(S)punti tecnici della settimana: gli aspetti meno grandi nel tennis dei grandissimi

(S)punti Tecnici

(S)punti tecnici della settimana: gli aspetti meno grandi nel tennis dei grandissimi

Dopo anni passati ad analizzare, e ammirare, la tecnica dei campioni… quali erano, e sono, le cose che i n. 1 del tennis, Roger Federer, Novak Djokovic, Pete Sampras, Rafa Nadal, Andy Roddick fanno (han fatto) meno bene?

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A partire dal 23 agosto 1973, l’ATP ha inaugurato il ranking ufficiale gestito e compilato dal computer. Da quella data in poi, 25 tennisti sono stati classificati al numero uno, ed è ovvio che sono stati tutti – chi più, chi meno, chi per molto, chi per poco – dei campioni del nostro sport. Fatta questa doverosa premessa (ribadisco che si sta parlando di indiscutibili fenomeni, quindi con un metro di valutazione tarato verso il massimo possibile delle aspettative), dal punto di vista strettamente tecnico non si può dire che siano tutti stati tecnicamente esemplari e completi in ogni fase di gioco. Come vedremo, si può notare una interessante correlazione tra questi aspetti e gli anni di riferimento, così come la durata più o meno lunga della permanenza al vertice.

Andando in ordine cronologico, dal 1973 al 1983 abbiamo il primo gruppo di “number ones” costituito da Ilie Nastase, John Newcombe, Jimmy Connors, Bjorn Borg e John McEnroe. Nel 1983 arriva in cima Ivan Lendl, che con McEnroe si alternerà al top del ranking fino al 1988. In quell’anno, con l’impresa dei tre quarti di Slam, conquista la vetta Mats Wilander, seguito da Stefan Edberg (1990), Boris Becker (1991) e Jim Courier (1992). Segue poi l’era di Pete Sampras (1993) e Andre Agassi (1995), con le incursioni di Thomas Muster (1996) e Marcelo Rios (1998). Il millennio si chiude con Carlos Moya, Yevgeny Kafelnikov e Patrick Rafter (tutti 1999), quello nuovo si apre con Marat Safin, Gustavo Kuerten (2000 entrambi) e Lleyton Hewitt (2001). Nel 2003 vanno sul gradino più alto Juan Carlos Ferrero e Andy Roddick, dopodichè dal 2004 ad oggi abbiamo avuto tanto (ma tanto) Roger Federer, e parecchio Rafael Nadal (2008) e Novak Djokovic (2011).

A mio avviso, la prima cosa che salta all’occhio è che dall’inizio fino al 1990 tutti i numeri uno del mondo sono stati, anche se in modi certamente differenti, dei giocatori tecnicamente completi sotto ogni punto di vista. Le tattiche e le strategie di gioco erano chiaramente diversissime tra loro, ma si trattava di tennisti a tutto campo, chi da subito (Nastase, Newcombe, McEnroe, che sapevano fare tutto e bene), chi dopo un completamento del bagaglio più tattico che tecnico (Connors, Borg, Lendl e Wilander che si sono evoluti in ottimi attaccanti quando necessario, principalmente sui campi rapidi). Erano anni in cui non ci si poteva nascondere dietro la specializzazione tecnica estrema, se eri il migliore voleva dire che a tennis facevi qualunque cosa in modo almeno ottimo, se non fenomenale, e che non c’era zona di campo in cui ti trovassi a disagio o fuori posizione.

Gli anni ’90 sono stati l’inizio del tennis davvero specializzato. Sono arrivati i grandi servizi sopra i 200 all’ora come norma e non più come eccezione, il gioco a rete e il serve&volley hanno dominato la scena, e non a caso si può identificare in Stefan Edberg il primo giocatore arrivato al numero uno con uno specifico aspetto tecnico non all’altezza sublime del resto del suo gioco: il dritto. Presa eastern, braccio rigido, troppo ingresso di spalla, e postura eccessivamente frontale per quel tipo di impugnatura ne fanno a mio avviso, storicamente, il primo caso di “gap” evidente in un campionissimo (altrimenti favoloso tecnicamente) che sia arrivato fino alla vetta del tennis.

Boris Becker era molto più completo, nulla da dire sull’esecuzione dei colpi, ma soffriva di una mobilità non eccezionale da fondocampo (“Bum Bum” era davvero pesante, il primo esempio di bombardiere moderno), che comunque sulle superfici veloci/velocissime dell’epoca non lo penalizzava più di tanto. A rete, nonostante la mole, Boris era agile come un portiere di pallamano – celebri le sue spettacolari volée in tuffo – e anche la risposta era di altissimo livello. Sulla terra battuta, purtroppo, era tutta un’altra storia (nessun titolo conquistato in carriera), in parte anche a causa della cocciutaggine tattica che lo spingeva a voler vincere remando da dietro.

Jim Courier, primo grande prodotto della scuola di Nick Bollettieri, è forse stato il numero uno meno completo: ha modellizzato e reso perfetta, nonché letale per gli avversari, l’arma “inventata” da Nick, il dritto anomalo tirato da ogni zona del campo, e ha mascherato così un rovescio veramente impacciato e poco fluido, simile a un colpo di baseball, e un gioco di volo semplicemente inesistente. Ma è comunque bastato, insieme a un fisico di roccia e grandissime gambe, concentrazione e killer instinct, per stare 58 settimane totali sopra a tutti in classifica, più di un anno, e a fare addirittura finale a Wimbledon su un’erba che all’epoca era ancora super-rapida (anche se molto consumata in quel 1993).

Su Pete Sampras e Andre Agassi c’è poco da eccepire, certo il rovescio di “Pistol Pete” non era memorabile ma “faceva il suo”, e il resto del suo tennis era strepitoso, servizio e dritto leggendari, un gatto al volo, lo smash più clamoroso e potente di sempre (le famose “slam dunk”, schiacciate tipo basket NBA in elevazione frontale a piedi pari). Il “Kid di Las Vegas”, invece, a rete non ci andava volentieri ma era talmente rapido ed esplosivo negli anticipi e in risposta (aggrediva in avanzamento, sull’erba ultraveloce anni ’90, i servizi di gente come Ivanisevic e lo stesso Sampras, facendo i vincenti d’incontro a tutto braccio, una fotocellula umana, riflessi mai visti), nei passanti, nel ritmo e nella pressione, da rendere la cosa ininfluente. Però, un po’ come Borg, Lendl e Wilander, pur utilizzandola poco, la tecnica (e soprattutto i tempi di posizionamento) nei pressi del net Agassi la padroneggiava perfettamente, ed era difficilissimo passarlo anche perchè seguiva spesso attacchi fulminanti con i suoi fantastici fondamentali, dritto o rovescio erano ugualmente efficaci, per poi coprire gli angoli con gran senso geometrico.

Thomas Muster, senza dubbio il “guerriero da terra battuta” più notevole di sempre prima dell’arrivo di Rafael Nadal (insieme a Vilas, ma Guillermo aveva classe pura da vendere, oltre alle gambe, Thomas era più “legnoso”, ma era anche una belva indimenticabile a livello di determinazione e capacità di soffrire) tecnicamente accusava la stessa desuetudine alle volée di Courier, e il suo rovescio a una mano appena sufficiente (non male come esecuzione, ma poco penetrante e continuo) veniva compensato dal grandissimo dritto con rotazione mancina, insieme alla già accennata tremenda cattiveria agonistica. Sull’erba, anche negli anni migliori, poche soddisfazioni per Thomas.

Marcelo Rios era un talento manuale sopraffino, pure lui mancino, e a parte un caratterino che definire difficile e lunatico è poco, nei fondamentali da dietro e nei tocchi di classe non era secondo a nessuno. Avrebbe senz’altro potuto ambire a risutati migliori, però, se negli anni delle “macchine da ace” con cui si confrontava, avesse avuto un servizio più incisivo e potente: le curve mancine danno sempre fastidio, ma devi avere anche la “botta” a certi livelli. Solo un mese, aprile 1998, in vetta alla classifica per lui.

Gli ultimi tre “top del ranking” degli anni ’90 sono stati Carlos Moya, Yevgeny Kafelnikov e Patrick Rafter. Tecnicamente ottimi Carlos e Yevgeny (meglio il dritto del rovescio per Moya, il contrario per Kafelnikov, a rete facevano correttamente il “compitino” quando dovevano, meglio il russo anche buonissimo doppista) pur se decisamente specializzati nella manovra da fondocampo. All’opposto, l’immensa classe di Patrick si esprimeva quasi esclusivamente all’attacco, forse è stato il volleatore più perfetto di sempre, ma la tecnica dei suoi fondamentali da dietro era comunque di altissima qualità.

Marat Safin è stato il primo “talento totale” del tennis moderno, gran fisico, servizio, dritto e rovescio pazzeschi, manualità favolosa su qualsiasi palla, non troppo a suo agio sull’erba per via degli appoggi (e della fatica del dover stare sempre bassissimo, era un “pigrone” il mitico Marat) ma devastante sul veloce e sul duro, l’unico suo limite – se si può definire tale trattando di tecnica – era proprio la poca voglia di lavorare e allenarsi, e la troppa voglia di godersi la vita. 9 settimane al vertice sono veramente poche, stiamo parlando di uno che riusciva a “nasconderla” al Federer 2005 e in campo non aveva paura di nulla e nessuno, ma probabilmente si è divertito più lui di tutti gli altri citati in questo pezzo messi insieme.

Gustavo Kuerten, con Stan Wawrinka il più potente e carico rovescio a una mano della storia (letteralmente capace di tirare giù topponi da oltre l’altezza delle spalle, come fossero smash al contrario), era anche lui un talento totale, servizio e dritto perfetti anch’essi, ma le aperture molto ampie e i gesti relativamente meno rapidi in preparazione ne hanno limitato i risultati fuori dalla terra battuta, a parte un gran Masters vinto nel 2000. Completo tecnicamente era anche Lleyton Hewitt, altro fenomenale agonista (“Satanetto”, lo chiamava Gianni Clerici, vedendolo recuperare anche palle impossibili, e non sbagliare mai. Bestia nera di Sampras sul finire della carriera di Pete, lo seppelliva di passanti ogni volta). L’australiano era (è) senza pecche in nessuna esecuzione, ma è stato anche limitato nell’esplosività e nel servizio da un fisico “normale”, all’alba dell’epoca dei super-atleti, potentissimi e contemporaneamente ultra-rapidi negli spostamenti.

Juan Carlos Ferrero era della stessa “razza” di Moya e Kuerten, fondocampista perfetto nella tecnica, bravo a rete ma solo se andarci era assolutamente necessario, molto adattabile a tutte le superfici meno quelle davvero veloci. Bella “testa da tennis” Juan Carlos, intelligenza tattica sopraffina, duttilità e strategia, la distribuzione dei suoi risultati migliori è chiara in questo senso: vittoria al Roland Garros, finale allo US Open, semifinale agli Australian Open, quarti a Wimbledon (due volte).

Andy Roddick ha portato all’estremo, e alle vette di rendimento più clamorose, la tecnica del servizio moderno, con caricamento frontale (come faceva già Rafter, che però piazzava per seguire a rete più che sparare alla ricerca dell’ace), e ingresso anticipato della racchetta su lancio di palla meno alto. Su tale devastante battuta, prime e seconde palle al fulmicotone sempre e comunque, e su un gran dritto semiwestern (tendente al western), Andy ha costruito i suoi successi, a rete era buonissimo, ma il rovescio piuttosto simile in negativo a quello di Courier (rigido, scarsa rotazione delle spalle, poca fluidità nell’accompagnamento) è sempre stato un punto debole evidente, soprattutto per i suoi avversari, che potevano in ogni caso piazzare lì i colpi rifugiandosi alla sua sinistra per sfuggire al bombardamento.

Ed eccoci ai giorni nostri, iniziati il 2 febbraio 2004 con l’insediamento al vertice della classifica di Roger Federer. Non serve ribadire la completezza e la perfezione tecnica di Roger, basti dire che se per esempio uno come Courier avesse avuto il colpo “peggiore” – non le metto, ma immaginate che le virgolette siano decine – dello svizzero, cioè il rovescio (che tecnicamente è ineccepibile, ed è lo slice migliore di sempre, ma è più attaccabile rispetto al super-dritto, in particolare dai grandi top-spinners), per Sampras e Agassi in quegli anni sarebbe stata veramente, ma veramente dura.

Rafael Nadal è stato un numero uno super-specializzato dal punto di vista tecnico, costruito su quello che dati alla mano (velocità e top-spin) è il dritto più efficace mai visto, così specializzato da far spesso dimenticare che in termini di talento manuale Rafa ha poco da invidiare a chiunque. Rovescio portato da destra-dominante buonissimo, gran tocco a rete (pochi fronzoli, pochi “numeri” e magie, ma sempre e comunque la volée giusta piazzata perfettamente, e posizionamento esemplare). L’unica esecuzione tecnicamente non oltre la sufficienza è il servizio, un po’ come Rios le curve mancine hanno mascherato un’esplosività non ai massimi livelli, ma le percentuali e le scelte di traiettoria sono sempre state ottime: magari Rafa non ti fa tanti punti diretti alla battuta, ma attaccarlo sul suo servizio è difficilissimo.

Novak Djokovic, infine, sta meritatamente dominando il tennis attuale, e ha raggiunto quella che non ho esitazioni a definire la perfezione nell’interpretare il gioco moderno. Non a caso, anche a livello di progressione didattica dell’insegnamento, il modello di alta prestazione sono il dritto e il rovescio di Nole, in termini biomeccanici, di spinta, di equilibrio e gestione del peso siamo di fronte a un manuale dei fondamentali ambulante. Il servizio negli anni è diventato un’arma estremanente affidabile e duttile, e il tocco di palla, specialmente gli ottimi drop-shot e i pallonetti liftati (roba che se non hai una gran mano non ti sogni nemmeno di provarla), è adeguato al livello di cui stiamo parlando, ovvero il massimo assoluto. Il problema, e a mio avviso è un problema non da poco, è il gioco di volo, soprattutto le palle sopra la testa.

Djokovic con lo smash ha delle difficoltà evidenti, che partono dall’errato posizionamento dei piedi (gli succede spesso di trovarsi troppo sotto la palla, e troppo frontale), che causa quello che in gergo da campo si definisce smash “di panza”, per l’appunto eseguito senza sufficiente rotazione del busto-spalle, e con l’asse di equilibrio troppo all’indietro. Personalmente trovo questo degli smash di Nole è uno dei grandi misteri del tennis moderno, perchè è difficilmente comprensibile come un campionissimo del genere possa portarsi dietro una lacuna tanto specifica, nell’insieme di un bagaglio tecnico altrimenti fantastico. Purtroppo per lui, questa insicurezza nell’approcciare le palle alte al volo (o scarsa “convinzione”, dà sempre l’impressione di andare sullo smash per non sbagliarlo, mentre andrebbe tirato a chiudere in ogni caso, a questi livelli non puoi permetterti di appoggiare la palla di là), va a influenzare negativamente e a rendere incerto anche il resto del gioco a rete, e la cosa gli è già costata carissima.

L’ormai famigerata volée alta in semifinale al Roland Garros contro Nadal, che Nole ha approcciato goffamente proprio in ricerca di una posizione corretta dei piedi, senza il minimo automatismo degli appoggi, per poi inciampare e finire nella rete (ma anche diversi smash non chiusi, almeno tre nelle fasi finali e decisive di quella partita), oppure il bruttissimo errore sul match-point contro Wawrinka in Australia, peso da una parte e palla dall’altra in conseguenza di un serve&volley senza senso, sono stati episodi che hanno condizionato pesantemente i risultati di Djokovic, che avrebbe potuto tranquillamente vincere quei due tornei (trovo difficile immaginare Ferrer che batte Djokovic in finale a Parigi 2013, o Nadal acciaccatissimo – o Berdych – che lo superano a Melbourne 2014). L’ultimo esempio contro Simone Bolelli a Pechino, in un match altrimenti perfetto e dominato dall’inizio alla fine: secondo set, 1-0 Bolelli, 15-15, due smash deboli e mal piazzati, sul secondo arriva giustamente la pallata nei piedi da parte di Simone. Davvero, davvero strano che uno come Becker, che con la palla sopra la testa faceva quello che voleva, non sia ancora riuscito a sistemare questo ultimo tassello tecnico che farebbe di Nole un campione senza difetti. E già è praticamente imbattibile così, figuriamoci.

In conclusione, anche per ricordarci doverosamente che stiamo analizzando i migliori della storia nel nostro sport, proviamo a fare l’inverso del comune giochino di fanta-tecnica in cui si prendono i colpi migliori di tutti i tennisti del passato e del presente per costruire l’immaginario campione perfetto, e mettiamo invece insieme le esecuzioni meno buone. Un giocatore con il servizio di Rios, il dritto di Edberg, il rovescio di Courier, la mobilità da fondo di Becker, le volée di Muster, lo smash di Djokovic, e la voglia di allenarsi di Safin… beh, credo starebbe nei primi 50 al mondo lo stesso. Tanto per ribadire quanto tutto sia relativo, e quanto forti siano certi campioni in ogni caso. Per chi volesse divertirsi a mettere insieme, come detto, le esecuzioni migliori dei 25 numeri uno di cui abbiamo parlato, passo la parola ai lettori, ma non ho dubbi che potrebbe venirne fuori qualcosa di pazzesco.

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