Tennis, Daniele Bracciali e un dubbio (Umberto Rapetto, de Il Fatto Quotidiano)

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Tennis, Daniele Bracciali e un dubbio (Umberto Rapetto, de Il Fatto Quotidiano)

Riportiamo un articolo di Umberto Rapetto de Il Fatto Quotidiano sulla vicenda della radiazione di Daniele Bracciali e Potito Starace da parte del Tribunale Federale, della quale abbiamo scritto a più riprese. Fra poche ore pubblicheremo una lettera dell’avvocato Rossi sul caso

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A riguardo, potresti voler leggere:

Il testo della sentenza del Tribunale Federale della FIT
Bracciali e Starace radiati: ma le prove dove sono?” dell’avvocato Massimo Rossi
I commenti dell’avvocato Antonio Garofalo e del direttore Ubaldo Scanagatta sulla sentenza del Tribunale Federale
Binaghi: «Guerra totale a chi ci infanga»

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Tennis, Daniele Bracciali e un dubbio (Il Fatto Quotidiano, 08/08/2015)

La radiazione di due sportivi fa notizia. Dopo il calcio, il tennis. E il coro dei “Che vergogna” si alza impetuoso verso il cielo maledicendo il mondo delle scommesse e chi ha infranto ogni regola per trarre profitto personale. Un processo a porte chiuse, una decisione draconiana, e poi – come nell’arena – pollice verso e acclamazione per il verdetto.

Ma qualcuno sa davvero cosa è successo a Daniele Bracciali e aPotito Starace? In chiusura di pagina 41 del drastico provvedimento che li riguarda si legge testualmente “In particolare nel giudizio disciplinare muta la regola probatoria; mentre nel processo penale vige la regola della prova ‘oltre il ragionevole dubbio’ nel processo disciplinare sportivo vige la regola della preponderanza del ragionevole dubbio o del ‘più probabile che non’”.

Quel dubbio – la cui ragionevolezza potrebbe essere oggetto di discussione – ha fatto condannare due tennisti alla radiazione e al pagamento di una significativa pena pecuniaria. Avvezzo ad occuparmi di “prove” e non di “dubbi”, ero il consulente tecnico di parte nel collegio di difesa di Daniele Bracciali. Ho esaminato con meticolosa attenzione i presunti elementi su cui poggiavano le accuse, dimostrando con serenità lacune procedurali a mio umile avviso significative. Gli avvocati Filippo Cocco e Alberto Amadio hanno chiesto che venissi sentito dal Tribunale federale per illustrare l’esito della mia analisi e per evidenziare – almeno sotto il profilo tecnico – l’estraneità di Bracciali rispetto a chat, account e altri ingredienti informatici con cui era stata cucinata l’accusa. La mia testimonianza è stata ritenuta superflua e per un attimo ho creduto che i giudici avessero letto e capito la mia relazione.

Il 7 luglio 2015 la Procura della Repubblica di Cremona ha depositato gli atti e comunicato la chiusura delle indagini sulle scommesse nel calcio e del corrispondente filone tennistico. Qualcuno (la Federazione Italiana Tennis per prima), forse poco pratico di procedura penale, titola «Pm chiude indagini e chiede rinvio a giudizio per Bracciali e Starace» anticipando incredibilmente qualcosa che non ha avuto (e forse non avrà) luogo. Infatti in quelle carte si legge, tra l’altro, che l’account Skype “Braccio2”, su cui si imperniano le accuse, è legato ad una utenza cellulare che non è di Bracciali. Quel telefonino è riconducibile – secondo la questura di Cremona – alla fidanzata di un certo Enrico Sganzerla (gentleman al centro di episodi di cronaca non proprio edificanti e sodale di Manlio Bruni presunto regista delle irregolarità delle scommesse sportive) che potrebbe, a sua volta, averla avuta a disposizione.

Le imbarazzanti chiacchierate telematiche correlate a “Braccio2” sarebbero il frutto di una impersonificazione diabolica cominciata con la scelta di un nickname simile a quel “Braccio78” adoperato dal tennista. Il documento – estratto dal fascicolo delle indagini penali – viene presentato al Tribunale di Federtennis. Inutilmente. L’ennesima prova di estraneità non basta. Resta il dubbio. Le prove non contano. Come in Parlamento, dove però – valesse mai la regola del dubbio – i banchi sarebbero pressoché disabitati. La storia non finisce qui. Mentre viene proposto appello alla sentenza, è bene scoprire il backstage della clamorosa decisione.

Chi sbaglia è giusto che paghi. E chi in questa vicenda ha sbagliato pagherà. Senza dubbio.

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Per completezza di informazione, riportiamo – senza peraltro voler assumere una posizione a riguardo – anche alcuni commenti all’articolo su Il Fatto Quotidiano, che esprimono delle critiche sul doppio ruolo di Rapetto nella vicenda, come autore dell’articolo e parte coinvolta nel processo:

“Non vedo il motivo, essendo lei uno dei consulenti di parte, di scrivere questo post, a torto o ragione.”

“Gen. Rapetto, leggo con interesse i suoi articoli ma in questo caso condivido l’opinione di chi dice che non ci si capisce nulla e che un avvocato o un perito di parte non può sfogarsi, in un articolo, contro un Tribunale sportivo che non gli ha dato ragione.”

“Io credo che sia sbagliato SEMPRE quando si perde una causa avvalersi del giornale per dire che si aveva ragione,le cause si fanno in tribunale e sbaglia anche il giornale a pubblicare queste cose, adesso faccia intervenire anche il perito dell’altra parte sennò puzza.”

Per leggere l’articolo originale e vedere gli altri commenti, clicca qui.

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