Ancora in tre set, Serena Williams a venti Slam

Roland Garros

Ancora in tre set, Serena Williams a venti Slam

Serena Williams ha vinto il ventesimo Slam, a meno due da Steffi Graf. Lucie Safarova ha perso ma ha smentito chi pensava non avrebbe retto la tensione della finale

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Una finale dai due volti: fredda e razionale la prima parte, da analizzare attraverso i numeri e le statistiche. Calda e passionale la seconda, da valutare attraverso i sentimenti e le emozioni.

Per certi aspetti mi ha ricordato la finale degli US Open 2013, in cui Azarenka era riuscita a risalire lo svantaggio accumulato nel secondo set, vincendo il tiebrak e allungando il match al terzo (7-5, 6-7, 6-1).
Quando è in campo, Serena è sempre favorita; ma a volte la partita prende pieghe sorprendenti. In questi casi occorre che Serena cali (i doppi falli con cui ha regalato il primo break); ma occorre anche che l’avversaria sappia approfittarne alzando il proprio livello per cogliere l’opportunità. E Safarova è stata straordinaria nel game del 5-6, quando ha risposto alla grande (quasi al di là delle sue normali possibilità) e sfoderato un paio di vincenti memorabili.
E così una partita che sembrava avviata a concludersi in due semplici set è diventata più coinvolgente e incerta.

Come stava di salute Serena? Quanto ha influito la sua malattia? A giudicare dallo scatto prodigioso che ha compiuto nel secondo set per rimandare un drop-shot che pareva imprendibile, direi che stava discretamente bene.

Nella prima parte di match a mio avviso la differenza l’aveva fatta la migliore combinazione servizio/risposta di Serena. Il gioco era caratterizzato da scambi brevi (l’unico un po’ lungo si era fermato a 12 colpi); e quando il punto si conclude molto rapidamente Serena è praticamente imbattibile.
In questa fase si poteva forse accusare Lucie di essere stata monocorde nella scelta della direzione del servizio: aveva quasi rinunciato al classico slice ad uscire dei mancini, privilegiando spesso (troppo spesso, secondo me) le battute sul dritto di Serena, che però molto rapidamente ha intuito la scelta tattica; e così anticipava la direzione riuscendo a colpire da ferma, con repliche incontenibili.
Safarova, d’altra parte, non riusciva a rispondere altrettanto bene, e questo era testimoniato dallo zero nella casella delle palle break a disposizione.
Uno squilibrio tipico non solo della partita, ma di tutta le stagione WTA 2015: la tabella dimostra infatti che entrambe sono ai vertici delle classifiche per quanto riguarda il servizio, ma Safarova non è tra le prime in risposta:

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Quando a due game dalla vittoria Serena si è incartata (e forse ha pagato il “braccino” da ventesimo Slam) regalando il primo break a Lucie, la partita ha vissuto una mezz’ora con le psicologie rovesciate: Safarova in fiducia e Serena in difficoltà.
Lucie per alcuni game ha mostrato il meglio del suo repertorio, e gli scambi sempre più frequentemente hanno assunto tempi di gioco più consoni al suo tennis: era lei che dava l’impronta al match, grazie ad un dritto efficacissimo (sia da sinistra che anomalo da destra) e a un rovescio solido e sicuro anche nei cambi di gioco lungolinea. Scambi geometricamente molto vari, ma sempre condotti con palle profondissime, che obbligavano Serena sulla difensiva o a prendere grandi rischi per cercare di girare l’inerzia del gioco.

Un break ceduto con un doppio fallo aveva spezzato il momento positivo di Serena nel secondo set. E un break ceduto con un doppio fallo ha spezzato anche quello di Lucie, sul 2-0 del set decisivo: lì è girata definitivamente la partita, con i sei game consecutivi che hanno chiuso il match.

Ormai chi aveva seguito Serena nei turni precedenti di questo Roland Garros (5 partite vinte in tre set, un record) aveva imparato a conoscere gli alti e bassi della numero uno del mondo, che attraversa fasi teatralmente negative, salvo poi riuscire sempre a venirne a capo nei momenti decisivi. E anche in finale è stato così.

A questo punto della stagione Serena è a metà strada dalla conquista del Grande Slam, e se fosse una corsa ciclistica si potrebbe dire che ha scollinato: la terra battuta è la superficie su cui ha vinto meno (questo è “solo” il terzo Slam parigino), e con l’erba in arrivo e gli US Open in chiusura comincia a pedalare in discesa.

Se poi consideriamo che questo è il terzo Major consecutivo che vince (ai due del 2015 va aggiunto l’ultimo del 2014), oggi si trova a tre quarti del “Serena Slam”, vale a dire dall’essere la campionessa in carica di tutti e quattro i titoli maggiori. Un traguardo non nuovo per lei, già raggiunto a cavallo tra il 2002 e il 2003, cioè oltre dieci anni fa.
Da allora ha attraversato momenti di dominio alternati a periodi di difficoltà, soprattutto per problemi fisici, che l’hanno costretta a lunghe pause; pause che, considerate con il senno di poi, potrebbero anche aver contribuito ad allungarle la carriera.

Con questo Roland Garros Serena è a 20 Slam: un dato che testimonia quanto possa essere dominante come giocatrice. A 34 anni si avvia a battere tutti i record di longevità, e in questi casi è inevitabile interrogarsi sulla situazione generale del tennis femminile: è più merito suo o è la concorrenza a non essere eccelsa? Forse entrambe le cose: Serena è fortissima, ma allo stato attuale manca una giocatrice che unisca una grande forza temperamentale con le caratteristiche di gioco che occorrono per contrastarla.
E così direi che oggi Serena si trova più a combattere contro se stessa o contro la storia (le grandi giocatrici del passato) che contro le avversarie che il tabellone le propone giorno per giorno. A me pare difficile che qualcuna delle attuali top ten possa progredire al punto tale da diventare una concorrente stabilmente pericolosa; l’unica che ci stava provando (Azarenka) si è infortunata e ha perso di competitività.
Per questo forse c’è da sperare che tra le giovani leve qualcuna sappia maturare rapidamente compiendo un autentico salto di qualità. Ma questo è un altro discorso, che ci porterebbe lontano.

Prima di chiudere vorrei tornare su Lucie Safarova.
Innanzitutto segnalo che a Parigi ha ancora da affrontare un match: la finale di doppio, (insieme a Bethanie Mattek-Sands), e potrebbe anche lei prolungare il sogno del Grande Slam, visto che la coppia ha vinto gli Australian Open.

Poi ricordo che da lunedì entrerà per la prima volta in top ten, direttamente al numero sette. A 28 anni raggiunge una posizione di prestigio, frutto del talento ma anche del lavoro su se stessa: è migliorata atleticamente, e sta provando a superare le debolezze caratteriali che troppe volte in passato le avevano fatto perdere partite ad un passo dal traguardo.
In questo Roland Garros la “fragile” Lucie ha vinto sei tiebreak su sei; ed è riuscita a farlo senza perdere i tratti tipici del suo carattere: combattivo ma gentile. Un carattere che l’ha resa molto amata dalle colleghe, che si fidano di lei (da diversi anni la eleggono nel Player Council della WTA) e che al termine della stagione scorsa l’hanno votata come la tennista che più aiuta le altre giocatrici (il Peachy Kellmeyer Player Service Award).

Per quanto mi riguarda, da spettatore, ho sempre confessato di avere un debole per i perdenti, e quindi Safarova non può non piacermi. Oggi è stata sconfitta da una giocatrice più forte, però lo ha fatto smentendo chi l’aveva presentata come una vittima sacrificale, incapace di giocare al meglio a causa della tensione.
Ormai sta per cominciare la stagione sull’erba: Wimbledon si avvicina, e l’anno scorso Safarova era stata semifinalista. Se non ha consumato troppe energie nervose potremmo ritrovarla di nuovo tra le protagoniste.

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