La WTA delle nazioni

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La WTA delle nazioni

Nel 2015 si sono affermate più giocatrici dello stesso paese: Timea Bacsinszky e Belinda Bencic, Carla Suarez Navarro e Garbiñe Muguruza, Lucie Safarova e Karolina Pliskova. Come mai?

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Questa settimana Timea Bacsinszky è entrata per la prima volta in top ten: va ad aggiungersi a Makarova, Suarez Navarro, Muguruza, Safarova e Pliskova, capaci dello stesso exploit nel 2015.
Come scrivevo nellarticolo di due settimane fa, negli ultimi venticinque anni non si era mai verificato un ricambio tanto veloce. Per trovare sei nuovi ingressi nelle prime dieci in una sola stagione occorre risalire al 1989, quando si arrivò addirittura a sette (Kat. Maleeva, Sanchez Vicario, Martinez, Rehe, Fernandez, Seles, Novotna).
In realtà quando avevo ventilato questa possibilità, pensavo che la sesta candidata sarebbe stata Belinda Bencic. Invece a riuscirci è stata Bacsinszky, la tennista svizzera più esperta. Diversa giocatrice, ma stesso paese; un aspetto che penso meriti di essere sottolineato: la crescita per nazioni che spesso si è verificata nelle recenti stagioni della WTA.

Nel 2015 non è solo la Svizzera che ha visto la scalata ai vertici di più di una tennista. Quest’anno sono entrate tra le prime dieci, dopo quindici anni di assenza, due spagnole. Anche loro nel giro di pochi mesi, a ricordare le imprese di un’altra coppia famosa, Arantxa Sanchez e Conchita Martinez.
In questa stagione per le spagnole è successo qualcosa di simile a quello che è accaduto alle svizzere: personalmente avevo puntato su Muguruza, che però è stata battuta sul tempo dalla più anziana Suarez Navarro. Colpisce che una esperta del circuito come Carla abbia compiuto il salto di qualità proprio nel periodo di grande crescita di una giovane connazionale.
E quest’anno in coppia non sono entrate solo le spagnole, è accaduto anche alle ceche: prima Safarova e dopo poche settimane Pliskova, che hanno raggiunto ai piani alti Petra Kvitova.

Questa modalità di crescita non è stata infrequente nelle ultime stagioni. Pensiamo ad esempio all’Italia: nell’agosto 2009 Pennetta entra, prima italiana, in top ten. Nel giugno 2010 ci riesce Francesca Schiavone: ciò che al tennis italiano non era mai riuscito in tutta la sua storia, si verifica due volte nel giro di pochi mesi.

Malgrado il tennis WTA sia oggi uno sport profondamente individuale, in cui ogni atleta ha il proprio team, si programma, si allena e si amministra singolarmente, sembrano dunque resistere alcuni aspetti che lo riconducono alla radice nazionale.
Questo legame per alcuni potrà risultare anacronistico, visto il contesto iperprofessionistico del circuito odierno: ma a mio avviso emerge come un dato difficile da negare. Lo rilevo senza pretendere di fare l’elogio del patriottismo, concetto che a volte si presta a strumentalizzazioni, ma come un elemento che permette di spiegare alcuni fenomeni.

Dopo periodi di crisi, o addirittura senza che ci fossero precedenti molto significativi, è accaduto nel recente passato che si siano affermate più giocatrici dello stesso paese.
E’ inevitabile pensare, ad esempio, alla Serbia, di Jankovic e Ivanovic: entrate in top ten nel 2007 (Jankovic in gennaio, Ivanovic in maggio) e poi numero uno del mondo nel giro di qualche settimana, tra il giugno 2008 (Ivanovic) e l’agosto dello stesso anno (Jankovic); malgrado i quasi tre anni di età di differenza, la loro affermazione è stata sostanzialmente contemporanea.
Ma anche le russe si sono affermate come gruppo: nel 2004 in quattro sono entrate per la prima volta in top ten (Petrova, Kuznetsova, Sharapova, Zvonareva) e in quella stessa stagione hanno vinto tre Slam su quattro (Myskina Roland Garros, Sharapova Wimbledon, Kuznetsova US Open).

E non si può dimenticare il caso forse più importante: la coppia belga Henin e Clijsters, che hanno portato ai vertici del mondo una nazione di pochi milioni di abitanti e con una tradizione relativamente limitata.
Nate ad un anno di distanza una dall’altra (Justine nel giugno ’82, Kim nel giugno ’83), ma entrate in top ten addirittura lo stesso giorno (11 giugno 2001), tutte e due numero uno per la prima volta nel 2003: Clijsters in agosto, Henin in ottobre. Poi Kim si ritira, e Justine segue a ruota; ed entrambe tornano un paio di anni dopo. Clijsters ed Henin sono arrivate a guidare il movimento tennistico femminile, disputando una contro l’altra tre finali Slam fra il 2003 e il 2004.

Sorprendentemente qualche settimana fa, a Flushing Meadows, anche l’Italia (con Vinci e Pennetta), si è aggiunta alla Russia (con Myskina, Kuznetsova, Dementieva, Safina), agli USA (con Venus, Serena, Davenport, Capriati) e appunto al Belgio come nazione capace in questo secolo di portare due giocatrici contemporaneamente in una finale di Major.
Ma non sono solo le italiane ad essere maturate come gruppo; pensiamo alla Germania che dopo gli anni difficili post Graf ha ritrovato un nucleo di tenniste di valore: Petkovic, Lisicki, Georges e Kerber. E oggi si affacciano Beck, Witthoeft e Friedsam.

Perché accade questo? La prima spiegazione che si potrebbe avanzare è molto semplice: perché le tenniste giocando una accanto all’altra possono crescere e migliorarsi reciprocamente. Perché alla base ci sono ancora le Federazioni e le scuole tennistiche.
Ad esempio Kvitova e Safarova si allenano nello stesso club, a Prostejov; e prima di seguire Petra Kvitova, David Kotyza aveva affinato la tecnica di Safarova.
Muguruza e Suarez Navarro vivono a stretto contatto durante i mesi dei tornei, e sono compagne di doppio. Un po’ come è accaduto per lungo tempo a Vinci ed Errani. In Russia, nella scuola dello Spartak Mosca si sono formate Dementieva, Myskina, Safina (e non solo).

Ma bisogna fare attenzione a non generalizzare: Sharapova è cresciuta negli Stati Uniti, Kuznetsova si è affinata in Spagna, così come Flavia Pennetta. Pennetta e Schiavone si allenavano in due nazioni differenti quando sono entrate in top ten.
Quindi la crescita di una nazione non deriva sempre da una guida tecnica comune; non è obbligatoria la vicinanza quotidiana, la relazione di chi matura nello stesso circolo (o academy, o club, che dir si voglia). Non è sempre così, e sarebbe superficiale voler spiegare tutti i fenomeni in un solo modo. Eppure si verificano comunque. Perché?

Secondo me è qualcosa che ha a che fare con legami meno evidenti, ma a volte anche più profondi.
Può essere una rapporto che deriva dal periodo giovanile, nato nei tornei locali, o nei raduni federali delle future promesse; una relazione magari quasi dissolta, ma che ha segnato la formazione di una giocatrice e può riaffiorare a distanza di anni in termini di confronto.
Oppure il rapporto deriva dalla convivenza nei turni di Fed Cup, quando ci si ritrova insieme, a lavorare e misurarsi con una guida e un obiettivo comuni. O dalla frequentazione, anche solo per ragioni di lingua, durante le peregrinazioni a cui obbliga il circuito. Oppure, semplicemente, dall’essere abitualmente trattate come un gruppo dai media della propria nazione, e spesso anche dai tifosi.

E così, per uno o più di questi motivi, le altre tenniste dello stesso paese finiscono per diventare il primo termine di paragone di ogni giocatrice: un paragone che agisce come stimolo.
Lo stimolo può nascere da sentimenti positivi, come la stima e l’amicizia, ma anche negativi, come l’antipatia o perfino l’invidia. E’ impossibile entrare nella testa di ogni tennista per sapere che cosa le spinge nel profondo. Semplicisticamente, potremmo dire che ciò che conta è che si finisca per pensare all’incirca: “Se ce l’ha fatta lei, allora posso farlo anch’io”.
E’ il punto di partenza determinante, rafforzato dal fatto che l’obiettivo raggiunto dalla propria connazionale non è più astratto, è diventato reale. E se poi, oltre a questo, si instaura un meccanismo di superamento reciproco dei limiti, allora il progresso è ancora maggiore.

Ivanovic e Jankovic hanno spesso vissuto momenti di attrito e polemica; ma alla fine sono cresciute insieme. E spingendosi in alto l’una con l’altra, hanno portato il tennis serbo davanti a quello di molte altre nazioni, sino ai vertici mondiali.
Francesca Schiavone è stata la seconda italiana ad entrare in top ten, ma la prima a vincere uno Slam. E dopo di lei altre giocatrici l’hanno seguita nella finale dei Major (Errani, Vinci) e Pennetta è riuscita alla fine a vincerlo. Ma anche Roberta Vinci al momento di scendere in campo contro Serena a Flushing Meadows potrebbe avere ricevuto una iniezione di fiducia dalla vittoria di Flavia Pennetta contro la numero due del mondo, Simona Halep.

Certo, per arrivare tanto in alto non basta lo spirito di emulazione, ci vuole alla base un talento fuori dal comune. Per questo invito a non fermarsi ai casi più famosi, ma ricordo anche situazioni meno eclatanti.
Ad esempio l’Inghilterra: i migliori risultati degli ultimi anni Robson e Watson li hanno ottenuti negli stessi mesi, alla fine del 2012. In settembre Laura Robson, diciotto anni, sconfigge Clijsters e Li Na agli US Open e poi raggiunge la finale a Guangzhou, prima inglese a riuscirci dal 1990; tre settimane dopo Heather Watson, venti anni, vince il torneo di Osaka. Una inglese non vinceva un torneo WTA dal 1988.
Dichiara Heather dopo la vittoria: “Laura ed io siamo salite insieme nel ranking. Siamo tutte e due molto competitive, per questo vedere l’altra fare bene ci spinge reciprocamente. Sapere che Laura l’altra settimana ha giocato bene in Cina mi ha assolutamente motivata. Penso che sia una grande cosa, anche perchè siamo buone amiche fuori dal campo”.

Segnalo due casi recentissimi. Romania: Irina Camelia Begu, venticinque anni, ha ottenuto proprio questa settimana il best ranking in carriera (numero 25), e non è insensato pensare che l’esplosione di Simona Halep possa essere stata uno stimolo.
Ucraina: Lesia Tsurenko, ventisei anni, ha anche lei raggiunto il proprio best ranking quest’anno (numero 37, settembre 2015), quando da poco si è affacciata tra le prime la giovane Svitolina.

Naturalmente è impossibile avere la certezza che tutti gli esempi che ho citato (ma se ne potrebbero ricordare altri) siano da leggere in questa chiave. Anzi, pretendere di spiegarli solo in questo modo è sicuramente eccessivo. Però appare altrettanto difficile pensare che possano essere tutti solamente il frutto del caso, e che la nazionalità non sia stato un fattore di cui tenere conto.

Anche per questo mi aspetto che Bencic finirà presto per raggiungere Bacsinszky tra le migliori dieci del mondo. Mi sembra un fatto ineluttabile, e solo qualche problema fisico potrebbe negare a Belinda l’ingresso tra le migliori. Il suo tennis è troppo solido e costante per impedirle di riuscirci. E anche la Svizzera avrebbe due nuove top ten nel giro di pochi mesi.

Ma non è solo la Svizzera ad essere in rampa di lancio, altre nazioni potrebbero salire alla ribalta, misurandosi con scuole, come quella ceca, che hanno tanti rincalzi e ottime junior in prospettiva.
Ci sono gli Stati Uniti, che dopo il periodo di vuoto alle spalle delle sorelle Williams, possono sperare di affermarsi con un nuovo gruppo di giovani (Keys, Stephens, Vandeweghe, McHale, Davis).
Situazione promettente anche per la Francia con Mladenovic, Garcia, Cornet e poi Dodin.
Ma anche il Canada potrebbe sorprendere, se Bouchard ritrovasse la vena dei giorni migliori, stimolando una giovane promessa come Françoise Abanda.
E chissà che l’impulso di Joanna Konta non aiuti a fare ripartire il tennis inglese, magari grazie anche al ritorno della sfortunatissima Laura Robson.

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