La più bella partita di tennis di tutti i tempi

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La più bella partita di tennis di tutti i tempi

La nostra “piccola libreria sul tennis” compie un anno. Dopo Wallace, Clerici, Drucker, Folley recensiamo per l’occasione un altro capolavoro. Forse, il più bel libro sul tennis mai scritto: “Terribile splendore”

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Fisher M. J. (2009), Terribile splendore. La più bella partita di tennis di tutti i tempi, tr. it Cognetti P. e Bonfanti F., 66thand2nd, 2013

In libreria mi ha fatto una certa antipatia. L’edizione se non di lusso è di classe. Il prezzo è altuccio. Le pagine sono quasi 400 e il sottotitolo recita “La partita di tennis più bella di tutti i tempi”. Ho comprato “Terribile splendore” con diffidenza perché “la partita più bella di tutti i tempi” è come il pesce più grande mai pescato. Esiste solo nelle chiacchere di chi c’era e negli occhi di chi non c’era. Arrivato a casa l’ho appoggiato nella mia, sempre più lunga, pila di libri da leggere e l’ho lasciato lì per mesi a macerare. Poi un giorno, senza un vero perché, l’ho aperto e tutto quello che c’era attorno a me è scomparso. Mi sono ritrovato nel 1937 ad assistere alla semifinale di Coppa Davis tra Germania e Stati Uniti e a respirare quell’atmosfera futurista di quando le storie delle persone coincidevano con la Storia Maiuscola. Onestamente non so dirvi se quella raccontata è stata davvero La Più Bella Partita di Sempre, sicuramente la posta in palio era molto di più di una semplice vittoria. Dietro quel mach si muovevano i grandi mostri del Novecento, il nazismo e la libertà, le due pietre focaie che hanno incendiato quel secolo. A raccontarlo è quello che, detto sottovoce, è forse il libro sul tennis più bello che abbia mai abbia letto. Un romanzo tout court dove il tennis è solo il motore e il risultato si chiama letteratura. Insomma “Terribile splendore” è una specie di capolavoro che tutti gli appassionati di tennis dovrebbero leggere per decreto legge. Se credete che Federer vs. Nadal abbiano rappresentato la vetta emotiva di questo sport, dopo questo libro guarderete il tennis da un’altra prospettiva. Verrete proiettati in un tempo che non c’è più e assisterete dal centrale di Wimbledon alla semifinale di coppa Davis tra Germania e Stati Uniti (1). Da una parte quello che sarà il primo uomo a completare il Grande Slam e dall’altra un aristocratico barone il cui aspetto e lignaggio rappresentava la sintesi perfetta della propaganda ariana. Da una parte Donald Budge, dall’altra il barone von Cramm. Un figlio della classe media cresciuto a jazz e campetti di periferia contro uno che andava a cavallo quando gli altri non sapevano ancora leggere o scrivere. Annus domini: 1937. Luogo: Centrale di Wimbledon. Posta in gioco: la libertà (quella vera).

Se da soli questi presupposti dovrebbero invogliare alla lettura, in realtà il libro è molto di più (2). Marshall Jon Fisher usa quella partita come il prisma della celebre copertina dei Pink Floyd. La Partita Più Bella di Sempre entra come un fascio luminoso e si riverbera in mille luci. Ogni luce una storia. Quella del Grande Bill Tilden da sola vale l’intero libro. È un libro dentro il libro. Seguire la sua vicenda è attraversare l’alba del tennis e farsi un giro su un palcoscenico di qualche teatro d’inizio secolo. C’è tutto. La sua infanzia, gli anni del suo dominio, la sua omosessualità, il suo crepuscolo, gli atteggiamenti da divo, l’ipocrisia di un secolo e la sua morte solitaria su di un letto con accanto quelle racchette che non abbandonò mai. Pochi sanno che il Grande Bill scrisse libri, spettacoli teatrali e finì anche dentro “Lolita” il celebre romanzo di Nabokov. Sentite che roba: “un veterano robusto e rugoso circondato da un harem di raccattapalle: fuori dal campo sembrava uno spaventevole relitto, ma a volte (…) sfoggiava un colpo simile a uno squisito fiore primaverile (…) con quella potenza delicata, assoluta, divina”. Bè, così si scrive solo in paradiso. E poi c’è Berlino. Non una Berlino qualunque, quella irripetibile degli anni 20-30. Quella Berlino che travolta dai pegni della prima guerra mondiale attraverserà una svalutazione pazzesca e il denaro perse il suo senso più ovvio. Ritirare lo stipendio oggi voleva dire vedere domani quei soldi trasformati in carta straccia. L’unica soluzione era vivere senza il domani. Spendere tutto. Vivere tutto. Ed ecco spiegata la Berlino dei teatri, dell’arte, degli spogliarelli, delle stravaganze, delle avanguardie. La Berlino dove andare in coppia etero a Teatro era visto con sospetto. Senza un domani il sesso vale quanto il denaro. Bisognava provare tutto. Non ci sono giudizi morali davanti all’apocalisse. Vi racconto solo un aneddoto. Un generale andò alle poste a ritirare la sua pensione. La investì tutta in un francobollo e lo appiccicò nella lettera in cui annunciava il suo suicidio. Poi si sparò con indosso la divisa. Fu quel clima a partorire i presupposti culturali del nazismo. Con l’odio verso gli omossessuali e quello verso gli ebrei, quelli che avevano le banche. Vi dico la verità, è una cosa che sapevo, ma prima di “Terribile Splendore” non lo avevo mai capito. Non lo avevo mai visualizzato così bene. L’avvento del nazismo con la sua retorica della razza pura, il culto del corpo è il contrappunto di tutto il romanzo e il Barone von Cramm è semplicemente il luogo drammaturgico che sintetizza tutte le tensioni di una nazione ma più probabilmente di un intero secolo. Biondo, bello, elegante ma solo come un aristocratico di nascita può esserlo, e omosessuale. Si ritrovò a essere l’emblema della retorica nazista ma con un terribile segreto da proteggere. Per lui vincere era lo scudo stellare contro le politiche omofobiche della Gestapo di Himmler. Solo vincendo davanti al mondo le dettagliate schede della polizia nazista non sarebbero diventate ufficiali catapultandolo dalle luci del successo in un campo di concentramento assieme ai suoi “amici pervertiti” . È con questo clima di paranoia che si arriva alla Partita più Bella di Sempre. Anche se la partita la vince Budge è impossibile non empatizzare col Barone, un signore che amava la Germania e odiava il Nazismo, che fu un campione e un divo riservato e finì in una guerra che se fu assurda per chiunque per lui, forse, lo fu un po’ di più.

Tornato dalla guerra il Barone non volle mai raccontare la sua incredibile storia. Come scrive Clerici nella quarta di copertina per fortuna c’è stato un signore che lo ha fatto per lui, o meglio per noi. Per osservare quello che succede su di un campo di tennis basta essere spettatori, per vedere quello che c’è dietro bisogna essere scrittori. Chapeau Mr. Fisher.

Pier Paolo Zampieri

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1 La sede di Wimbledon per una semifinale tra Germania e Stati Uniti non deve suonare strano. All’epoca quella che era la finale d’interzone si svolgeva a casa dei campioni in carica. Di fatto era però considerata da tutti una finale anticipata in quanto la Gran Bretagna, detentrice del titolo da quattro anni, si sarebbe presentata senza Fred Perry, il tre volte campione di Wimbledon che essendo passato al professionismo non poteva più partecipare. E se quella era la vera finale la partita in questione era il quinto mach, in un epoca in cui la Davis valeva quanto gli Slam.

2 Per confrontare un’altra recensione del libro vedi la prima segnalazione su questo sito a cura di Enos Mantoani.
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