"Red Rocket" Rod Laver: storia di un Grande Slam e di un tennista da leggenda

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“Red Rocket” Rod Laver: storia di un Grande Slam e di un tennista da leggenda

Ripercorriamo la storia dell’unico Grande Slam maschile dell’Era Open e dell’uomo che lo ha realizzato: “Red Rocket” Rod Laver

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“Congratulations, do it again”.
Charlie

Una smorfia di esasperazione subito spenta da un sorriso apparve sul volto di Rod leggendo le scarne parole su un telegramma all’indomani della vittoria a Forest Hills nel 1969 che decretava la conquista del suo secondo Grande Slam, dopo quello amatoriale del 1962.

Niente era mai abbastanza per Charlie Hollis, il suo allenatore.

Grande Slam dunque, chi era costui? Si potrebbe dire con il Don Abbondio di manzoniana memoria. Il termine era apparso una prima volta sui giornali nel 1930 quando il leggendario golfista Bobby Jones aveva trionfato sia fra i dilettanti che fra i professionisti nei master inglese e americano. L’utilizzo relativamente al tennis è comunemente attribuito al columnist del New York Times John Kieran in un articolo del 2 settembre 1933, nel quale il giornalista affermava che l’australiano Jack Crawford, vincendo a Forest Hills, avrebbe potuto realizzare qualcosa di simile al grande slam nel bridge, che consiste nel vincere tutte e tredici le prese possibili in una singola mano. In realtà il collega Alan Gould del “Reading Eagle”, un quotidiano della Pennsylvania, lo aveva anticipato di due mesi scrivendo dello stesso argomento il 18 luglio precedente.

Sia come sia quell’anno “Gentleman Jack” aveva già conquistato i Campionati d’Australia, il Roland Garros e Wimbledon dove aveva sconfitto al quinto in una delle finali più appassionanti della storia il detentore del titolo Ellsworth Vines. Purtroppo per lui nella finale di New York Fred Perry e l’asma frustrarono il suo sogno sul filo di lana. Si racconta infatti che Jack, afflitto per tutta la carriera da problemi respiratori abbia cercato conforto in un paio di bicchieri di brandy nella pausa al termine del terzo mentre era avanti due set a uno. Con effetti deleteri considerando che perderà quarto e quinto per 6-0 6-1.

All’epoca inoltre, e fino al 1974, le uniche nazioni ad aver vinto la Coppa Davis erano state Australia, Inghilterra, Stati Uniti e Francia e sembrò quindi appropriato che la conquista nello stesso anno solare dei maggiori tornei che lì avevano sede costituisse la massima impresa possibile per un tennista.

Sarà l’americano Don Budge a completare per primo lo slam nel 1938 sconfiggendo a Forest Hills il compagno di doppio e di baldorie Gene Mako. Il tennis dell’epoca però è ancora uno sport elitario e non totalizzante, iniziava la divisione fra amatori e professionisti con questi ultimi banditi dai grandi tornei, censurati dalla stampa e relegati nel dimenticatoio. Sarà così fino al torneo inglese di Bournemouth del 1968 ma questa è un’altra storia. Inoltre fino all’avvento dei voli transcontinentali chiunque avesse voluto cimentarsi nel certamen dello Slam avrebbe dovuto sorbirsi quasi un mese di nave per arrivare in Australia, cosa che Don fece insieme all’amico Mako e con l’aiuto di innumerevoli dischi di jazz e qualche bottiglia di Wisky, le sue due vere passioni.

Il 24 settembre 1938, mentre il rosso di Oakland chiude lo Slam nella Grande Mela dall’altra parte del mondo, lungo il tropico del Capricorno, il suo unico erede ha poco più di un mese di vita e dorme tranquillo nella casa di Rockhampton, Queensland, Australia Nord-Orientale.

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