Quello sporco meraviglioso ultimo game: quando il quinto set diventa epico

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Quello sporco meraviglioso ultimo game: quando il quinto set diventa epico

La scelta dell’ITF di introdurre il tiebreak decisivo nel quinto set delle partite di Davis, è un’occasione per ricordare alcuni momenti storici del nostro sport. Isner e Mahut certo, ma anche McEnroe, Federer e Nadal, Lendl, Becker… Sarebbero stati altri giocatori?

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Cosa trasforma un comune incontro di tennis in qualcosa di epico? La posta in palio? L’attrattiva che i protagonisti in campo esercitano sul pubblico? Magari la mera bellezza tecnica dei colpi messi in mostra? Oppure l’avvenimento di qualcosa, nel corso del match, che esula dalla partita stessa? O forse, più semplicemente, la durata stessa dell’incontro? La finale di Wimbledon 2008 fra Federer e Nadal, sarebbe stata altrettanto epica se a giocarla fossero stati Isner e Mahut? Nessuno si scandalizzerà se rispondiamo con un secco no. Eppure i due sono entrati nella storia del tennis. Tutti ricordano il match disputato dai due contendenti sull’erba dei Championships, e per tutti intendiamo davvero tutti. Non soltanto gli appassionati di tennis. Perché? Semplicemente perché è durato tre giorni. Bene, se quell’incontro non si fosse giocato a Wimbledon, bensì a New York, probabilmente oggi nessuno lo ricorderebbe. E non per la location, per l’importanza del torneo o vedete voi per chissà quale diavoleria. Ma perché a New York, sul punteggio di 6-6 pari al quinto, si sarebbe giocato un tiebreak decisivo. I due protagonisti non avrebbero una pagina nella storia del tennis.
Match epici conclusi al tiebreak del quinto set ne abbiamo avuti diversi, ricordiamoli insieme. E alla fine provate ad immaginare cosa sarebbero diventati se si fossero giocati sulla lunga distanza…

Boris Becker b. Ivan Lendl 5-7 7-6(5) 3-6 6-2 7-6(5) (Masters 1988, finale)

Alcune immagini riecheggiano ancora oggi nella nostra mente: l’invasione di campo di un tifoso di Becker e quella bandiera tedesca appoggiata sulle sue spalle; il volto deluso di Lendl che saluta l’arbitro con un gesto della mano; quell’interminabile scambio durato un minuto e ben 37 colpi sul match point. E soprattutto quella palla che rimbalza sul nastro e cade beffarda pochi centimetri dopo la rete, nel campo di un attonito Lendl che si incammina mesto verso la rete, e che regala la vittoria al 21enne tedesco che lancia la racchetta in tribuna. Un match epico, giocato da entrambi in maniera sublime, che avrebbe meritato di terminare senza un vincitore. E che invece si conclude con un colpo fortuito, infame persino. Tiebreak fatale, mai così tanto.

Jimmy Connors b. Aaron Krickstein 3-6 7-6(8) 1-6 6-3 7-6(4) (US Open 1991, quarto turno)

“This is what they pay for. This is what they want”. Sono le parole gridate da Jimmy Connors verso la telecamera negli ultimi istanti che lo separano da uno dei tiebreak più importanti della sua carriera. Nel giorno del Labor Day, nel giorno del suo 39esimo compleanno, Jimbo si appresta a servire il primo punto del gioco decisivo. Dall’altra parte della rete ci sarebbe un altro americano come lui, Aaron Krickstein, ma il Louis Armstrong è tutto schierato dalla parte di Connors. E lui non lo deluderà. Sotto 2-5 nel quinto set, trascinato da un pubblico sempre più infuocato, in piena trance agonistica dopo 4 ore e 41 minuti di gioco trascina quell’epica battaglia al tiebreak decisivo, vinto per 7-4 a forza di fist-pump. Perderà poi in semifinale contro Jim Courier ma poco importa. La traccia indelebile su quel torneo lui l’aveva già lasciata, quel 2 settembre del 1991.

Pete Sampras b. Alex Corretja 7-6(5) 5-7 5-7 6-4 7-6(7) (US Open 1996, quarti di finale)

Uno stremato“Pistol” Pete viene accompagnato fuori dal campo dai medici e cade fra le braccia della fidanzata, sussurrando fra le lacrime cinque indelebili parole: “This one is for Tim”. La dedica è per Gullikson, allenatore e grande amico di Sampras, morto quattro mesi prima. Per una volta la storia non l’ha fatta la finale – giocata e vinta da Pete in tre set contro Michael Chang – ma l’incontro di quarti giocato contro un Corretja che disputa, come lui stesso dirà, “il migliore incontro della mia vita. Il migliore e il peggiore”. Il pubblico è attonito di fronte alle difficoltà tecniche e soprattutto fisiche dell’eroe di casa, condizionato dai crampi e in preda a conati di vomito nel corso di quel tiebreak decisivo. Ma l’orgoglio del campione, la forza d’animo e quella voglia – manifestata successivamente con quelle cinque parole – di regalare un’impresa al suo amico scomparso, lo trascinano, inspiegabilmente?, fino al trionfo nel tiebreak. Corretja crolla facendo doppio fallo sul match point e Sampras si aggiudica gioco decisivo e incontro per 9 punti a 7 dopo aver annullato anche un match point ed essersi procurato l’occasione di chiudere la partita con un ace sulla seconda palla di servizio. Quel giorno Sampras non sarebbe crollato nemmeno sul 12 pari, tanta era la forza interiore che lo pervadeva. Lo spagnolo rimane seduto a lungo sulla sua sedia a bordo campo, la testa avvolta nell’asciugamano, così come il pubblico americano, ancora elettrizzato, ancora sotto shock, mentre Pete già negli spogliatoi piangeva, piangeva, piangeva.

Rafael Nadal b. Roger Federer 6-7(0) 7-6(5) 6-4 2-6 7-6(5) (Roma 2006, finale)

La partita più lunga mai giocata dai due eterni rivali. “Una partita che avrei dovuto vincere”, dirà Federer. 5 ore e 5 minuti di gioco di massima intensità. La finale di Parigi che non abbiamo mai avuto. Sembrava fatta per Roger. Nel quinto set, sul punteggio di 4-1 in suo favore sembrava davvero fatta. Ma non lo era. Così come non lo era sul 6-5 15-40 sempre per lo svizzero, che con il dritto sprecava entrambi i match point sul servizio dell’avversario. E non lo era nemmeno sul punteggio di 5-3 in favore di Federer nel tiebreak decisivo, che finiva per perdere i quattro punti successivi, tradito nuovamente dal dritto. Quella che già allora sembrava una grande impresa – Rafa veniva da una striscia di 52 partite vinte consecutivamente sul rosso, eguagliando quel giorno il record di 53 stabilito da Vilas nel 1977 – si trasformò invece in uno dei più grandi rimpianti della carriera di Federer, che disputò una delle sue migliori partite di sempre sul rosso ma uscì comunque sconfitto. Ad un passo dal sollevare quel trofeo che ancora oggi continua a mancare nel suo palmares, e che forse non arriverà mai.

John McEnroe b. Mats Wilander 9-7 6-2 15-17 3-6 8-6 (Davis Cup 1982, quarti di finale)

6 ore e 22 minuti. Fino a pochi mesi fa il più lungo incontro mai disputato in Coppa Davis. Un record che ha resistito per ben 33 anni, prima di essere superato dal match disputato quest’anno da Joao Souza e Leonardo Mayer (6 ore e 43 minuti). Stati Uniti e Svezia sono ferme sul punteggio di 2 pari, quando l’11 luglio del 1982, John McEnroe e Mats Wilander scendono in campo sul carpet indoor di St. Louis. Lo statunitense conquista i primi 2 set e si porta avanti di un break anche nel terzo (2-1) prima di subire la straordinaria rimonta dello svedese che trascina la conclusione del match al quinto set. Sul punteggio di 7-6 in favore di McEnroe arriva il break decisivo, con Wilander che affossa un dritto in rete sul match point. Una vittoria che Mac definirà la più importante della sua carriera a livello di Coppa Davis e che trascinerà gli Stati Uniti alla vittoria finale. “Quando giochi per il tuo paese e vinci incontri di questo tipo, hai la sensazione di aver vinto per qualcos’altro oltre te stesso.

Andy Roddick b. Younes El Aynaoui 4-6 7-6(5) 4-6 6-4 21-19 (Australian Open 2003, quarti di finale)

Per sette anni il più lungo quinto set dell’Era Open. Fino all’avvento di Isner e Mahut. Un’autentica battaglia di 4 ore e 59 minuti. L’abbraccio fra i due eroi a fine partita racconta una storia entusiasmante, emozionante e commovente. “Da quel giorno nessuno mi ha più scambiato per James Blake”, racconta Younes. Una lotta estrema, con il tempo, il fisico e i nervi. Con l’avversario che lentamente si trasforma da “nemico” a compagno di avventura e di mille emozioni. Con i due che, come dirà Roddick, finiranno per condividere qualcosa di speciale, qualcosa che solo chi vive di sport può capire. Un legame che sfocia in un momento in cui l’agonismo e la ricerca della vittoria vengono messi da parte: sul punteggio di 19 pari nel quinto set, entrambi i giocatori cedono le loro racchette ai raccattapalle che si improvvisano giocatori, mentre i due grandi protagonisti si prendono qualche istante di riposo di fronte ai 13000 spettatori della Rod Laver Arena, sempre più in visibilio. Al rientro in campo Roddick otterrà il break decisivo, raggiungendo la prima semifinale Slam della sua carriera. Per El Aynaoui il riposo dei giusti e un posto di diritto nella storia del tennis.

Rafael Nadal b. Roger Federer 6-4 6-4 6-7(5) 6-7(8) 9-7 (Wimbledon 2008, finale)

Dopo 5 anni di dominio assoluto, Rafa strappa dalle mani di Roger lo scettro di Wimbledon e lo fa al termine di una partita che ha segnato non solo la più grande rivalità del tennis moderno ma forse persino la storia stessa di questo sport. Nadal batte il rivale nel giardino di casa sua, impresa mai riuscita a Federer sulla terra rossa del Roland Garros. Un match in cui la qualità del tennis espresso dai due, soprattutto nel quinto set, ha raggiunto picchi di livello impensabili (149 vincenti in 2, quasi il doppio degli errori gratuiti). Di quella storica finale si è davvero parlato fin troppo. Rimane poco da dire. In questa sede proviamo allora ad analizzarla da una differente prospettiva. Cosa sarebbe successo se il match si fosse concluso al tiebreak decisivo? Avrebbe avuto un esito diverso? Vale la pena ricordare che Federer aveva vinto entrambi i tiebreak disputati in quello splendido incontro (nel terzo e quarto set) e forse, forse, avrebbe avuto un innegabile vantaggio emotivo nell’approcciare quegli istanti decisivi. I due tiebreak persi nei set precedenti avrebbero anche potuto lasciare un segno nella belva che era allora Nadal. E chissà, magari il Re si sarebbe aggiudicato quel match cambiando per sempre la storia. Una cosa è certa, tiebreak o non tiebreak, quella partita rimarrà sempre… LA Partita. “Un giorno, con il passare del tempo, penserò: ‘è stato davvero un grande match’. Come darti torto, Roger?

John Isner b. Nicolas Mahut 6-4 3-6 6-7(7) 7-6(3) 70-68 (Wimbledon 2010, primo turno)

Il match più lungo della storia del tennis. 70 a 68 al quinto set. E già qui potremmo fermarci, limitandoci a dire, sbilanciandoci un po’ almeno per una volta, che questo è un record che rimarrà tale. Così come gli altri stabiliti dai due in quel match. 215 ace in totale, 11 ore e 5 minuti di gioco spalmate su 3 giorni, 980 punti giocati per un totale di 183 giochi e un quinto set della durata di 491 minuti e 138 game su quel famigerato campo 18 (che ospitava appena 782 spettatori). Impossibile trovare un esempio migliore per ribadire quanto sbagliata sarebbe l’introduzione del tiebreak decisivo. Un pezzo di storia che oggi non esisterebbe affatto se quel giorno i due fossero stati costretti ad affidare la conclusione delle loro ostilità al gioco decisivo. Sarebbe diventato un match come tanti altri, che non avrebbe lasciato alcuna traccia nella nostra memoria. Perché negare a chiunque la possibilità di scrivere la storia del gioco? Per i profani, chi sarebbero oggi Isner e Mahut?
È stato lo stesso francese a raccontare un aneddoto divertente. Ad una cena di beneficienza si trovò a scambiare qualche parola con un altro ospite seduto vicino a lui, uno che come scoprirà in seguito, di tennis non sapeva assolutamente niente. “Come ti chiami?” gli chiese l’interlocutore. “Nicolas Mahut”. “Ah, allora sei quello che ha giocato quel match a Wimbledon… A proposito, ma quella partita l’hai vinta o no?”. Quella partita l’hanno vinta entrambi.

Abbiamo ricordato brevemente alcuni dei quinti set più emozionanti della storia del tennis. Per diverse ragioni, come detto in precedenza. Alcuni per i nomi in gioco, altri per l’importanza della partita o per la durata, alcuni per la forte carica emozionale suscitata nel pubblico o per il carisma di uno dei protagonisti, e altri ancora per singoli momenti che rimarranno per sempre impressi nella memoria collettiva. Ne sono rimasti fuori tanti altri – ce lo farete notare, ne siamo certi – ma tutto questo è stato fatto in un’ottica ben precisa: quella di capire se è davvero così necessaria l’introduzione del tie break decisivo nel quinto set. Potrebbe esserlo per le televisioni e per gli sponsor, forse anche per i giocatori stessi che vedono il loro fisico sottoposto a sforzi disumani – ma questo fa anche parte del gioco, o no? – ma non lo è per lo spettacolo e per la storia di questo sport. I match conclusi al tiebreak decisivo che abbiamo appena citato, sarebbero stati meno epici se si fossero giocati sulla lunga distanza? Sicuramente no. Anzi, probabilmente lo sarebbero ancora di più. Quelli invece in cui si è giocato il long set – mettiamo da parte per un attimo Federer-Nadal e McEnroe-Wilander che fanno storia a sé in virtù dei loro nomi – non sarebbero stati rapidamente dimenticati se si fossero conclusi sul punteggio di 6 pari al quinto? Chiedete a Isner e Mahut. Chi?

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