Una normale giornata di Wimbledon. Più o meno

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Una normale giornata di Wimbledon. Più o meno

Giornata senza sussulti a Wimbledon 2015. Il caldo, partite non indimenticabili, il ripetersi di un rito. Cronaca di quello che succede quando non succede niente

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Prima che arrivassero le sirene degli allarmi antincendio a rendere scoppiettante la parte finale del giorno numero 3, a Wimbledon era successo davvero poco. Mentre c’era pur stata qualche sorpresa tra le ragazze – la Ivanovic battuta dalla rientrante Mattek-Sands e, in misura minore forse, la Pliskova superata da Coco Vandeweghe – calma piatta tra gli uomini. Vittorie facili di Djokovic, Wawrinka e Dimitrov, il solito ritiro di Nishikori, le solite difficoltà del vincitore degli US Open, il prevedibile sussulto nel mtach tra Verdasco e Thiem, le usuali spaccone di Nick Kyrgios, la tentata resistenza di Tommy Haas al troppo più giovane Raonic.

Inevitabile, durante le conferenze stampa, lasciarsi andare a considerazioni di carattere quasi filosofico. Djokovic torna sulle lacrime del Roland Garros e sull’importanza di professionisti forse di seconda fila ma di grande serietà come Nieminen; Dimitrov vagheggia propositi di rivincita; Kyrgios racconta a che punto si sente con il proprio fisico, Raonic che dice di amare l’erba.

In questi casi raccontare qualcosa non è proprio semplicissimo, un’idea è quella di “liberare la fiducia nelle proprie sensazioni”. In fondo si è all’interno di una – a volte stucchevole, diciamolo pure – leggenda e qualsiasi cosa sembra interessante. Il percorso per arrivare al campo ad esempio. Si scende a Southfields, si è immediatamente assaliti da qualche discreto bagarino, si danno le spalle alla stazione e ci si incammina dal lato opposto a quelli che si apprestano a fare la famigerata Queue. Va bene che una volta nella vita va fatta, ma insomma con questo caldo non dev’essere proprio il massimo della vita. Forse manca l’entusiasmo della prima volta, ma sembra che ci sia meno animazione, che le persone si avvicinino verso la festa senza poi crederci troppo, alle prese con un divertimento forzato. L’ingresso nel club, che tanto aveva stupito anni fa, adesso è burocratico; il controllo alle porte, l’avviarsi tra ali di folla che sembrano muoversi in continuazione senza meta, solo un incessante su e giù dai punti di ristorazione al mega schermo. La “Henmann Hill” piena di corpi che cercano di scoprirsi il più possibile, le fragole con panna francamente inavvicinabili – e non solo per il prezzo – gli stand alimentari che farebbero passare la fame ad un naufrago, tante bottiglie d’acqua e tanti boccali di birra, o forse viceversa, e sopra tutto e tutti una terribile afa in grado di farti rimpiangere l’Istanbul Open. La sala stampa come rifugio, ma ci sono partite da seguire, meglio prendere qualcosa da bere e tornar fuori, cercare un campo, uno qualsiasi, dove potersi se non proprio emozionare almeno vedere un bel colpo, qualcosa, qualsiasi cosa. Cilic vince il tiebreak del terzo, al quinti infila tre ace per salvarsi da due palle break forse definitive, ma al massimo si scuote la testa nel ritrovare il croato esattamente dove l’avevamo lasciato l’anno scorso, forse persino più indietro: gran servizio ma terribilmente goffo negli spostamenti, abbassarsi per lui è un’impresa peggiore che difendersi dal caldo. Ci si allontana dal campo addirittura sul 4 a 3 del quinto, un tempo ci si scandalizzava per molto meno. Quando Berankis cede il match con un beffardo doppio fallo – seconda che salta sul nastro e lentamente finisce fuori di un cm dalla linea centrale di servizio – si sorride da esperti, si dovrebbe vedere Wawrinka ma insomma, meglio leggere qualcosa.

La gente continua ad arrivare anche se sono le 7 del pomeriggio, in Italia penseranno che si sta per finire ma figurarsi. Il caldo adesso sembra direttamente proporzionale, al numero delle persone, la Ivanovic non trova il bandolo contro la lady Gaga del circuito, per trovare il solito psicodramma basta dare un’occhiata a Jelena Ostapenko, che comincia a collezionare set point sul 5-3 prima di cedere 7-5 contra la Mladenovic. Insomma.

Rimane la Errani, alle prese “con una partita inutile con una che non sa manco lei chi è. Ed è capace di perderci”. Esatto.

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