Gli italiani vogliono più padel: intervista a Dante Luchetti

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Gli italiani vogliono più padel: intervista a Dante Luchetti

Da Canas a Moya, passando per Robredo e Feliciano Lopez, è praticato da quasi tutti i tennisti e gli ex tennisti ispanici. Abbiamo intervistato Dante Luchetti, italo-argentino che sta portando il padel nella terra delle sue radici

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Una nuova razza di giocatori sta lentamente invadendo i circoli di tennis italiani, armati di racchette lunghe 45 cm, dal profilo considerevole (35-38mm), e pronti a giocare sulle sponde che circondano i loro campi da gioco manco si trovassero all’interno di un gigantesco flipper. I loro colpi hanno nomi esotici: “vibora” (in italiano vipera) che somiglia ad uno slap molto liftato e dal rimbalzo quasi inesistente, “bandeja” (in italiano vassoio) che è un colpo alto effettuato con la palla più bassa e laterale dello smash che porta a schiacciare la palla conferendole un notevole effetto, e lo “smash con uscita per 3 metri” che consiste in uno smash tattico molto liftato che ha l’obiettivo di fare sponda sulle pareti per uscire dalle “porte” poste al centro del campo, portando letteralmente l’avversario al di fuori di questo. Il padel, o paddle se preferite dirlo all’inglese, sta vivendo un momento felice e, una volta partito dal Messico (dove la leggenda vuole che sia nato per errore a causa di un messicano benestante che voleva un campo da tennis in un giardino circondato dalle mura dei vicini e nel quale si è accorto troppo tardi che il campo da tennis proprio non ci stava), invasi Sudamerica e Spagna sta iniziando a mettere le radici anche nello stivale. Complici di questo successo sono stati gli Internazionali d’Italia: le persone che hanno avuto modo di vedere i match allestiti o di calcare i campi, tra questi un’entusiasta Francesco Totti e Marcello Lippi, sono stati conquistati da questo gioco altamente spettacolare. Roma è capitale italiana anche del padel, in quanto già da diversi anni i circoli pionieri hanno costruito i primi campi, seguita da Bologna e Como mentre negli ultimi due anni si è verificata “l’invasione” della Romagna con aperture a Ravenna, Cervia, Misano Adriatico, Pesaro e Fano. Ed è proprio a Misano che abbiamo incontrato Dante Luchetti, italo-argentino vincitore del Masters Series di Roma nel 2011 nonché terzo ai Campionati Europei del 2006 con i colori dell’Italia. Non avendo alcuna conoscenza di padel era difficile immaginarne un atleta tipo, magari un gigante alla Djokovic o alla Michele Cappelletti del beach tennis, quando invece si presenta una persona sui 170 cm e dal fisico assolutamente normale. Vedendo nei campi del circolo giocare alcuni ragazzi all’interno della “gabbia” la prima domanda è spontanea:

È un passaggio difficile quello dal tennis al padel?

No, anche se i colpi e le impugnature sono abbastanza diversi e c’è da imparare a giocare con le sponde. Per potere giocare divertendosi bastano poche ore di pratica mentre per giocare ad un certo livello i tempi si allungano. Ho visto adattarsi molto bene al padel i giocatori di beach tennis, Antomi Ramos (ndr: n.11 del ranking ITF di beach tennis) è un talento anche su questi campi.

Come deve essere il giocatore tipo di padel?

Non c’è una corporatura più ideale di altre… Il fisico è molto meno predominante dell’esperienza, del ritmo, della sensibilità sulla palla e della pratica del gioco: se sai come muoverti bastano due passi ed è la pallina ad arrivare da te. Ed ecco perché nei top 10 troviamo molti giocatori over 30: conoscono il campo a memoria e quando vedono una pallina partire sanno esattamente come rimbalzerà sulle sponde.

Come mai ha così tanto successo tra i giocatori di tennis?

Credo che sia perché sviluppa molto la sensibilità sulla palla. Giocatori come Sara Errani e Tommy Robredo ci giocano un paio di volte alla settimana, Djokovic  e Nadal ci hanno provato mentre a Roma vedevo Feliciano Lopez fare delle partite di padel una volta terminate le sue partite di tennis agli Internazionali d’Italia. Quando a tennis gioca il doppio capita spesso di vedergli fare la bandeja che è un colpo tipicamente da padel.

Meglio la scuola spagnola o quella sudamericana?

Gli spagnoli sono bravissimi ma i sudamericani arrivano in Europa con la fame, devono giocare per mangiare. Quando nel 2011 ho vinto al Master Series di Roma ho dovuto dormire la prima notte e quella prima della finale in aeroporto perché non avevo soldi… Ma quando sono sceso in campo per la finale avevo una carica tale che sapevo che non avrei potuto perdere.

Quello spagnolo è un movimento che funziona?

In Spagna ci sono 4 milioni di giocatori di padel, in tv c’è una trasmissione che parla di questo sport e ai campionati spagnoli hanno partecipato 732 coppie… Ci sono bambini che crescono giocando a padel come loro sport principale. Ma in tutto il mondo questo movimento sta crescendo: nei principali tornei di tennis è ormai normale trovare campi di padel nelle fans zone e dopo del Roland Garros (Henri Leconte è uno dei più grandi sostenitori di questi racchettoni al di là delle Alpi) anche Montecarlo e persino Wimbledon hanno creato i loro campi.

In Italia come vanno le cose?

L’Italia sta vivendo un boom e dopo Roma si stanno aprendo campi anche al nord. La federazione sta lavorando bene per quanto riguarda la promozione dello sport, dal punto di vista tecnico invece servirebbero istruttori più preparati di quelli che ci sono. Per quanto mi riguarda sto girando con la mia Academy e vedo un grande entusiasmo: a Padova dove tengo corsi per istruttori, giocatori e principianti ci sono ormai più di 100 giocatori e anche a Misano c’è molto interesse e diversi ragazzi che hanno voglia di crescere. Se si andrà avanti di questo passo fra 10-15 anni si potranno avere dei numeri simili a quelli della Spagna anche qui…

F.M.

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