Anderson ha imparato la lezione di Wawrinka (Azzolini), Attenti a Wawrinka è più solido e concreto (Bertolucci), I miei anni con le Williams un copione da film (Clerici), Kyrgios e il suo talk show, stavolta senza lieto fine (Lombardo)

Rassegna stampa

Anderson ha imparato la lezione di Wawrinka (Azzolini), Attenti a Wawrinka è più solido e concreto (Bertolucci), I miei anni con le Williams un copione da film (Clerici), Kyrgios e il suo talk show, stavolta senza lieto fine (Lombardo)

Pubblicato

il

 

Rassegna a cura di Daniele Flavi

 

Anderson ha imparato la lezione di Wawrinka

 

Daniele Azzolini, Tuttosport del 7.07.2015

 

Chissà se Djokovic se n’è reso conto, che quel tipo li davanti, lungo lungo e scarruffato, il terzo in classifica se invece dei punti si sommassero i centimetri 203, sevipare dietro ai 208 di Karlovic e ai 206 di Isner , è alla prova dei fatti un mezzo fondista. Uno, Kevin Anderson, che correva sugli 800 metri, quando ancora aveva voglia di stare in Sud Africa, e giocava a tennis per allenarsi nella corsa (poco) e sulla resistenza (molto di più). Deve essere stato vittima di un abbaglio, il povero Nole. Ma con Kevin può capitare. Lo vedi e pensi di sapere come gioca: uno da un colpo e via, costretto dall’altezza a usare la clava per farsi largo con il servizio, e spingere gli avversari verso il fondo, o a bordo campo per scansare i suoi bolidi. Invece, un tennista che se lo sfidi a macinare chilometri, a faticare, e a correre, finisci per scoprire non soltanto che ci sa fare, ma che ha anche molte doti nascoste. Su tutte, la tigna, quella davvero monumentale. Uno dei più testardi giocatori del circuito. «Una dote che ho forgiato negli Stati Uniti», racconta. Li vive, e lì è stato per tre anni il vincitore del titolo universitario. Il problema è che la lezione di Stanimal, al secolo Stan Wawrinka, Anderson l’ha fatta subito propria. C’era da giurarci, dopo quella finale del Roland Garros condotta a palla-te dallo svizzero. Ecco un modo per battere Djokovic, si è sparsa la voce: tirare tutto fortissimo, schiacciarlo sulla riga di fondo, meglio, spingerlo sempre più indietro. Rischioso? Certo che lo è Ma se la giornata volge al meglio, se tutto gira per il verso giusto, l’impresa può prendere forma davvero, perché Djokovic non è tipo da arginare il gioco altrui, non si abbassa a rimettere in campo, ma spinge, e finisce per agevolare il compito dei cecchini che lo prendono di mira, compensa i loro errori con i suoi, e insomma, cade nella trappola. Così, Kevin è partito ventre a terra, è stato lui a tirare il gruppo. Un set di grande vitalità, e un tie break condotto senza risparmi, fatto di brucianti accelerazioni. L’ultima sul6 pari. Di nuovo avanti nel secondo (3-1), Anderson è stato ripreso e qualcosa ha rischiato, ma nel nuovo tie break ha ritrovato la magia del primo, sotto 4-1 e poi 5-2 ha forzato i colpi (una vera grognuola di spari) e ha ripreso Note sul 6 pari, prima di ripartire con l’ultima raffica. Serviva un set di pausa, e Kevin se l’è preso. Mezzo fondista, abbiamo detto, non maratoneta. E servito però a Note per rimettere in ordine i pensieri, e nel quarto il serbo ha ripreso il controllo delle operazioni con un break sul secondo game. Manca un set, l’ultimo, ma è rimandato a domani. Sul numero Uno non c’è il tetto (ci sarà, prima o poi) e non ci sono le luci. Alle 21 si va a casa. Djokovic lo giocherà nuovamente da favorito. Anderson però potrà recuperare energie e provare di nuovo a forzare le difese del serbo. Ha i colpi per farlo. I quarti femminili si popolano di statunitensi. Sono tre, e a tirare il gruppo è ovviamente Serena (Vandeweghe e Keys le altre). Sorella Venus le ha dato il via libera. Che altro avrebbe potuto fare? E nata Sister Maggiore, Venus, e questa è la sua croce. A Serena ha fatto da mamma, da confidente, da amica. Lei così posata, adulta, sempre tenera. Davvero pensavate che sarebbe stata lei infrangere questo sogno del Grand Slam, ridurre a pezzetti la formidabile autostima della sorellina?

 

Attenti a Wawrinka è più solido e concreto

 

Paolo Bertolucci, la gazzetta dello sport del 7.07.2015

 

Dopo la sua prima vittoria in una prova dello Slam ottenuta lo scorso anno in Australia Stan Wawrinka aveva impiegato alcune settimane per smaltire la sbornia. Questa volta il secondo successo ottenuto a Parigi è stato digerito invece con una certa facilità e anche sull’erba di Wimbledon il suo rendimento si dimostra competitivo. Abituato fin da piccolo al duro lavoro e orari da panettiere nella fattoria paterna, ha sempre dimostrato una grande disponibilità agli allenamenti. Il suo è un tennis solido e concreto basato su colpi di rimbalzo veloci e potenti. In particolare il rovescio ad una mano è quanto di meglio possa offrire l’intero circuito. Il polso d’acciaio conferisce a questo colpo la totale regia dello scambio e solo dopo aver creato le premesse trova l’affondo per completare l’opera. La racchetta posizionata alta dietro la testa ricorda il battitore di baseball che aspetta il lancio dell’avversario e aiuta lo svizzero nella ricerca della spinta. Il servizio di Stan raggiunge velocità altissime e la varietà delle direttrici crea i presupposti per riuscire a prendere in mano fin da subito le redini dello scambio. In passato aveva sempre sofferto di alti e bassi all’interno del torneo, della partita e addirittura dello stesso game ma con la vittoria le montagne russe si sono addolcite mentre i picchi di rendimento sono ulteriormente saliti. Il caldo di questi giorni e il diradamento del manto erboso hanno rallentato il gioco e fatto spuntare il sorriso sotto i baffi dello svizzero. Stan Wawrinka, 30 anni, numero 4 al mondo: un mese fa il successo al Roland Garros

 

I miei anni con le Williams un copione da film

 

Gianni Clerici, la Repubblica del 7.07.2015

 

Ero nel mio giardinetto, a bagnare i fiori e ad immaginare il match tra le sorelle Williams, domandandomi se la misteriosa, per me, sindrome di Sjogren avrebbe consentito a Venus di spostarsi, o se la più vecchia delle due campionesse avrebbe dovuto ricorrere all’aiuto della più giovane, per evitare un’umiliazione. Suona in quella il telefono. E’ un giovane regista, già coinvolto in un mio soggetto, regolarmente fallito, che mi dice: «Clerici, da ieri sto sfogliando gli articoli che ha scritto sulle Williams per la Repubblica. Lo sa che sono ne ho stampati per un totale di 167 fogli, formato A4?». «Ce n’erano altri, che non scrivevano di tennis, e che ne hanno ricavato dei bei romanzi, da Garcia Marquez a, in fondo, addirittura Proust», rispondo. Ma il giovanotto, già autore di un paio di rispettabili documentari televisivi, insiste. «La storia di due Sorelle, una contro l’altra, dirette da un padre padrone. Magari ci si potrebbe anche mettere un amore per lo stesso uomo…». «Sarebbe romanzato», osservo, e per diffidare il giovane da una perdita di tempo, osservo. «Sono stato amico di due grandi registi, Franco Brusati e Gillo Pontecorvo. Erano entrambi buoni tennisti di seconda categoria, numeri 30 o 40 d’Italia, si direbbe adesso. Tutte le volte che abbiamo parlato di un film sul tennis, mi hanno consigliato di non perdere tempo. Non è uno sport adatto, come la boxe». Ma eccolo insistere. «The Stranger in the train di Hitchcock è stato un ottimo film. Non lo conosce?». L’avevo visto, da affezionato lettore di Morando Morandini che organizzò il primo cineclub nella nativa Como. «Lo conosco», risposi, per sentirmi suggerire: «E allora, perché non ci pensa. Senza alcun impegno, d’accordo? Pensi a tutto quello che ha visto, delle sorelle». Mi ero intanto bagnato i calzoni con la canna dell’acqua, e fui sollevato dalla fine della telefonata. E tuttavia, il suggerimento non era facile da cancellare, e senza intenzione alcuna di trarne un soggetto, presi a pensarci, rompendo anche una tazza da thé, mentre facevo il breakfast. La prima volta che ne avevo sentito parlare, e che avevo visto il loro Papà Richard, era stato col mio amico Bud Col-lins, nella cui casa abitavo a Boston. Bud era stato informato di un talento nero non inferiore ad Althea Gibson, Venus, e mi aveva convinto a prendere l’aereo per Los Angeles. Con un taxi ci spostammo in una periferia che potrei definire un ghetto, Compton, e vi incontrammo Papà. Ci spiegò subito, senza convenevoli, di essere il genitore di due bambine, Venus e Serena, che sarebbero diventate le prime due tenniste del mondo, e aggiunse che lo scoop sarebbe costato mille dollari al mio amico. Collins gli voltò le spalle, augurandosi di verificare in futuro la profezia. Al di là dell’insolita richiesta di un tipo che non pareva svolgere qualsiasi attività, la profezia avrebbe cominciato a prendere corpo, e quale, nella meno giovane delle due sorelle, che mi era parsa degna di un palcoscenico, prima che di un court. Non dimenticai del tutto questa giovane, anche per il nome, insolito in una società nella quale erano ignorate le divinità dell’Olimpo, sinché, seguo i miei articoli, giunge l’esordio contro una giocatrice di ventisei anni, con 7 di onesto professionismo alle spalle, Shauna Stafford. E una più che esperta quale BillieJean King, esclama. «Il suo secondo nome dovrebbe essere Forward, avanti !». Il secondo nome era invece Ebonystar, scritto proprio cosi, con un imprevisto errore di ortografia. Ma ancor più presago del futuro Venus. Ma ecco, nel 1994, i primi accenni ad una possibile rivalità con la Sorellina, muscolatissima per quanto Venus è leggiadramente lieve, Serena. E, nel 1994, di Serena giunge l’esordio, sebbene perdente da una buona giocatrice come la Miller, al torneo di Chicago. Serena ha allora 13 anni, è nata nell’ottantuno, grazie ad un presunto stratagemma del Regista, Richard, che ha sostituito le pillole anticoncenzionali di Oracene, più tardi detta Brenda, con innocue caramelle. Papà assume ormai l’aspetto di un genio predestinato, e i miei pezzi ne dubitano, sicuramente a torto, sinché ecco proprio a Roma, nel 1998, si verifica il primo incontro ufficiale, sulla terra che le sorelle esaminano con la stessa incredula diffidenza mostrata verso il Foro Romano. Un quarto di finale stravinto da Venus per 6-4, 6-2. Di quel già lontano passato non mi giungono sensazionali ricordi, sebbene trovi scritto: «Di fronte ad alcuni difetti – che avevo elencati – la Williams è forse l’atleta più potente che io abbia ammirato su un campo, ad eccezione di Margaret Court».. Sono dunque passati un po’ di anni, prima che le mitiche sorelle si incontrassero 25 volte, e apparissero oggi in tutto il loro fascino, sebbene diminuito da due malattie – anche Serena è stata vittima di un rischiosissimo enfisema polmonare. Son passati tanti anni dacché si riteneva che gli incontri fossero diretti sino a designare la vincitrice dal Papà Regista, ora divorziato da una delle sue vittime, la moglie. Son passati molti anni, e, vecchissimo spettatore, non ho mai imparato a contare le righe assegnatemi, negli articoli se non nei libri. E rimango a chiedermi: in fondo, se tentassi di rileggere tutti i miei articoli, nella quiete della mia casa, e ne traessi qualcosa di più attendibile di un pezzo incompleto? Certamente, sarebbe meno peggio.

 

Kyrgios e il suo talk show, stavolta senza lieto fine

 

Marco Lombardo, il Giornale del 7.07.2015

 

L’australiano chiacchierone cede con Gasquet, ma ha un futuro da n°1 Marco Lombardo nostro inviato a Wimbledon Dove lo trovate uno che durante una partita di tennis si mette a discutere col pubblico, a parlare con un tifoso vestito da Batman, a elogiare i colpi dell’avversario, a colloquiare ogni colpo con se stesso, a dirigere i cori degli spettatori di giallo australiano vestiti, ad abbracciare un raccattapalle, a contestare le righe del campo e – soprattutto – a sparare due doppi falli in quattro punti, passando da due set point a favore nel quarto set direttamente alla porta di uscita di Wimbledon? Stiamo insomma per una volta parlando di uno sconfitto, ma Nick Kyrgios non è uno sconfitto normale: è uno sconfitto che farà strada. Ieri, il suo personale talk show tennistico non ha avuto il lieto fine che si meritava: dall’altra parte della rete c’era il francese Gasquet, uno che ormai ha l’età per riconoscere i difetti di gioventù degli avversari. E allora Nick, che ha solo 20 anni, alla fine ce l’ha fatta a buttare via la partita, ma il campo numero 2 di Church Road era pieno come non mai, perché c’era da divertirsi. E ci si è divertiti. D’altro canto Kyrgios con quella faccia così e quel miscuglio che ha dentro (australiano di Canberra con padre greco e madre malese) non può che essere un personaggio, ed il tennis che fatica a mandare in pensione i suoi grandi eroi avrebbe bisogno di averne uno nuovo. E di avere una nuova rivalità. Per ora però, in mancanza dell’anti-Kyrgios, c’è comunque Nick, che in effetti fa tutto in proprio: vince e si batte da solo nella stessa artistica maniera. E nella stessa partita. Il suo credo? «A me il tennis piace, ma non guardo mai una partita. Preferisco il basket,ma purtroppo a 14 anni ho dovuto scegliere». E poi: «Ascoltare i consigli che arrivano dalle tribune dai fan? E perché no: se sono buoni… Ad esempio: quello vestito da Batman ha detto una cosa sensata. Ha funzionato». E ancora: «Perché gioco il doppio misto? Beh, non può essere mica tutto serio lì fuori, bisogna anche divertirsi». E così appunto ieri, dopo aver perso da Gasquet appunto in 4 set, Kyrgios è andato a giocare il misto in cop- pia con l’americana Keys, perdendolo naturalmente ma fra matte risate. E poi – mentre Djokovic, sotto di 2 set con Anderson, recupera e finirà oggi il suo match – è tornato a parlare in sala stampa: «Dite che nel secondo set non rispondevo apposta al servizio di Gasquet? Se volete provare vi dò la mia racchetta. Mi sento incompreso? Visto quello che scrivete sì». Se questo non diventa il numero 1, il tennis è spacciato.

Continua a leggere
Commenti
Advertisement

⚠️ Warning, la newsletter di Ubitennis

Iscriviti a WARNING ⚠️

La nostra newsletter, divertente, arriva ogni venerdì ed è scritta con tanta competenza ed ironia. Privacy Policy.

 

Advertisement
Advertisement
Advertisement