Kyrgios e Raonic, due picchiatori sull’erba bollente (Crivelli). Kyrgios, bad boy in missione per salvare il tennis (Semeraro). L’arte di Cilic: come si vince senza essere geni (Clerici). La giornata di Tommy Haas e Valentina finisce con una standing ovation (Giua)

Rassegna stampa

Kyrgios e Raonic, due picchiatori sull’erba bollente (Crivelli). Kyrgios, bad boy in missione per salvare il tennis (Semeraro). L’arte di Cilic: come si vince senza essere geni (Clerici). La giornata di Tommy Haas e Valentina finisce con una standing ovation (Giua)

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Kyrgios e Raonic, due picchiatori sull’erba bollente (Riccardo Crivelli, Gazzetta dello Sport)

Il tennis è pugilato. Quando Andre Agassi azzardò questo paragone, pensava alle sfide uomo contro uomo, dove ci sono sempre un vincitore e un vinto. Eppure, esiste qualcosa di più vicino al colpo risolutore, da k.o., improvviso e inarrestabile, del servizio di Raonic? E non è forse Kyrgios un emulo dei grandi fighter con i guantoni quando trasforma il campo da tennis in un ring, infiammando la platea e provando a impossessarsi della partita con la sua prorompente fisicità? L’anno scorso, il canadese gentile e il monellaccio australiano si incontrarono nei quarti, e in fondo rappresentavano due sorprese a quei livelli, in particolare Nick che da 114 giocatore al mondo si era preso lo scalpo di Nadal. Domani replicano, e questa volta sarà davvero un match a chi picchia più forte, a chi per primo riuscirà a entrare nella testa dell’altro.

SALUTE Uno vincerà, l’altro perderà. Come nella boxe. E chi dei due approderà alla seconda settimana, possiederà sicuramente la forza e la convinzione di poter arrivare fino in fondo, anche di domare il torneo, perché no, prendendo a pugni la tradizione e la storia, in un luogo che ne è così rispettoso da chiudere per metà il tetto del Centrale così da lasciare all’ombra il Royal Box nella giornata più calda di sempre su questi prati con la temperatura record di 35.7 gradi. Raonic e Kyrgios, così diversi nei modi ma sicuramente fin qui i migliori prodotti degli anni 90, hanno raggiunto l’erba di Church Road dopo aver maneggiato e risolto problemi di salute. Intervento al piede sinistro per l’orgoglio del Canada nato in Montenegro («Ogni tanto fa male quando corro, ma è tutto normale dopo un’operazione»), mal di schiena per il Selvaggio di Canberra con papà greco e madre malese, cui da due settimane «si è aggiunta un’infiammazione alle vie respiratorie che per fortuna si sta risolvendo».

NEW GENERATION Sotto una cappa d’afa che fa collassare un povero raccattapalle sul campo 17, entrambi affettano due ex top ten, anche se Raonic deve prolungare al quarto set le fatiche quotidiane per piegare l’eroico Haas, 37 anni e rotti, poi ridotto alla ragione con 29 ace: «Lo ammetto – sorriderà Milos – avere un servizio come il mio aiuta e spesso ti rende più facile la vita». Kyrgios, invece, non concede neppure una palla break all’argentino Monaco e sul 3-1 del terzo set, in risposta, tira un dritto così violento che l’altro manco si muove: mezz’ora dopo il video del colpo (che ha chiamato rocket, ovviamente) è già virale sul profilo Facebook dell’australiano. E’ la generazione 2.0, quella dei social network e dell’esuberanza giovanile. Riccardo Piatti, che insieme a Ljubicic allena Raonic e lo ha portato stabilmente nella top ten, spiegava una volta che è stato più difficile cambiargli la dieta che insegnargli nuovi movimenti: «Dopo le partite, immancabilmente mangiava hamburger o bistecca. Ora segue un regime senza glutine, perché i chili in più sono il suo avversario più difficile».

GRANDE MATCH Nick, invece, è nato atleta e fino a 14 anni era una promessa del basket, tanto che ha chiesto agli amati Boston Celtics se un giorno lo faranno allenare con loro e qui ha finito per litigare con un giornalista che gli faceva troppe domande sui Warriors campioni Nba, che lui non sopporta. Non ha ancora vent’anni, eppure metà dei rivali sul circuito già gli vorrebbe mettere le mani addosso per quell’atteggiamento sfacciato e irritante che tiene in campo: «Mi dispiace, ma io esprimo quello che ho dentro e non prendo esempio da nessuno (…)

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Kyrgios, bad boy in missione per salvare il tennis (Stefano Semeraro, La Stampa)

Entra in campo caracollando, con un asciugamano sulla spalla, le cuffiette viola ficcate negli orecchi e lo sguardo torvo che scannerizza le tribune. Quando piazza un servizio ai 210 all’ora, o uno schiaffone supersonico di diritto – Juan Monaco ieri si è visto passare un missile di risposta a mezzo metro, e neanche si è mosso – allarga le braccia e recita da Messia di se stesso. Poi ride, borbotta maledizioni, scherza con i «Fanatics» (i tifosi australiani in maglietta gialla che lo seguono come una tribù fedele), litiga con il giudice di sedia minacciando di lasciare il campo. Alla fine vince. E il mondo del tennis, compreso l’educatissimo microcosmo di Wimbledon, applaude e sospira di sollievo. Perché se c’è qualcuno capace di salvare il tennis dalla noia, in un futuro desolatamente privo di Federer e Nadal, be’, vi piaccia o no, quello è Nick Kyrgios.

Mandò ko Nadal Un tipo capace di qualsiasi cosa. Di battere su questi prati Nadal giusto un anno fa, da n.114 del mondo, come di infortunarsi nel sonno: è capitato quest’anno («mi sono addormentato sul braccio, al risveglio mi faceva malissimo»), e ha dovuto ritirarsi dal torneo di Eastbourne. Nick il selvaggio, australiano mezzo malese (da parte di mamma) e mezzo greco è un frullatino di contraddizioni, un ossimoro con racchetta da tennis. Vuole diventare numero 1 del mondo ma del tennis, assicura, non gli importa niente: «I miei genitori mi hanno spinto a scegliere questo sport, ma io preferisco il basket: se in tv su un canale c’è la Nba e sull’altro il tennis, scelgo il basket tutta la vita».

Dopo il match vinto con Schwarzmann, al primo turno, ha rischiato un multone per «udibili oscenità» (dirty scum, intraducibile ma terribile). «Insultavo me stesso. Posso farlo, no? Con l’arbitro ho discusso un po’, perché voleva farmi intendere che comanda lui da lassù, o robe del genere, non capisco perché vi interessi tanto». Futuro da superstar E un giovane Holden versione aussie (20 anni), a cui tutti hanno prenotato un futuro da superstar, o se volete un incrocio fra Goran Ivanisevic e Dennis Rodman. «Ma io voglio essere solo me stesso, non cerco di imitare nessuno». In un anno vissuto incostantemente, fra nostalgie di casa e rotture con i suoi due coach storici è salito al numero 29 del mondo, al prossimo turno gli ricapita Milos Raonic, il bombardiere canadese che l’anno scorso a Wimbledon lo stoppò nei quarti (…)

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L’arte di Cilic: come si vince senza essere geni (Gianni Clerici, La Repubblica)

Sapendo che mi sono alfine arreso all’umano impegno di scrivere un’autobiografia, che preferirei chiamare eterografia, il giovane collega di un blog mi chiede delucidazioni. Come mi comporto, per la mia colonnina? Per prima cosa, rispondo, chiedo consiglio alla redazione, nel caso abbiano un’idea più brillante delle mie, spesso confuse o inesistenti. Se capita, però, una grande sorpresa, non evito per solito di darne notizia, e cerco addirittura di capire il perché. Qualche volta, occhieggio anche i compiti dei miei compagni più bravi, magari Chris Cleary, del New York Times, che ieri ha avuto un’idea che mi sarebbe piaciuta, quella della crescente influenza delle Agenzie che rappresentano economicamente i tennisti, per nostra fortuna nei limiti di una tradizionale moralità. Infine, quando non accade niente lo dico, come ho fatto ieri, pensando di raccontare qualcosa accaduto martedì, ed evitato per il patriottismo che mi ha spinto a scrivere del povero Bolelli, il cui avversario, Nishikori, è finito all’infermeria soltanto dopo aver vinto. La vicenda sulla quale mi ero inoltrato ieri, era stata quella della giovane e bella Eugenie Bouchard, la canadese capace di raggiungere sorprendentemente la forale dello scorso anno, ma altresì incredibilmente battuta 12 volte nelle ultime 14 partite di questo 2015.

Avevo tentato, ma mi ero reso conto che, privo dell’aiuto di un Fulvio Scaparro, analista non meno che recente autore de “L’Antispocchia”, non avrei fatto molta strada. E allora? Guardo raramente il computer, che ha sostituito, per la maggior parte dei presenti in sala stampa, gli occhiali o addirittura gli occhi. E tuttavia, all’apparire del viso di Nole Djokovic, seduto fianco al solito guardiano di Wimbledon, che dovrebbe evitare domande inadatte, ho raggiunto la sala delle conferenze. Non certo attratto dai gossip di giornali spazzatura indigeni, che hanno a lungo parlato di segnalazioni che Becker farebbe al suo datore di lavoro dalla tribuna, quasi si potesse giocare un tennis sotto dettatura. Volevo chiedere, ovviamente in modo diplomatico, se Nole si sentisse nella condizione che mi aveva fatto pensare alla possibilità di un nuovo Grand Slam, prima della finale di Parigi. Finale perduta soltanto perché Wawrinka, un paio di volte l’anno, è più imbattibile del Federar giovane.

Ottenuta una risposta diplomaticamente affermativa, mi stavo affrettando verso un amico che gestisce le scommesse, proibite ai giornalisti, quando Peter, un collega austriaco, mi ha autorevolmente afferrato una mano, per intimarmi: «Vieni a vedere l’eliminazione di Cilic». «Cilic? Ma contro chi gioca?». Contro Ricardas Berankis». Una ragazza? Non è possibile, va bene il matrimonio unisex, ma il singolare misto non é ancora lecito». L’amico mi avrebbe perd spiegato che Ricardas, in Lituania, è un nome maschile, e l’avrei quindi seguito sul Centre Court, per ammirare un tipetto a me sconosciuto, peraltro allievo di Rainer Schuettler, uno del poker dei grandi allenatori ATP, del quale fa parte anche l’italiano in esilio Castellani. Questo Berankis avrebbe, una volta di più dimostrato che si può vincere uno Slam senza essere un vero genio, com’è accaduto a Cilic. Infatti, dopo tre ore e mezza di partita, quel tipo piccolino e biondino, addirittura numero 90, ha avuto sulla racchetta due palle-break probabilmente decisive (…)

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La giornata di Tommy e Valentina finisce con una standing ovation (Claudio Giua, repubblica.it)

Il capitolo, di certo non finale, della storia che vi racconto oggi ha come palcoscenico il Campo numero 1 dell’All England Lawn Tennis and Croquet Club. Come titolo propongo “Una figlia per non fermarsi”, anche perché calza a pennello le vite di chissà quanti padri e madri che pure non sono campioni né protagonisti del jet set. La figlia in questione si chiama Valentina, è nata il 15 novembre 2010 ed è lei la ragione per la quale Tommy Haas è qui a giocare sotto il sole delle tre contro il numero 8 al mondo Milos Raonic. Quando la bambina aveva solo pochi giorni, Tommy dichiarò solennemente: “Voglio che si ricordi di come so giocare e lottare”. Promessa mantenuta. Adesso raddoppia: “Valentina comincia a rendersi conto di cosa fa il suo papà, e questo è un ottimo motivo per andare avanti” nonostante i 37 anni compiuti il 3 aprile. La mamma, l’attrice Susan Foster, sottoscrive.

Haas è un tipo tosto, con una propensione al gioco variato, mai noioso. È avversario ostico per chiunque grazie all’eccellente servizio, al rovescio slice a una mano difficile da controllare e che precede spesso un vincente, all’uso meditato del gioco a rete. Il talento l’ha portato, giovanissimo, sul secondo gradino del ranking ATP nel maggio 2002, dopo la finale agli Internazionali d’Italia persa malamente contro André Agassi. La fragilità fisica gli ha negli anni successivi impedito di giocare costantemente ai massimi livelli e l’ha costretto a fare l’ascensore tra i top e le retrovie dimenticate da tutti.

Nelle sue stagioni migliori, Tommy s’è però tolto grandi soddisfazioni: tre semifinali a Melbourne e una a Wimbledon (2009), un quarto di finale al Roland Garros e tre a Flushing Meadows. Più una medaglia d’argento alle Olimpiadi del 2000 a Sydney e quindici successi negli ATP Masters.

Troppi però gli incidenti che gli hanno periodicamente spezzato il ritmo agonistico: l’ultimo un anno fa, con conseguente intervento chirurgico alla spalla destra. Ma Tommy s’è regolarmente rimesso in marcia come se nulla fosse. Di recente sono girati in rete i video della sua preparazione atletica in vista del rientro in qualche grande torneo, su invito. Impressionanti. Prove di agilità e reattività, sedute di potenziamento muscolare, esercizi per l’accelerazione, roba che i ventenni spesso si rifiutano di fare mentre lui – che la scorsa settimana era 861 al mondo – ripete con diligenza da mesi, giorno dopo giorno, senza sgarrare mai.

Tanta abnegazione paga: due giorni fa Haas ha segnato un record che forse toccherà a Roger Federer, di tre anni più giovane, abbattere nel 2019: quello del giocatore più anziano a vincere un match a Wimbledon dal 1991 in poi. Allora fu Jimmy Connors, trentanovenne, a raggiungere addirittura il terzo turno sull’erba di Church Road. Ancora: solo Roger, a tempo debito, potrebbe fare di meglio.

Per Haas il match di oggi sul Campo 1 è altra cosa rispetto a quello vinto di slancio in quattro set lunedì su Dusan Lajovic (6-2 6-3 4-6 6-2). Il suo avversario Milos Raonic adora l’erba londinese – è stato semifinalista qui l’anno scorso – ma è anch’egli reduce da un infortunio. I primi due set sono una specie di lezione per aspiranti bombardieri. Il canadese, 24 anni e uomo di punta del team Piatti-Ljubicic – martella la metà campo del tedesco con servizi sparati fino a 233 chilometri orari più alcune risposte altrettanto imprendibili e sorprendenti discese a rete che in un’ora lo mandano avanti per 6-0 6-2. Sembra fatta. Ma Tommy non vuole che Valentina lo ricordi perdere senza tentare la rimonta. È così il terzo set è un film diverso. Gli oltre dodici anni di differenza d’età svaniscono. Il tedesco ritrova il servizio e mostra cosa significa la locuzione “serve-and-volley”. Il ragazzo di Podgorica perde concentrazione e precisione, rischia di lasciare anzitempo il set all’avversario e, al tie break, non ce la fa a recuperare lo svantaggio di tre set point accumulato. Il quarto set è più equilibrato e stavolta all’epilogo sul 6 pari Milos ottiene il massimo dal proprio servizio. Oltre due ore e mezza di divertimento tennistico puro. Il pubblico del Campo 1 è in piedi a salutare Tommy che lascia, forse per l’ultima volta, lo Slam sull’erba. Indirettamente, è un grazie anche a Valentina (…)

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