One to one con Timea Bacsinszky, la barista che sogna uno Slam: "Mio padre mi opprimeva"

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One to one con Timea Bacsinszky, la barista che sogna uno Slam: “Mio padre mi opprimeva”

Timea Bacsinszky, dopo la bella vittoria in due set contro Sabine Lisicki, si è concessa per un’intervista esclusiva a Ubitennis. La sua storia personale, i suoi obiettivi e i suoi idoli

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Costretta da un padre-padrone a emulare la connazionale Martina Hingis; i primi successi a vent’anni, poi l’improvviso divorzio dalla famiglia e la fuga verso una vita “normale” nella sua Svizzera, fino al ritorno alle competizioni nel 2013. Timea Bacsinszky quest’anno ha già vinto due titoli (Acapulco e Monterrey, in due settimane consecutive) e persona una finale a Shenzen; attualmente numero 25 del mondo, affronterà Daria Gavrilova in ottavi, per un probabile quarto contro Serena Williams. Di tutto questo Timea ha parlato in esclusiva con Ubitennis:

Parliamo della partita contro la Lisicki.

“Non è stata facile, lei ha iniziato molto bene e io ho faticato ad entrare in partita. Ho cambiato ritmi e angoli dei miei colpi, e ho pensato che lei avrebbe sbagliato di più, come poi infatti è successo. Sono contenta perché ho giocato molto bene il secondo set, lei si è rilassata e io ne ho approfittato. Ero tranquilla in campo, anche quando sotto nel punteggio”.

Ti piace Roma? I campi del Foro, la città?

“E’ una città bellissima, anche se ancora non sono riuscita a farmi un giro. Soltanto sabato sera, per la WTA abbiamo girato un video a Piazza di Spagna. Ho giocato un ITF nel 2012, ho visitato la città in passato: nel 2010 ci ho passato più tempo, ho imparato anche qualche parola in dialetto!”.

A proposito del 2012; la tua storia è abbastanza famosa. Parlaci del tuo periodo di pausa, cosa ti ha spinto ad abbandonare e poi a riprendere, il tuo periodo come barista.

“Ho smesso a cavallo tra 2012 e 2013, ho ricominciato al Roland Garros. Non è stato tanto tempo, ma ho avuto la sensazione che il tennis per me fosse di fatto finito. Ho iniziato anche a seguire una psicologa, per motivazioni però estranee allo sport, piuttosto personali: quando ero piccola, mio papà (anzi mio padre, non è mai stato un papà per me) mi ha sempre oppresso, ha sempre scelto lui per me, senza mai darmi la possibilità di fare esperienza. Non puoi impedire ad un giovane di fare un po’ di testa propria, né lasciargli fare qualsiasi cosa: avevo 23 anni e non ero capace di prendere una decisione. Ho seguito questa psicologa per capire come prendere in mano la mia vita, e quindi ho scelto di non giocare più a tennis: mi piaceva da morire il mio lavoro! Ero allo “Chalet Royalp”, un albergo svizzero dove ho conosciuto anche molti italiani, ed ero molto stimata perché parlo cinque lingue: ho lavorato al bar di notte, ho fatto la cameriera e la cuoca, ero contentissima”.

Se pensi a te stessa due anni fa, quali sono le differenza con la Timea di oggi?

“Sono la stessa, ma mi sono evoluta. Questa esperienza e il lavoro con la psicologa mi hanno fatto crescere molto, e ho cercato di capire come è possibile che in una ragazzina possano nascere paure tali da comprometterne la tranquillità. Adesso sono molto più serena, e cerco di apprendere dalla prima parte della mia carriera per migliorare il mio futuro, perché il passato non posso cambiarlo. Aver vissuto tante cose, anche se non tutte belle, mi aiuta molto”.

Il tuo rapporto con la Svizzera, la Hingis e Roger Federer? Martina è tornata da poco alle competizioni, anche in Fed Cup, seppur con risultati non entusiasmanti.

“Era venuta per il doppio e alla fine ha giocato il singolare! (ride) In Svizzera abbiamo il latte, il cioccolato, il formaggio… A parte gli scherzi, Hingis è sempre stata presente nella mia vita, perché era il modello che mio padre avrebbe voluto io seguissi; paradossalmente, non la conoscevo ed era qualcosa di negativo per me, di opprimente. L’ho incontrata per la prima volta in occasione di un weekend di Fed Cup, perché prima non avevamo mai giocato insieme, io ho iniziato a vincere in modo continuativo quando lei aveva già smesso. Allenarmi con lei è’ stata una sensazione particolare, avevo di fronte quella che per anni è stata la fonte dei miei dolori, perché era la fissazione di mio padre; comunque ero tranquilla, perché avevo compreso che lei aveva ed ha la sua carriera, io invece devo pensare a me stessa. Lo stesso vale per Roger e Stan, possono essere fonte di ispirazione, ma non posso pensare di raggiungere ciò che hanno ottenuto loro; devo pensare a me stessa come persona, più che come atleta. Avere questi campioni nel mio paese è fantastico, ma può anche essere deprimente: ho vinto tre tornei, quest’anno quindici partite consecutive, eppure sono banalità in confronto a quanto questi mostri sacri hanno già fatto”.

Ultima domanda: sei dell’89, quindi ancora piuttosto giovane. Con tutto quello che hai già vissuto, quali obiettivi ti poni adesso?

“Non ne ho. Voglio solo dare il mio meglio, voglio dare sempre di più; se le cose vanno male voglio riuscire a capovolgere la situazione e uscire dal campo convinta di aver dato tutto. So che potenzialmente potrò avere una carriera ancora lunga, sono a posto fisicamente e sono tranquilla, mi piace giocare a tennis; spero di poter ottenere ancora molto, e spero di far divertire ed emozionare i miei tifosi, anche in futuro. Non ho obiettivi, al massimo ho un sogno: vincere uno Slam”.

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