Arnaboldi, testa e maratona: “Mi sto regalando un sogno” (Martucci). Arnaboldi il maratoneta incanta Parigi (Clemente). Attento Djokovic, un altro Nadal si aggira a Parigi (Clerici). Arnaboldi e Lorenzi sorprendono, Seppi e Knapp deludono ma poco (Giua)

Rassegna stampa

Arnaboldi, testa e maratona: “Mi sto regalando un sogno” (Martucci). Arnaboldi il maratoneta incanta Parigi (Clemente). Attento Djokovic, un altro Nadal si aggira a Parigi (Clerici). Arnaboldi e Lorenzi sorprendono, Seppi e Knapp deludono ma poco (Giua)

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Arnaboldi, testa e maratona: “Mi sto regalando un sogno” (Vincenzo Martucci, Gazzetta dello Sport)

«Sono andato oltre il mio sogno più bello, io che vinco un match in cinque set al Roland Garros rimontando da due set a zero sotto». Andrea Arnaboldi da Cantù non dimenticherà più il 26 maggio di pomeriggio sul campo numero 5, quando ha vinto la prima partita nello Slam, salvando un match point al picchiatore australiano Duckworth, e poi ringraziando, con un bacio, dopo 4 ore e 10 minuti, la magica terra rossa. «Il talento ce l’ha sempre avuto, era questione di testa», proclama papà Alberto, commosso. «Pure l’anno scorso aveva superato le qualificazioni qui, ma poi aveva perso con Bolelli». Mentre coach Fabrizio Albani si inserisce nella scia di Roma dove il mancino aveva guadagnato il tabellone principale passando ancora dal torneo di selezione: «Era pronto da un po’, ora ha trovato la serenità per lottare palla su palla e anche un po’ di fortuna. Crescendo si impara, ed è importante lo staff che lo fa star bene come persona e lo fa funzionare in campo: io che sono un tecnico federale, lo psicologo dello sport Roberto Cadonati e il preparatore atletico Sabadin. I giocatori di talento, proprio per il bagaglio tecnico più ampio, magari hanno un ritardo e una maturazione più complessa. Come Andrea, Vanni e Lorenzi, che parte attaccante pure lui, anche se nel tempo si è modificato».

IL MARATONETA A Parigi, Andrea ha già giocato 13 ore e 13 minuti, fra le tre partite di qualificazione e quella del tabellone principale, con la punta di 4 ore e 30′ del secondo match vinto per 27-25 (record del torneo di selezione). «Davvero sono diventato un hashtag, Je suis Arnaboldi? Bello. Marathon man? Ci sta». La partita? «All’inizio non avevo tanta intensità e l’ho pagata. Sono stato bravo a restar lì, anche se l’australiano non sbagliava. La svolta è stato il match point salvato sul 6-4 7-6 4-5 3040, ho vinto quel lungo scambio con un dritto a sventaglio sulla riga e ho cambiato atteggiamento, sono stato più aggressivo alla risposta, lasciando di più i colpi». L’italiano che esplode a 27 anni, sbandierando anche il servizio-volée e, da numero 187 del mondo, vede avvicinarsi i top 100, è orgoglioso del salto di qualità: «Non smetti mai di conoscerti dentro, e dentro c’è tanto. Io l’ho cercata a lungo, ma l’ho trovato, non sapevo quanto avevo, ma ora lo so. E voglio raggiungere l’obiettivo». Con la fiducia a mille: «Battere Cilic, perché no? La mia varietà di gioco dà fastidio».

ERRORI Karin Knapp sbaglia avversaria: costretta alla maratona dalla numero 5 del mondo, Caroline Wozniacki — appena tre games giocati dopo mezz’ora — smarrisce lucidità per il suo gioco di rischi, e crolla, sepolta da 50 errori. «Dovevo rischiare di più nel servizio-risposta». Andreas Seppi sbaglia torneo: meglio curarsi per bene l’anca e rientrare direttamente sull’erba, invece perde 7-5 il primo set con Isner e si ria male. Paolo Lorenzi sbaglia incrocio. Si fa riprendere da 6-4 6-4 3-1 dal talento mancino Gilles Muller e, perso il tie-break, gli si incrociano gli occhi dalla tensione, come gli adduttori già provati dal trionfale Challenger di Eskisehir in Turchia. Poi rimonta da 5-3 sotto al quarto, salva due set point, rimette la contesa sulla lotta da fondo, va avanti lui, 5-3, al tie-break, ma perde anche quello. E alle 21.15 deve fermarsi, per oscurità.

LEONESSA Ma la Leonessa no, Francesca Schiavone, regina al Roland Garros 2010 e finalista 2011, non sbaglia. Non qui: «E’ un posto speciale, c’è energia, devo accoglierla e farla fluire, se riesco a mettere in campo il mio gioco, l’avversaria fa molta fatica. E’ il mio campo, mi piace (…)

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Attento Djokovic, un altro Nadal si aggira a Parigi (Gianni Clerici, La Repubblica)

Questa professione, che svolgo con vivo insuccesso da quando firmai la prima volta sulla Gazzetta dello Sport, 65 anni addietro, non finisce di stupirmi. Andava oggi in campo, sul Centrale intitolato al mio povero amico Philippe Chatrier, Rafa Nadal. Per chi fosse molto distratto, ma molto, ricordo che—unico non solo tra i vivi — Rafa ha vinto qualcosa come nove volte su queste spiagge, grazie alle sue molte qualità, tra le qua-ricorderei: 1 ) il mancinismo; 2 ) la regolarità aggressiva; 3 ) la personalità vincente; 4 ) il tatticismo dello zio Toni, suo consulente; 5 ) la pazienza e l’astuzia tipiche di un pescatore. Poiché ho avuto la ventura di assistere recentemente a Roma alla partita perduta da Nadal contro Stan Wawrinka, peraltro turbato dai pettegolezzi informatici relativi al suo divorzio, sono andato bordocampo, e non ho creduto ai miei occhi per dieci minuti. Contro un bel ragazzo francese, Quentin Halys, recente quartodifinalista a Nizza, Rafa non faceva fare mezzo punto al poverino per cinque games, dopo i quali decidevo di andarmene, per un caffè Lavazza gentilmente offerto ai gentili spettatori. Il Rafa di Roma, e di un mio pronostico negativo dell’altro giorno, pareva cambiato. Sembrava uno strettissimo parente del Rafa decaduto, infortunato, riaggiustato. Non era soltanto il completino celeste, di un celeste degno di un neonato, a farmelo apparire diversamente felice. Pareva un gemello, anche se i gemelli, nel tennis, dai Pampulov bulgari ai Bryan americani, si distinguono tra il mancino e il destro. Non voglio giungere ad affermare che Nadal abbia cambiato mano, e cioè la destra, intatta quanto il vestitino azzurro. Ma il povero Quentin avrebbe affermato che, se non proprio a causa di un incubo, gli era parso di soffrire contro un invisibile muro.

Vivamente colpito da quanto avevo visto, mi sarei allora spinto alla conferenza stampa di Nadal, per ascoltare alcune fondamentali domande di presunti colleghi: 1) Quando il tempo è nuvoloso, simili condizioni possono influire sul tuo gioco? 2) Considerando che quest’anno sei andato su e giù, affronterai il torneo con una mentalità diversa? 3 ) C’è una possibilità di miglioramento nel tuo gioco per la seconda settimana? Privo com’era di armi da fuoco, il pazientissimo Rafa ha risposto: 1) Non ho capito bene la domanda; 2 ) Sono qui per giocare meglio che posso, e non pensare al passato, se non per trarne insegnamenti; 3 ) Senza alcun dubbio cercherò di migliorare il mio tennis. Riferisco simili straordinarie domande perché il lettore comprenda in che ambiente sopravvivano sia Nadal che il vecchio Scriba. Per ritornare al tennis giocato, mi par giusto informare della entusiasmante (ma sì) vittoria di un qualificato quale Andrea Arnaboldi, da Cantù. Si dà il caso che a Como, mia città natale, avessi un anno aperto una scuola gratuita dalla quale uscirono, tra gli altri, i fratelli Piatti, Carolina, n. 10 in Italia, e Riccardo, il coach. Il preparatore atletico di tale insolita avventura si chiamava Antonio Moretti, e un giorno mi condusse a vedere un bambino chiamato Arnaboldi, predicendogli un ottimo futuro (…)

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Arnaboldi il maratoneta incanta Parigi (Valentina Clemente, Corriere dello Sport)

Il cielo sembrava fare i capricci e la terra rossa non voler regalare soddisfazione al battaglione azzurro impegnato nella terza giornata del Roland Garros: l’uscita prematura di Karin Knapp sembrava infatti non esser la sola a dover declinare in negativo il frangente e la smorfia di dolore di Andreas Seppi, vinto forse più dal problema all’anca che da John Isner (7-5 6-2 6-3), aveva aggiunto un’ulteriore delusione, anche perché gli schermi davano segnali che avrebbero potuto tradursi in una Caporetto. Invece il primo raggio di sole è giunto grazie a Francesca Schiavone che, dopo un avvio in salita, si è imposta contro la cinese Qiang Wang (3-6 6-3 6-4) ed ha ritrovato il sorriso. «Il vero rischio è stato quello di regalarle la partita, sbagliando punti e tattica, ma poi l’esperienza ha fatto la differenza e sono riuscita a riprendere in mano l’incontro. Io adoro giocare qui, c’è sempre quella magia, ma il problema è riuscire a tirare fuori le sensazioni buone, quelle che ti permettono di approfittare del tennis e che ti danno piacere, quelle che senza «L’ho vinta perchê d ho sempre creduto. Voglio entrare tra Fimi 100 del mone» dubbio ti portano alla vittoria». Al secondo turno la Schiavone avrà di fronte un’avversaria storica, ostica, ma con cui condivide il senso per il bel gioco e con cui ha scritto una pagina di tennis in quel di Melbourne nel 2011 con una maratona lunga 4 ore e 44 minuti: «Sono stanca solo a pensarci», sorride Francesca parlando di Svetlana Kuznetsova. «Lei viene da un momento positivo e spero di fare del mio meglio per fare dei passi in avanti rispetto ad oggi. Mi piace guardarla giocare, lei improvvisa molto, soprattutto sul dritto. Vorrei avere qualche chilo in più di muscoli per risponderle meglio, ma alla fine devo accontentarmi di quello che ho perché non ci riesco (ride)».

MARATHON MAN. la vera impresa è stata pero ancora una volta firmata da Andrea Ama-boldi, autore di una partita in crescendo contro l’australiano Duckworth: una maratona (4 ore e 10) che ha confermato le sue doti e ne ha fatte emergere altre nascoste, come in una costruzione di un sogno a colori vividi. «L’ho vinta perché ho sempre creduto di poterlo fare, La Schiavone soffre ma batte la cinese Qin Mans Adesso l’attende la Kuznetsova anche nei momenti difficili, certo quel match point contro è stato una sorta di sveglia dell’ultimo minuto: è stato uno scambio lungo, combattuto. Io spingevo, ma avevo l’impressione di non riuscire a sfondare la sua resistenza, finché non ho chiuso con quel dritto sventagliato che mi ha cambiato il match». Se al Roland Garros Andrea ha già scritto la storia nelle qualificazioni, con il record storico conquistato contro il francese Pierre-Hugues Herber (in campo 4 ore e 40 minuti: 6-4, 3-6, 27-25), il successo su Duckworth gli ha dato un’altra ventata di notorietà e la vittoria ha avuto larga risonanza sia tra i media stranieri, che l’hanno ribattezzato ‘The Marathon Man’, sia tra i fan che su Twitter hanno lanciato l’hashtag ‘JeSuisAmaboldi’.

«Da quel momento – ha proseguito il tennista canturino – ho cambiato il mio atteggiamento: sono stato meno remissivo, ho risposto meglio lasciando andare i colpi e l’ho portata a casa La cosa positiva è stata che, anche nei momenti più tesi, non ho mai abbandonato la partita e questo mi ha sorpreso». Una carriera fatta di tappe, di aspettative, ma che negli ultimi due anni ha intrapreso un cammino diverso e con un obiettivo che punta più in alto: «Non si smette mai di conoscersi, ma bisogna andare a fondo per tirare fuori certe cose, di cui noi non siamo magari neanche coscienti. Non sapevo d’avere dentro così tanto, ma queste partite mi hanno fatto tare un grande passo in avanti. Da quando lavoro con il mio nuovo team ci siamo fissati degli obiettivi ben chiari, ovvero entrare tra i primi cento al mondo, e credo che questo mi stia aiutando tanto (…)

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Arnaboldi e Lorenzi sorprendono, Seppi e Knapp deludono ma poco (Claudio Giua, repubblica.it)

Partiamo dalla fine, cioè dai numeri della delegazione italiana a Parigi. Domenica due passaggi al secondo turno su due giocatori in campo (100% di successi), tre su cinque (60%) ieri, due su quattro (50%) oggi. Domani potrebbe arrivare anche il successo di Paolo Lorenzi, il cui incontro è stato sospeso per oscurità. In ogni caso, per il tennis italiano il bilancio del primo turno Roland Garros 2015 è positivo grazie soprattutto a chi t’aspetti meno: perché è un regalo trovare lassù, tra i 64 che contano, Andrea Arnaboldi e Francesca Schiavone.

Arnaboldi, classe 1987, mancino, numero 188 al mondo, s’è guadagnato la scorsa settimana una sempiterna citazione nel Guinness dei primati per aver disputato nelle qualificazioni parigine il match al meglio dei tre set più lungo e con il numero maggiore di game della storia: 4 ore e 30 minuti per battere per 6-4 3-6 27-25 (fate i conti: 71 game) il francese Pierre-Hugues Herbert, peraltro già sfortunato finalista di doppio con Nicolas Mahut a Melbourne 2015 contro Fognini-Bolelli. Un evento, il record, che forse ha fatto scattare qualcosa nella testa del ragazzo di Cantù.

Vidi giocare per la prima volta Andrea nel 2005 a Firenze nel torneo internazionale di Pasqua, che si prese a mani basse. M’impressionò per la sicurezza in campo, certo più di Sara Errani che quell’anno perse le finali di singolare e di doppio, in coppia con Karin Knapp. Poi il mancino lombardo s’era sperduto nella foschia degli over Top 200 e non era più riemerso, nonostante un pluriennale coaching a Valencia. Tanti Futures, sette minitrofei nelle patrie d’origine e d’adozione, ma solo un affaccio lo scorso anno in serie A, al primo turno del Roland Garros con sconfitta per mano amica (Bolelli in tre set). Quest’anno, invece, qualificazioni centrate agli Internazionali (poi fuori subito contro Goffin) e a Parigi, con annesso Guinness.

Opposto oggi all’australiano James Duckworth, 23 anni, ATP 83, Arnaboldi mette in evidenza le sue qualità – il servizio efficace, i drop-shot, le frequenti variazioni di ritmo, la predisposizione al gioco d’attacco – che il coach, adesso italianissimo, Federico Albano ha valorizzato. Non solo: Andrea si scopre doti da fondista, lui che non ha praticamente esperienza sui cinque set. Duckworth sta portando avanti la migliore stagione in carriera. Ha un servizio molto redditizio ed enfatizza la naturale propensione al serve-and-volley. Certo ha più dimestichezza di Andrea con i grandi tornei. Nei momenti decisivi dei primi due set (4-6 6-7 a suo favore), l’australiano sbaglia meno. Sembra delinearsi una sconfitta di misura per Andrea, e andrebbe bene anche così: se a questo livello il valore è nel fare esperienza, sarebbe un altro passo avanti di una carriera che sta decollando. Ma Il ragazzo sa che l’occasione è forse irripetibile: continua a macinare il proprio gioco mai noioso e piega le certezze di Duckworth. È una progressione che scalda i cuori: 7-6 7-6 6-0. Per Arnaboldi potrebbe cominciare oggi la vita da professionista che conta.

Un po’ come accadde a Paolo Lorenzi, 34 anni il prossimo dicembre, approdato agli Slam che ne aveva quasi 30. Il senese mi sembra sempre il ragazzino con la qualità, per me essenziale, di tifare Fiorentina. Corre e si sbatte, ma resta lucido e attento anche dopo tre ore e mezza di confronto serrato con il lussemburghese Gilles Muller, 55 ATP, che negli Slam ha sempre ottenuto ottimi piazzamenti. È così – sbattendosi tanto – che il senese arriva oggi per due volte a un niente dal guadagnarsi il terzo accesso in carriera al secondo turno di uno Slam. Il match è equilibratissimo e solo nei tie break del terzo e quarto set Paolo è costretto a soccombere. Poi fa buio. Si riprende domani partendo da un parziale di 6-4 6-4 7-6 7-6.

Francesca Schiavone, che su questi campi è stata la migliore di tutte cinque anni fa, paga di tasca propria il biglietto per continuare il suo percorso nello Slam sulla terra rossa disputando uno dei suoi tipici match, dove nulla è facile e scontato. La sua avversaria Qiang Wang, 23 anni, ormai presenza stabile nella parte bassa delle Top 100, due anni fa tutti stupì con il suo successo su Caroline Wozniacki (tenetelo a mente per dopo) al primo turno dei Malaysian Open. Dando credito all’ottimo curriculum nei tornei ITF asiatici, la cinese inizialmente ingabbia la milanese giocando di precisione, poi deve lasciare sempre più spazio alle palle aggressive di Francesca. Che chiude sul 3-6 6-3 6-4.

Le due sconfitte che fanno male sono quelle di Karin Knapp e Andreas Seppi, due azzurri scesi dalle vallate dove si parla tedesco e che rappresentano un’Italia che mi piace di più, poche parole e fatti concreti. Stamattina ho pensato per un po’ che la sudtirolese potesse davvero mettere in difficoltà Caroline Wozniacki, ex numero 1 al mondo e quarta testa di serie. Con me l’hanno pensato i molti italiani che hanno seguito sul campo Suzanne Lenglen i primi tre interminabili game, mezz’ora di pallate e preziosismi a confermare che la ragazza di Brunico, formata a Caldaro e raffinata ad Anzio, a quasi 28 anni ha deciso di entrare tra le prime venti al mondo. Per trenta esaltanti minuti è stato un piacere vedere giocare Karin, che accelera di diritto e rovescio, usa con sapienza lo sventaglio a uscire e la mezza schiacciata lungolinea, spiazza spesso l’avversaria prendendola in contropiede, usa deliziosamente il drop-shot quando serve. La danese fatica a raccapezzarsi, si limita a contenere ma poi trova ritmo e sicurezza e lascia le briciole (6-3 6-0) all’italiana reduce dalla vittoria nel torneo di Norimberga che l’ha issata sul gradino numero 42 della classifica WTA, appena sette posizioni sotto il suo best ranking, 35 nel 2008.

Tutto quello che Karin Knapp ha se l’è meritato. Ha talmente sofferto e lottato – il cuore che ogni tanto se ne va per conto suo, gli interventi chirurgici, il ginocchio che non regge, il tormentato rientro tra le migliori partendo da quota 700 WTA – d’avere parecchi interessi da riscuotere. La stagione è ancora lunga e i fratelli Piccari sono lì ad aiutarla a realizzare il suo progetto.

Andreas Seppi, assente agli Internazionali BNL d’Italia per l’infortunio all’anca suìtto a Monte Carlo, ha fatto più di quanto fosse legittimo chiederglieli nel match con il B52 del tennis, l’americano John Isner, attualmente 16 del ranking ATP. Sul campo 2 sold out, il numero 2 d’Italia ha tenuto fino al 5 pari nel primo set, s’è appena difeso nel secondo e ha lasciato che la partita scivolasse via nel terzo (5-7 3-6 3-6). Ha tempo e voglia di rimettersi in sesto per Wimbledon, che a lui s’addice particolarmente.

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