Knapp, l’antidiva piena di passione (Valesio). Amélie, la coach dei tempi moderni (Clerici). Sharapova, cinquanta sfumature di rosso (Cocchi). Djokovic: “Finalmente sono pronto” (Clemente).

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Knapp, l’antidiva piena di passione (Valesio). Amélie, la coach dei tempi moderni (Clerici). Sharapova, cinquanta sfumature di rosso (Cocchi). Djokovic: “Finalmente sono pronto” (Clemente).

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Knapp, l’antidiva piena di passione (Piero Valesio, Tuttosport).

Questo è articolo è un atto dovuto nei confronti di Karin Knapp, tennista azzurra che ieri a Norimberga ha battuto Roberta Vinci e si è aggiudicata il secondo titolo della carriera. Un atto dovuto perché di Karin avremmo dovuto parlare già una decina di giorni fa, ma per una serie di circostanze lei è sparita nel nulla proprio quando, invece, avrebbe meritato una vera e propria standing ovation. Mercoledì della settimana scorsa Karin ha trascorso la giornata aspettando di scendere in campo sul centrale del Foro Italico contro Petra Kvitova, la ceca fresca di vittoria schiacciante su Serena Williams e di titolo a Madrid. Nell’umidità della notte in riva al Tevere Karin è scesa in campo non esattamente nell’indifferenza dai più ma quasi. Prima di lei sul centrale Roger Federer aveva lasciato poco scampo a Cuevas: ma soprattutto mentre lei era impegnata nel palleggio prematch la Juve a Madrid iniziava la partita dell’anno con conseguente fuggi fuggi di un certo numero di possibili spettatori in direzione del primo televisore disponibile. In più la serata non era esattamente calda In un contesto del genere la nostra non solo ha giocato probabilmente la partita migliore della carriera: ma l’ha trasformata in una sorta di dramma che avrebbe meritato ben altro palcoscenico. Basti pensare che Karin si è trovata 5-2 avanti sulla Kvitova nel terzo. Ma poi è successo che Karin smesso di credere in Karin nonostante il suo angolo continuasse a dirle la verità, che stava giocando un grande match. Ma il punto d’impatto della palla, che fino a quel momento era stato costantemente davanti a lei, si è piano piano spostato al suo fianco: con l’inevitabile risultato che i suoi colpi hanno preso a finire lunghi o in rete. A quel punto la fine era quasi scontata: la nostra è riuscita solo a trascinare la Kvitova al tiebreak e poi ha perso racimolando un solo punto. Subendo pure la beffa di vedere le proprie sperenze morire su un nastro beffardo. Intanto la sera era diventata quasi notte e praticamente della quasi-impresa della Knapp, il giorno successivo, si è avuta solo qualche vaga eco sul web perché i giornali in pochissimi casi hanno anche solo pubblicato il risultato: e il web si è dedicato ad altri eventi più freschi. Capirete dunque che il successo di ieri ha avuto per la Knapp il sapore di una doppia gioia: aver vinto un partita difficile contro l’amica Roberta al fianco della quale disputerà il doppio femminile da oggi al Roland Garros; e l’aver ottenuto, anche se in ritardo, un po’ di gloria per quella partita bellissima e quella altrettanto bella anche se dolorosa, dimostrazione di umanità che aveva offerto pochi giorni prima. Karin è un esempio di pura passione tennistica come pochi altri: solo una che ama questo sport in maniera smodata può sottoporsi a due operazioni al cuore per poter ipotizzare di avere un futuro come giocatrice. Al primo turno parigino è attesa dalla Wozniacki e sarà durissima: ma per il momento giustizia è fatta.

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Amélie, la coach dei tempi moderni (Gianni Clerici, La Repubblica).

“Ma copiate anche voi giornalisti, nonno?” mi ha domandato la mia nipotina francese Lea, alla quale la vicina di banco aveva copiato il compito in classe, e che era stata punita insieme alla ladra per presunta connivenza. “Copiamo, ma il più delle volte non lo diciamo” ho risposto. Oggi, per esempio, avevo deciso di scrivere le mie righette sulle domande che tutti fanno alle conferenze stampa a Djokovic, cioè “Pensi di vincere il Grand Slam?”, quando lo stanco occhio è stato attratto da una copia del New York Times sul quale scrive il mio amico Chris Crealy. Il titolo recava “Mauresmo blazes another trail”, e cioè “Mauresmo avvampa in nuovi sentieri”. La storia è quella della presunta prima allenatrice (coach) di sesso femminile che si sia trovata ad allenare un uomo. La donna coach si chiama Amélie Mauresmo, che qualche spettatore ricorda vincitrice due volte al Foro, e forse che due lettori ricordano oggetto del primo articolo su di lei, nel 1995 sul nostro giornale, intitolato “Profumo di Lenglen”, cioè della più grande All Times, alla quale ho dedicato tre biografie, una in francese, e una commedia. Mi trovavo infatti presente ad uno dei 60 Roland Garros che ho vissuto, giocandone solo 3, quando il programma mi attrasse verso una partita che si svolgeva tra Nathalie Baudone, ora signora Furlan, e una bambina francese. Nathalie giocava un buon tennis, da 3 turno, ma la bambina aveva vinto il primo set 6-1 e, vedendo il risultato, mi affrettai – da volonteroso cronista – temendo un infortunio. Niente infortunio. Era stata la francesina, rovescio ad una mano tipo Lenglen, che l’aveva trafitta. Ammirai dunque il miracoloso tennis di Amélie, seguito da uno sciupio regale di punti quasi vinti e, vedendolo ai bordi, ne chiesi al mio amico Patrice Dominguez, allenatore dei francesi. «Può diventare un fenomeno. Ma è un po’ strana, ha difficoltà, non le piacciono i suoi compagni. Quello che il mio povero amico, che usava battere Panatta (è appena defunto) mi confessava, sarebbe emerso allo Australian Open 2006 quando Amélie, dopo aver vinto, prese il microfono e, di fronte a un pubblico attonito, espresse una dichiarazione d’amore per la sua compagna, la proprietaria di un bar di St. Tropez, che si valse di quell’inattesa popolarità. La sincera dichiarazione causò infiniti danni ad Amélie, che fu addirittura cacciata di casa, ed ebbe ad affrontare, in seguito, un pubblico francese – diciamo – poco generoso. Ma ecco che i tempi evolvono, Amélie viene nominata capitano della squadra francese di Fed Cup che affonda l’Italia a Genova, e insieme diviene coach di Andy Murray, in sostituzione di quel noioso di Lendl. E grazie, forse, alla sostituzione di mamma Judy Murray, ecco Andy risalire dal n. 10 al 3, dopo aver vinto la finale dello Australian Open. E, ancor più insolito, eccolo (appena anche maritato) vincere due tornei, Madrid e Monaco, senza mai in precedenza aver vinto una finale sul rosso. E allora? Non può una donna allenare un uomo vittorioso? Certo che sì. E mi viene in mente, troppo tardi per un bell’articolo, che tale Wally Sandonnino, campionessa d’Italia un po’ chiacchierata, fu la prima allenatrice di Adriano Panatta. A quei tempi non si usavano ancora sostantivi quali coach e gay. Chissà se erano davvero tempi migliori. Per il tennis, dico.

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Sharapova, cinquanta sfumature di rosso (Federica Cocchi, La Gazzetta dello Sport).

A cavallo dell’onda lunga e vincente del Foro Italico, Maria Sharapova arriva a Parigi per un’impresa: mantenere il titolo del Roland Garros e portare a tre i trionfi in terra parigina dopo quelli del 2012 e dello scorso anno. L’ultima a riuscire in un’impresa di questo genere è stata Justine Henin, che però ha centrato l’obiettivo in anni consecutivi: tra il 2005 e il 2007. Sulla strada per il successo, dovesse arrivare in finale, Maria potrebbe scontrarsi con Serena Williams in una riedizione della finale 2013 nell’occasione conquistata dalla numero 1 al mondo. La numero due al mondo, che ha appena scavalcato Simona Halep proprio grazie al successo a Roma, arriva a Parigi in forma e sicura di sé. Niente a che vedere con la giovane campionessa di Wimbledon 2004 che a 17 anni riteneva impossibile sollevare il trofeo dello slam terraiolo: “Io sul rosso? Ma sembro una mucca sulla pista di pattinaggio”, scherzava Maria, che dal 2011 arriva sempre almeno in finale. “Quando ho vinto Londra ero molto molto giovane e da allora mi sento molto maturata sia come giocatrice che come persona. Non ero ancora abbastanza solida fisicamente, stavo crescendo, non ero pronta a questo tipo di superficie e riuscire in questa transizione ha stupito anche me perché sono riuscita a trasformare un punto debole in un punto di forza”. La Sharapova debutta contro l’estone Kanepi, numero 49 del mondo, e nei quarti potrebbe incrociare Carla Suarez Navarro, che Maria ha da poco battuto in finale a Roma. Nelle semifinali invece potrebbe vedersela con Simona Halep, sua avversaria lo scorso anno a Parigi. La possibile finale contro la Williams non è detto che abbia un finale già scritto. Anche se Maria è sotto 17-2 nei precedenti con l’americana, la terra potrebbe favorirla: «Di solito non mi chiedo su quale superficie io possa avere più chance. Anche il fatto che solo due giocatrici negli ultimi 20 anni abbiano difeso il titolo qui non mi spaventa: è già ottimo che sia arrivata in finale negli ultimi 3 anni”. Maria allontana dunque la pressione e, a questo proposito, prende le difese del collega campione in carica Rafa Nadal, nove volte re al Roland Garros e ora scivolato al settimo posto della classifica: “Rafa è un campione straordinario e tutti si aspettano tantissimo da lui in questa parte della stagione. E’ vero non sta andando bene come al solito, ha perso un po’ di match ma trovo che mettere tutti questi punti interrogativi sulla sua carriera sia piuttosto irrispettoso”. Tra le cinquanta sfumature di rosso della Sharapova c’è anche spazio per la vita privata. La storia col collega Dimitrov procede, e sul circuito iniziano a esserci tanti papà. Al momento però una famiglia non è nei suoi programmi: “E’ difficile fare bene in tante cose, e io voglio essere grande in una e non mediocre in dieci. Ho scelto uno sport con cui sono cresciuta e diventata grande. Sono stata molto impegnata cercando di fare il massimo. Quando ho tempo mi piace godere la mia vita ed essere felice lontano dal campo”. Maria ha i piedi per terra, quella di Parigi.

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Djokovic: “Finalmente sono pronto” (Valentina Clemente, Il Corriere dello Sport).

Probabilmente il Roland Garros aveva perso negli ultimi anni un po’ di fascino, non tanto perché il torneo fosse più scarso rispetto agli altri tre, quanto per il dominio pressoché assoluto di Rafa Nadal, quasi come se il copione fosse già scritto. Quest’anno Parigi si è svegliata con un sentimento diverso, perché la storia ha disegnato un paesaggio differente. Se il Re della terra è apparso debole anche nelle sue campagne più sicure, i contendenti allo scettro del torneo francese hanno capito che è arrivato il momento di tentare l’assalto finale, rimanendo in allerta sulle condizioni dello spagnolo. Principali candidati, con un Roger Federer che rimane in vedetta, Novak Djokovic e Andy Murray, il primo concentrato su l’unico Slam che manca al suo palmares e il secondo autore di una stagione su terra decisamente positiva, con i titoli di Monaco e Madrid (primi in carriera sul rosso). Proprio il serbo, a causa della classifica (ricordiamo che Rafa è fuori dal top 4) e del sorteggio, è quello che in qualche modo rischia di più perché semmai Nadal dovesse ritrovare forma ed energie, lo scontro tra i due avverrebbe già nei quarti di finale. “Penso che tutti erano già concentrati su questa possibilità da diverse settimane – ha dichiarato Djokovic – ma credo che sia troppo presto per pensare a questa eventualità. Sono venuto sempre al Roland Garros con una motivazione maggiore nel corso degli anni e le poche volte che sono stato vicino a vincere il titolo non ho avuto la forza di gestire al meglio la situazione”. Difficile fare previsioni, anche per uno abituato alla vittoria come l’attuale numero uno del mondo che, a Parigi, ha trovato sempre una strettoia nelle curve finali: “Nonostante le difficoltà non ho mai abbandonato l’idea di un successo qui. Mi sento un giocatore migliore rispetto a qualche anno fa, più completo sia fisicamente sia a livello di resistenza mentale. Nel 2011 le mie vittorie furono un risultato puramente sportivo, ora sento che quello che ho costruito è qualcosa di conquistato”. Anche Murray sta percorrendo in un certo senso lo stesso cammino di maturazione e se per Nole l’arrivo del figlio ha portato maggiore equilibrio, anche Andy ha sancito un’ulteriore tappa della sua vita con il recente matrimonio. I risultati si sono visti sul campo, con quella che attualmente è la migliore stagione su terra dello scozzese: “Quest’anno tutto sembra andare per il meglio e le vittorie hanno aumentato la fiducia in questo senso. Allo stato attuale delle cose Novak rimane favorito, ma non metterei fuorigioco Rafa, perché bastano un paio di partite per cambiare prospettiva”.

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