US Open maschili, l'incertezza abita qui

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US Open maschili, l’incertezza abita qui

Lo Slam americano, storicamente foriero di successi per i dominatori della classifica, negli ultimi anni si è trasformato nel più incerto dei quattro major. Riviviamo la storia degli anni ’10 del nostro secolo, provando ad analizzare i motivi della variabilità newyorkese

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Per decenni è stato il terreno di caccia dei numeri uno più celebrati: Connors, McEnroe, Lendl, per breve tempo Becker ed Edberg, infine Sampras e Agassi, prima del regno, lunghissimo, di Roger Federer. Negli ultimi anni, però, gli Us Open sono diventati lo slam più incerto, quello che ha riservato le maggiori sorprese: premiando anche dei veri e propri outsider, come gli altri major, nello stesso riferimento di tempo, non hanno saputo fare.
Lo slam delle sorprese per antonomasia è sempre stato l’Australian Open: vuoi per la collocazione in calendario, vuoi per il fatto che alcuni big lo snobbavano (vedi Borg). Fatto sta che negli anni ’10 anche il torneo down under si è prostrato al dominio dei fab four, e in particolar modo a quello di Novak Djokovic. Solo tre i vincitori diversi nelle sei edizioni che si sono susseguite dal 2010 al 2015 (Federer, Djokovic quattro volte, Wawrinka, unica vera sorpresa australe). E anche i finalisti, in queste ultime edizioni, erano tutto fuorchè outsider: quattro volte il runner up è stato Andy Murray, due volte Rafael Nadal.

Il Roland Garros degli ultimi dieci anni fa storia a sè. Non fosse stato per Wawrinka e per Federer (e soprattutto Soderling) nel 2009, non leggeremmo che il nome di Rafael Nadal nelle ultime undici edizioni. Gli anni ’10, ovviamente, non fanno eccezione, con l’unica sorpresa (si può chiamare tale, adesso?) del successo di Stan the Man pochi mesi fa, seguito all’eliminazione del maiorchino nei quarti di finale per mano di Djokovic. Più nomi ma poche “emozioni” sui finalisti: Soderling e Ferrer, comunque specialisti della terra, poi i soliti Federer e Djokovic. Wimbledon ha vissuto un’alternanza maggiore di vincitori negli anni che vanno dal 2010 al 2015, ma anche qui di sorprese nemmeno a parlarne: l’unica voce “fuori dal coro” è stata quella di Berdych in finale nel 2010, con Nadal al successo. Per il resto nel 2011 titolo di Djokovic su Nadal, nel 2012 vittoria di Federer su Murray, nel 2013 alloro di Murray su Djokovic e negli ultimi due anni Djokovic a prevalere su Federer. Quattro vincitori diversi in sei edizioni, è vero. Ma chi? Sempre e solo loro: i Fab Four.

Sgombriamo subito il campo: non è che agli Us Open la musica, nell’ultimo quinquennio, sia così tanto diversa rispetto agli altri slam. Però qualche differenza sostanziale c’è. Intanto il numero di vincitori diversi delle ultime sei edizioni (dato che l’edizione 2015 deve ancora giocarsi, partiamo col conteggio dal 2009): cinque. E sorprende che l’unico plurivincitore di questa micro-epoca sia Nadal (2010 e 2013), proprio nello Slam in cui storicamente ha fatto più fatica, vuoi per la superficie, vuoi perchè nel post-Wimbledon lo spagnolo ha spesso e volentieri balbettato. Per il resto nel 2009 tutti ricordiamo il trionfo di Del Potro, un vero e proprio ribaltone, del pronostico e interno alla partita, contro Roger Federer. Nel 2010 il primo successo del maiorchino, che qui completava (non del tutto senza sorprese, visto lo stato di forma di Federer e Djokovic) il suo Career Grand Slam, e nel 2011 la vittoria di Djokovic in rivincita su Nadal. Nel 2012 il successo di Murray: non una sorpresa, certo, con lo scozzese stabilmente nelle prime posizioni del ranking dal 2008. Andy però non era mai stato capace di vincere uno slam, nonostante le quattro finali, e veniva dalla batosta di Wimbledon: in pochi lo pronosticavano vincente contro Djokovic. Nel 2013 ancora il successo di Nadal su Djokovic e l’anno scorso la sorpresa più grande, ovvero l’eliminazione in semifinale dei due favoriti, Federer e Djokovic, e la finale inedita tra Cilic e Nishikori, vinta dal croato. La prima finale slam dall’Australian Open 2008 (Djokovic-Tsonga) in cui si fronteggiavano due vergini di titoli major.

Proviamo ad analizzare i motivi di quella che, citando il Doc Brown di “Ritorno al Futuro”, potrebbe anche essere soltanto una “(incredibile) coincidenza”. Uno su tutti, forse, la collocazione in calendario: il tour è diventato sempre più duro per i top player, soprattutto da quando c’è l’obbligo di partecipazione agli eventi, obbligo dal quale oggi sono esentati solo Federer e Nadal. Lo slam americano arriva quasi in fondo alle fatiche dei giocatori, le stelle del ranking tendenzialmente giocano più partite importanti e soprattutto arrivano sempre o quasi in fondo ai tornei al meglio dei cinque set, e quindi sbarcano a New York più stanchi, lasciando spazio a sconfitte inattese. Oltre allo stato di grazia del croato e del giapponese, le sconfitte 2014 di Federer e Djokovic sono sembrate anche frutto di un serbatoio di energie ormai in riserva. I motivi, però, potrebbero essere individuali: Rafael Nadal non ha preso parte agli Us Open 2012 e 2014, quando era rispettivamente numero 3 e numero 2 del mondo, lasciando quindi maggiore incertezza nel seeding. Novak Djokovic, poi, ha sempre trovato difficoltà nello riuscire a vincere all’Artur Ashe Arena: dal 2009 è costantemente nei primi quattro del torneo, ha giocato quattro finali su sei, ma ha vinto una sola volta, in quello che per caratteristiche di superficie dovrebbe essere il torneo a lui più congeniale. Roger Federer, che non coglie la finale qui dal 2009, nelle ultime due stagioni ha impostato la sua preparazione per essere al massimo della condizione in quel di Wimbledon, riuscendoci perfettamente. Insomma, i primi tre del mondo, per un motivo o per un altro, non sempre sono stati in condizioni ottimali a New York e comunque mai tutti contemporaneamente. I pertugi per gli outsider, quindi, si sono fatti leggermente più ampi, rispetto agli altri slam.
Il 2015 porterà un nuovo Cilic? O i Fab Four ristabiliranno il loro dominio anche oltre-atlantico? Tra poche settimane lo sapremo.

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