani i giorni precedenti, visto che pare sia usanza comune mantenere la distanza di sicurezza tra due veicoli, pari a non più di 5 cm, così nelle strade possono starci più macchine e autobus. E se non ci avete capito nulla avete una pallida idea di come siano passate queste giornate. 

La Koza Arena, quante volte ancora si deve dire?, è in una specie di collina, la cui scalata, dopo 3 ore di viaggio, ricorda  – va a sapere perché, visto che il paesaggio è spettrale tra cumuli di macerie e centri commerciali, e l’autostrada per Ankara da attraversare –  le collinette nelle quali sono poste le cattedrali gotiche. Pare servissero per farti arrivare leggermente stanco al cospetto di tanta magnificienza di Dio. Toh guarda, si torna a Federer. “Die Magiste” come al solito cede il passo all’avversario, l’uomo nero, come dice Vallotto che sa le lingue e che come regalo aveva fatto trovare la notizia che era la 170ma semifinale di Federer. Siccome non sa fare di conto, bisogna sbrigarsela da soli per capire quante ne ha vinte, interessante che siano 10 delle ultime 11. Qual è quella che ha perso? Lasciamo stare va.

In campo c’è il solito entusiamo, ma già nel primo game qualcosa non torna. Federer fa un discorsetto a Lahyani, che siccome è uno che ha avuto a che fare con Fognini lo guarda come a dirgli “tutto qua?” con quanta gioia del “Magiste” si può immaginare. Dalla parte in cui ci sono i giornalisti, Federer non vince un game, dopo mezzora è sotto 6-2, con il ragazzo che ogni santa mattina è costretto a sistemare il wi fi dell’inviato italiano ormai paonazzo.

Si riprendono, lui e la Koza, quando Federer fa il break. Come detto in cronaca il magiste gioca arrotato, vince il set ma non gli riesce subito il break e quindi sbuffa e soffre. Quando sono sul 4 pari, arriva la cena, puntualmente alle 17.30. Se pensate che la presenza del Magiste possa rendere facile l’approvigionamento dei giornalisti  avete pensato esattamente quello che hanno pensato tutti. Al primo match point di Federer in molti non sono ancora alle patate, per fortuna c’è gente previdente che aveva già scritto titolo e punteggio, basta cambiare il 6 con un 7 e il 4 con un 5, scaricare tutto se De Gaspari come al solito – tanto se ci sono problemi è colpa sua – e il gioco è fatto, si può mangiare la creme brulée in pace, tanto il pezzo è in aggiornamento e ci saranno già cento commenti.

Si fa sentire persino il direttore che scrive la domanda che si dovrebbe fare, ma allora a che serviva la passeggiata in Anatolia? Fra l’altro la parte finale della domanda del direttore farebbe piacere a Federer quanto a voi se vi chiedessero se siete sportivi o semplici mercenari attaccati ai soldi e si suggerisce al direttore che tanto ormai sono gli ultimi due giorni e poi la domanda pronta l’abbiamo, eccola: “Abbiamo tradotto la tua intervista, nella quale dici che ti piacerebbe imparare l’italiano e vai pazzo per la cucina italiana. Le nostre lettrici si sono scatenate. Una ha detto che è disspota a insegnartelo gratuitamente; un’altra che potrebbe anche darti dei soldi, magari non troppi; una terza propone lezioni di lingue e ravioli. Ecco allora la domanda tecnica: verrai a Roma?”

Voi ricordate vero l’ingresso di Jake e Elliot Blues nella sala grande del Palace Hotel di Chigaco vero? Ecco, l’effetto è stato quello, con la risposta che dovreste aver letto da qualche parte. La prima parte è stata twittata dal torneo la seconda no, peccato non aver potuto usare il registratore.

Si può tornare a casa, ma Silvia Berna dice che c’è Dimitrov, ah già. 5-4 Cuevas, il miglior uruguaiano di tutti i tempi – su, è un assist per quelli che si ricorderanno di Marcelo Fillippini – secondo forse a Francescoli, ah no, quello era un altro sport. Forse. Cuevas arriva mentre in tanti sono già andati via, non parla inglese e quindi bisogna tradurgli le domande, quando gli ricordano dell’ultima finale ride, come a dire “ma avete presente cos’è (non “chi è” ma proprio “cos’è” sembra dire) quello di domani?”

Si possono raccogliere le pezze e provare un tragitto nuovo. Un taxi collettivo porta ad Avcilar, mezzora scarsa. Da lì bastano 36 fermate di Metro-Bus e l’autobus per Besiktas. U stigghularu guarda la pioggia che intanto si trasforma in burrasca e sembra dire “giornata dura eh? ecco il panino”. Macché, domani si parte. Ah già, la finale.

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