Il dilemma di James Blake: fino a che punto spingersi per diventare un attivista?

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Il dilemma di James Blake: fino a che punto spingersi per diventare un attivista?

L’ex numero 4 del mondo ha parlato dopo essere stato erroneamente arrestato dalla polizia. Ma potrebbe esserci un limite al suo desiderio di combattere. Fino a che punto un atleta è pronto a spingersi per farsi portavoce dei più deboli?

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Fino a che punto un atleta professionista è pronto per diventare un’attivista?
Fino al giorno in cui un ufficiale della polizia di New York che risponde al nome di James Frascatore si è fiondato sul marciapiedi della 42esima strada in una mattina di Settembre, l’ex campione di tennis James Blake era un uomo famoso a proprio agio con una vita pubblica che era stato in grado di controllare.

La sua era principalmente l’immagine di un atleta. Aveva una fondazione per la ricerca medica, il suo obiettivo quello di aiutare i ricercatori a sconfiggere il cancro, la malattia che gli uccise il padre nel 2004. Il suo messaggio era modellato dall’aiuto della IMG, una delle più grandi firme imprenditoriali nel mondo dello sport. È sempre stato premuroso, interessante e ha sempre mostrato di sé l’immagine di un uomo che teneva a qualcosa oltre al tennis e ai soldi, nonostante fosse abbastanza bravo da raggiungere il n.4 del mondo. In quanto figlio di madre bianca e padre nero, la sua opinione veniva chiesta riguardo ad alcuni casi di razzismo nello sport. Ma non è mai stato un attivista. Era un tennista con una storia unica alle spalle e una coscienza. E per molti anni questo lo ha reso socialmente aperto.

Poi Frascatore ha placcato Blake di fronte al Grand Hyatt, bloccandolo al suolo e ammanettandolo in un caso di scambio d’identità andato a finire male. Nel momento in cui Blake ha parlato della vicenda si è trasformato in un volto famoso per questioni per le quali non si era mai esposto pubblicamente. “Stiamo parlando di uno dei temi più caldi di questo paese in questo periodo: la questione delle vite delle persone di colore e della brutalità della polizia”, ha affermato Mark Winston-riffith, direttore esecutivo del Brooklyn Movement Center, un braccio della United Police Reform, un gruppo di controllo presente a New York.

L’attacco nei confronti di Blake ha già avuto un impatto, dal momento che il dipartimento di polizia di New York ha annunciato delle nuove linee guida proprio questa settimana, delineate per limitare l’eccessivo uso della forza attraverso il rinnovamento dei sistemi di localizzazione e minacciando il lavoro degli ufficiali che non intervengono quando i loro colleghi utilizzano la forza in modo eccessivo nei confronti di uno sospetto.

Ed è qui che sorge il dilemma per Blake. Fino a che punto è deciso a diventare un attivista contro la brutalità della polizia? Il mese scorso c’è stato un incontro tra Blake, il sindaco di New York Bill de Blasio e il commissario di polizia William Bratton. Hanno discusso dei cambiamenti da intraprendere nel modo in cui gli ufficiali di polizia dovranno interagire con i cittadini.
“Voglio che sia chiaro che sto cercando di aiutare quelle persone che non hanno una voce”, ha affermato Blake in una recente intervista a ESPN, riferendosi al suo nome e alla sua celebrità. “La violenza emerge troppo spesso e troppo spesso accade con la polizia. Ci sono degli aspetti che necessitano di un cambiamento. Dobbiamo avere la certezza che ufficiali come questo non mostrino le loro pistole e i loro distintivi sentendosi invincibili solo perché posseggono quel distintivo”.

Non ha quindi aggiunto altro, lasciando una naturale tensione tra i bisogni degli attivisti come Winston-Griffith, che avrebbe voluto che Blake facesse di più oltre ad incontrare il sindaco, e lo stesso Blake, che deve soppesare la vicenda, e capire quando vuole essere dipinto come portavoce di un problema che non era originariamente il suo. Chi gli sta vicino non parla. La madre, Betty, che ha pubblicamente criticato l’aggressione nei giorni successivi all’avvenimento, non ha più rilasciato alcuna intervista. La sua consulente per i media, Mary Jane Orman, ha dichiarato che stanno lavorando al prossimo passo e che Blake parlerà ancora nelle prossime settimane quando avranno messo a punto i loro piani.

“Sono preoccupato perché ho l’impressione che mentre l’incontro con De Blasio e Bratton sia stato esclusivamente politico, non credo che Blake abbia parlato molto con gli altri che lottano da anni con queste problematiche”, ha dichiarato Winston-Griffith. “ Quell’incontro non era basato sulla prospettiva di un’intera città, ma come individuo. È come se avesse detto loro: ‘ Avete capito la mia preoccupazione, grazie tante. Adesso posso andare avanti’. È stata un’occasione mancata per capire più in profondità cosa sta succedendo”.

A Winston-Griffith piacerebbe che Blake assumesse un ruolo più preponderante, specialmente perché Frascatore è stato nominato più volte in numerose cause per i diritti civili che sostenevano un suo uso eccessivo della forza. Subito dopo l’aggressione dell’Hyatt, Winston-Griffith ha preso parte ad un incontro che includeva anche uno degli avvocati di Blake in una stazione radio di New York, Hot 97.  Ha dichiarato di aver avuto una bella conversazione con l’avvocato e che insieme hanno parlato dei modi in cui Blake potrebbe aiutare il movimento contro l’eccessiva brutalità della polizia di New York.

Ma quando ha successivamente cercato di contattare l’avvocato, non ha mai ricevuto risposta. “Io chiedo a Blake: qual è il tuo obiettivo? Hai intenzione di intentare una causa? Il suo incontro con il commissario di polizia ha chiuso la vicenda in modo ordinato”.

Gli atleti famosi, che siano essi in attività o meno, affrontano una pressione maggiore rispetto alle altre persone. Dato che il successo da loro un profilo molto alto, molti sono spesso diffidenti nell’affacciarsi a vicende che possano danneggiare la loro immagine o che possano costargli il supporto verso cause che sono per loro importanti.

“Credo che molti di loro siano abbastanza intelligenti da sapere quali possano essere le conseguenze dell’esporsi mediaticamente, specialmente se sono ancora in attività”, ha dichiarato Chris Kluwe, ex giocatore della NFL, che è divenuto un sostenitore delle nozze omosessuali quando era ancora in attività. “ Blake è solo un ragazzo che è stato preso in messo dalle circostanze e ora gli si fa pressione affinché parli. Ma dipende da lui se ha intenzione di farlo”.

Kluwe era un kicker per i Minnesota Vikings e non un attivista politico quando Minnesotans fo Marriage Equality gli chiese se avesse voluto sostenere l’emendamento del 2012 per la legalizzazione del matrimonio omosessuale nello stato. A quel tempo il suo account Twitter era dedicato esclusivamente alla sua passione per i giochi come World of Warcraft e a qualche feroce ed occasionale critica alle politiche della NFL. Ma anche in quei post emergeva come un atleta che aveva il desiderio di prendere parte alle cause sociali e così che l’organizzazione gli inviò un messaggio via Twitter. Ci chiediamo, ti piacerebbe aiutarci?

“È stato un salto nel buio”, dichiara oggi Kluwe.

Non ha esitato a dire sì.

Nei successivi mesi, Kluwe è diventato uno dei più grandi sostenitori dei matrimoni omosessuali. Diede al movimento qualcosa di cui avevano estremo bisogno: la voce di un eterosessuale, un atleta professionista che proviene da un mondo in cui pochi hanno il coraggio di parlare apertamente delle problematiche che devono affrontare gli omosessuali.  Dal momento che molte celebrità offrivano un tiepido supporto, lui ha totalmente abbracciato questo ruolo. È stato un grande trascinatore della parata Twin Cities Pride, è apparso all’Ellen DeGeneres Show per parlare di matrimoni gay ed ha posato senza maglietta su Out Magazine.

Alla fine della stagione i Vikings lo hanno fatto fuori. Hanno detto che le sue performance erano drasticamente calate – qualcosa che le statistiche non riflettevano in maniera convincente – ma anche che era diventato qualcosa che le organizzazioni di football odiano: una distrazione. Prese parte alle agli allenamenti con gli Oakland Raiders l’anno successivo, ma non fece mai parte della squadra. La sua carriera era finita.

“Dentro di me non c’è alcun dubbio”, ha detto Kluwe quando gli è stato chiesto se fosse stato licenziato a causa del suo attivismo. “ Tutto quello che dovete fare è guardare alla carriera media dei kickers NFL. Una volta superati i sette anni tendi ad avere una carriera molto lunga. Le statistiche non sono cambiate. Le dichiarazioni si”. Ha poi dichiarato che il suo position coach nei Vikings aveva fatto delle osservazioni omofobe e che il suo head coach, Leslie Frazier, gli aveva detto di smetterla di parlare di matrimoni gay. Le sue accuse e una successiva indagine nella NFL ha aperto un dialogo che i professionisti di questo sport non avevano mai avuto sulle questioni omosessuali e che probabilmente ha contribuito a portare al contratto nel 2014 del primo giocatore apertamente gay della lega, Michael Sam.

Ma la conclusione in Minnesota è stata sgradevole, e ha infranto qualunque speranza per Kluwe di continuare a giocare a football. Lui dice che gli importa. “È più importante fare del mondo un posto migliore”, ha dichiarato. E dunque come possono tanti altri atleti – in attività o meno – avere il desiderio di prendersi un tale rischio?
Nell’intervista con ESPN, Blake ha ammesso di essere talmente imbarazzato per il suo arresto che non voleva nemmeno che fosse sollevata attenzione su quello che era accaduto. Solo quando ha raccontato alla moglie cose gli era successo e dopo che lei le ha detto: “E se ci fossi stata io al tuo posto?”, si è arrabbiato molto.

“Tutto ciò mi ha costretto a diventare un portavoce, che io lo voglia o meno”, ha detto. “Inizialmente ho pensato che non ne avrei preso parte, finché non ho capito che poteva succedere a chiunque. Ed è in quel momento che ho capito quanto fosse un lavoro da fare e quanto fosse necessario. Non era qualcosa di cui potevo dibattere seduto da qualche parte. Era qualcosa che sentivo di dover fare”.
Nel raccontare l’episodio di cui è stato protagonista, Blake ha detto praticamente tutto. Mentre alcuni testimoni lo avevano riconosciuto mentre veniva arrestato – l’aggressione è avvenuta fuori da un affollato hotel vicino alla Grand Central Station – avrebbe potuto scegliere di non dire nulla una volta che l’errore sarebbe emerso  e non sarebbe mai divenuta una notizia.

“Credo che abbia già fatto abbastanza”, ha dichiarato Brigitt Keller, direttore esecutivo del National Police Accountability Project, organizzazione impegnata nel proteggere i diritti dei cittadini negli scontri con la polizia. “È certo importante notare che Blake è un uomo di colore, un uomo di colore ben vestito di fronte ad un hotel e che non stava facendo nulla di diverso o insolito. Capisco che ci sia stato uno scambio d’identità ma perché è importante attaccare qualcuno con tale violenza – qualcuno che non sembrava stesse prendendo parte ad un atto criminale.”
Ha anche aggiunto che il modo in cui Blake è stato bloccato ha fatto emergere quanto fosse “chiaro che il fattore razziale abbia avuto un ruolo”.
Il fatto che Blake abbia protestato per l’aggressione ha fatto si che in molti capissero che spesso cittadini innocenti vengono attaccati in maniera altrettanto violenta, ha dichiarato.
“Devo dire di essere molto riluttante nel dirgli quanto altro ancora lui possa fare”, ha aggiunto Keller.

Anche Winston-Griffith la pensa così. È sempre stato diffidente nel coinvolgere le celebrità perché ad un certo punto “i miei obiettivi e i tuoi obiettivi divergeranno”. Spera ancora che Blake possa avere un ruolo di primo piano. Vorrebbe che il campione di tennis potesse ascoltare le persone con le quali lavora, sentire le loro storie e capire la frustrazione dovuta al fatto che la città non ha mai affrontato veramente il comportamento della polizia. La sua più grande paura è che Blake possa accettare le spiegazione dategli dagli ufficiali  – che ci sono pochi poliziotti zelanti e che hanno bisogno di essere addestrati meglio – e crede che il cambiamento sia imminente.

Per ora Blake sta soppesando le sue prossime parole riguardo a cosa è successo a New York, chi gli sta vicino afferma che presto parlerà. Data l’esplosività della questione potrebbe scontentare molte persone con ciò che dirà. Ed è questo il dilemma degli atleti che lottano come attivisti; il rischio di alienarsi i propri sostenitori, fans e sponsor è reale. La politica ha sempre un prezzo. “Se l’aggressione non fosse stata ripresa non so in quanti mi avrebbero creduto”, ha dichiarato Blake spiegando il perché vuole parlarne.

Dopo che Kluwe è stato esiliato dal football ha incontrato un allenatore di una scuola superiore ad un gruppo di supporto per atleti gay. L’allenatore gli ha stretto la mano dicendo: “Ciò che stai facendo salverà molte vite. Ci sono ragazzi dove insegno che non hanno commesso un suicidio solo grazie a ciò che stai facendo”.

Kluwe ha sospirato commosso al telefono mentre raccontava questa storia.

“Oh mio Dio”, ha detto.

Se è valsa la pena rischiare la propria carriera per diventare un attivista?
Le parole di quel coach saranno per sempre la sua risposta.

 

 

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