A Singapore un Masters 2015 sorprendentemente positivo

Al femminile

A Singapore un Masters 2015 sorprendentemente positivo

Le magie di Agnieszka Radwanska, ma non solo: il talento instabile di Petra Kvitova, una partita straordinaria di Maria Sharapova, la consistenza di Garbiñe Muguruza, l’addio di Flavia Pennetta, e tanto altro ancora alle WTA Finals di Singapore

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Per commentare la settimana del Masters comincio da un aspetto che di solito si considera poco: la regia televisiva. In fondo a Singapore il pubblico presente, per quanto numeroso potesse essere, era comunque una minoranza; la maggior parte degli spettatori ha seguito l’evento dalla televisione. E secondo me la regia è stata molto attenta e puntuale: sempre misurata, senza abuso di inquadrature forzatamente originali, che alcuni registi sono tentati narcisisticamente di utilizzare per enfatizzare la loro presenza a scapito della comprensione dello scambio.
I replay e i primi piani sono stati utilizzati in modo equilibrato, e in più la ciliegina sulla torta sono stati i “falchi” mostrati a beneficio di noi spettatori, anche se non richiesti dalle protagoniste in campo, a toglierci i dubbi sulle chiamate cruciali. Complimenti davvero. (Su questo tema vorrei tornare nelle prossime settimane).

Ma veniamo ai match. Innanzitutto bisogna riconoscere che le giocatrici hanno mostrato una correttezza assoluta di fronte ad una formula che si potrebbe prestare a tentazioni. Una correttezza che sta diventando la costante delle ultime edizioni: chiunque approdi alle Finals si dimostra impermeabile a qualsiasi “biscotto”.
Si sa che il punto critico è quello della terza giornata; ma i risultati stessi hanno dimostrato che tutte sono scese sempre in campo per vincere, senza calcoli o favoritismi. Non li ha fatti Sharapova con Pennetta, nè Safarova con Kerber, e nemmeno Muguruza con Kvitova. È stata proprio questa sportività senza eccezioni a spazzare via ogni possibile sospetto, salvando la formula e mantenendo “un equilibrio sopra la follia” (cit).

In linea generale il livello di gioco mi è sembrato sorprendentemente buono. Alla vigilia le incertezze erano molte: l’assenza di Serena Williams, diverse giocatrici con dubbi fisici (logorate dalla lunga stagione o al rientro dopo malattie e infortuni), più alcune esordienti da verificare su un palcoscenico tanto esclusivo. Invece le partite sono risultate tutte coinvolgenti, e alcuni set sono stati giocati davvero a livelli molto alti.
Direi che la WTA ha mostrato che, anche senza Serena, e malgrado il ricambio profondo di protagoniste rispetto agli anni passati, lo spettacolo risulta comunque interessante. Alla fine si può dire che certi ranking non si raggiungono per caso e la qualità è emersa chiaramente. Ma mi rendo conto che questo è un giudizio soggettivo, che naturalmente non tutti sono obbligati a sottoscrivere.
Per entrare nel dettaglio comincio con le quattro tenniste eliminate nei gironi.

– Flavia Pennetta
Era all’ultimo torneo della carriera, lo sapeva, e probabilmente all’esordio ha sofferto anche per questa consapevolezza. E così, se qualche settimana fa a Flushing Meadows aveva lasciato solo quattro game (6-3, 6-1) ad una Halep troppo tesa per l’importanza della posta in palio, questa volta il risultato si è rovesciato: è stata Pennetta a raccogliere tre game (0-6, 3-6), appunto perché si erano ribaltate le dinamiche psicologiche.
Superata la tensione iniziale, si è aggiudicata in due set il confronto con la futura vincitrice Radwanska, risalendo nel primo set e chiudendo con un gran tennis, in particolare con alcuni rovesci lungolinea da antologia.
Credo si possa riconoscere che Flavia è stata anche un po’ sfortunata: nel terzo incontro, quando le sarebbe bastato vincere un set per essere promossa, si è portata avanti ma non ce l’ha fatta a chiudere il parziale, perché ha trovato una Sharapova in giornata di grazia, capace di produrre un gioco particolarmente vario. Molte delle soluzioni alternative che i detrattori sostengono non sappia fare, Sharapova le ha mostrate contro Pennetta: palle corte, slice di rovescio, discese a rete concluse con volèe impeccabili; il tutto rafforzato da un servizio fenomenale, potente, preciso e senza il carico dei doppi falli (uno solo in tutto il match).
Quando si affronta una campionessa come Sharapova in giornate del genere, che in più ha la possibilità di giocare leggera, senza l’assillo del risultato (dopo il primo set vinto Maria era ormai certa della qualificazione) diventa davvero dura. Di fronte alla sconfitta potrebbe sembrare un paradosso, ma il fatto che Flavia non sia stata travolta ha dato la misura dell’ottimo tennis mantenuto fino all’ultimo match della carriera.

– Simona Halep
Forse la più delusa dal Masters. Ricordo che, senza Serena, era la testa di serie numero uno del torneo; invece dopo un ottimo esordio contro Pennetta ha subito un parziale di zero set a quattro, risultando esclusa già nella fase a gironi. Nel match decisivo contro Radwanska (6-7, 1-6) era avanti 5-1 nel tiebreak, ma al dunque non è riuscita a chiudere, bloccata dall’eccessiva pressione.
E siccome anche agli US Open ha mostrato di avere difficoltà della stessa natura (per non parlare di Roland Garros e Wimbledon) la mia sensazione è che la gestione dello stress stia diventando il suo problema principale. Rispetto a questo, anche la questione se il suo livello di gioco possa essere sufficiente o meno per vincere uno Slam appare secondaria, perché innanzitutto occorre che nelle grandi manifestazioni ritrovi la capacità di giocare al meglio, come le era riuscito a Parigi nel 2014.
Per la troppa tensione, a Singapore ha cominciato a scricchiolare anche la sua caratteristica abilità nel cambiare gioco e variare le geometrie grazie ai colpi lungolinea. È davvero un peccato che una giocatrice in grado negli ultimi due-tre anni di compiere grandi progressi fisico-tecnici non riesca poi ad esprimersi compiutamente per problemi psicologici.

– Lucie Safarova
Per la particolare formula del Masters e per le combinazioni con gli altri match, Safarova è stata l’unica che ha affrontato l’ultimo impegno senza avere più la possibilità di qualificarsi. Ma questo non l’ha fatta desistere dal cercare la prima vittoria alla Finals, che affrontava da esordiente. E alla fine è riuscita nel suo intento, con un 6-4, 6-3 a Kerber.
Dopo i problemi fisici dell’ultimo periodo che l’hanno obbligata a saltare tutti i tornei asiatici, a Singapore ha progressivamente ritrovato il ritmo gara, e contro Kerber si è finalmente rivisto il suo tipico dritto, efficacissimo da tutte le zone di campo. Il servizio e il rovescio non sono arrivati al livello di Roland Garros 2015 (altrimenti l’avremmo ritrovata in semifinale), ma la forma sembra stia tornando.
Fra l’altro vincendo contro Angelique ha finito per promuovere in semifinale la sua connazionale e amica Kvitova, qualificata per il miglior quoziente set. E così a Singapore è aleggiato lo spirito di Fed Cup, che spesso in passato ha dato uno spinta particolare a Lucie; le russe, prossime avversarie nella finale di Praga, sono avvisate.

– Angelique Kerber
Dopo avere tutto sommato ben gestito il primo match contro una Kvitova piuttosto spenta, contro Muguruza ha ceduto nei finali di set (6-4, 6-4), dando l’impressione di essere mentalmente provata. La conferma si è avuta nel terzo incontro, quando per essere promossa le sarebbe bastato vincere un set contro l’ormai esclusa Safarova, ma non ha saputo mettere in campo la sua tipica grinta: un handicap particolarmente grave per Angelique, visto che è una tennista che ha nella combattività un elemento fondamentale del proprio gioco.
In conferenza stampa Kerber si è lamentata della formula chiedendo la contemporaneità delle partite nell’ultimo turno del girone. Però la contemporaneità si attua per evitare che alcuni contendenti si trovino avvantaggiati dal conoscere i risultati di partite già concluse: proprio quello che era capitato a lei (scesa in campo per ultima), per cui la lamentela è risultata abbastanza paradossale. A mio avviso anche questo è stato un segno delle poche energie nervose che le erano rimaste.
Del resto dopo l’avvio stentato di 2015 per risalire in classifica ha dovuto giocare parecchio; tanto è vero che tra le prime solo Serena ha vinto quanto lei, 53 partite. Si capisce come dopo uno sforzo del genere possa essere arrivata stanca all’atto conclusivo della stagione.

– Maria Sharapova
Sharapova, a parte un match non concluso per ritiro contro Strycova a Wuhan, non gareggiava da Wimbledon, ma è stata subito competitiva, a dimostrazione di quanto sia diventata una professionista matura, perfettamente capace di amministrarsi. Lo sottolineo perché il Masters è sicuramente il torneo peggiore per rientrare, dato che ai primi turni non si trovano avversarie di bassa classifica, come normalmente accade. Eppure Maria ha vinto tre match su tre, incluso quello straordinario contro Pennetta di cui ho parlato prima.
E se poi ha perso da Kvitova, è anche perché ha avuto di fronte un’avversaria che ha trovato il miglior rendimento al servizio proprio contro di lei.

Per quanto riguarda la sconfitta in semifinale mi sono rimaste un paio di perplessità.
La prima è che una giocatrice del suo valore avanti 5-1 dovrebbe riuscire a trovare lo spunto per chiudere il set, anche se ha di fronte un’avversaria che quando entra “in the zone” è davvero pericolosissima. Invece si è fatta rimontare, perdendo il match al tie break (6-3, 7-6).
La seconda è che a mio avviso ha mancato nella scelta delle soluzioni di gioco sulla diagonale destra: quando Kvitova aveva la possibilità di spingere con il rovescio (mancino) incrociato, troppe volte Maria ha cercato di uscire dall’angolo immediatamente, alla ricerca del vincente definitivo con il dritto lungolinea. Esecuzione difficilissima da controllare, perché il cross stretto di Petra è particolarmente teso e penetrante. Risultato: dritto quasi sempre in rete. Una situazione che si è ripetuta per tutto il match e che secondo me si poteva provare a risolvere in modo meno rischioso; ad esempio con qualche dritto centrale interlocutorio. Al Masters c’è la possibilità del coaching, possibile che Groeneveld non se ne sia accorto?

Dopo tre convincenti vittorie nel round robin, Sharapova sicuramente sarà rimasta delusa dall’uscita in semifinale; però, come lei stessa ha dichiarato a fine match, l’aspetto molto positivo da considerare è il completo recupero fisico. Un ottimo punto di partenza in vista della stagione 2016, ma anche per provare a prendersi la rivincita contro Kvitova molto presto: tra due settimane, nella finale di Fed Cup.

– Garbiñe Muguruza
Muguruza, fresca numero tre del mondo e testa di serie numero due alle Finals, ha esordito senza patire l’emozione, dando l’impressione di poter anche vincere il torneo dopo l’inizio molto convincente (tre vittorie su tre): servizio efficace, in grado di portarle punti facili nei momenti importanti, e colpi da fondo molto solidi, che le hanno consentito di mettere una pressione costante, a volte insostenibile, alle avversarie.
Sembrava avesse la finale a portata di mano, ma alla fine è stata la giocatrice che ha maggiormente pagato la formula di questo Masters. E non solo per quanto riguarda il singolare. Infatti, grazie al ritiro in extremis di Dellacqua/Shvedova e al forfait annunciato di Makarova/Vesnina (Makarova è ferma da qualche settimana) è rientrata in gara anche nel doppio, insieme a Carla Suarez Navarro. Una fortuna? Insomma…

Lo dico perché per quanto riguarda il calendario le è andato tutto storto: è capitata nel girone di singolare programmato per secondo, e quindi non ha potuto usufruire del giorno di riposo prima della semifinale; in più si è ritrovata ad affrontare il nuovo format del torneo di doppio, con l’introduzione del round robin che aumenta i match complessivi da disputare. Alla fine ha dovuto scendere in campo tutti i giorni almeno una volta, e proprio in vista della semifinale ha dovuto affrontare un duro incontro in tre set contro Kvitova.
Tutto questo ha inciso sulla sua lucidità nelle partite decisive del torneo, ritrovandosi appannata quando è iniziata la fase ad eliminazione diretta. La giocatrice potente e quasi inesorabile dei primi giorni di round robin è progressivamente calata, finendo per perdere 7-5 al terzo contro la più fresca Radwanska, non impegnata in doppio e reduce da un giorno di riposo in singolare.
Se per caso avesse vinto la semifinale, avrebbe concluso la settimana con quatto match in due giorni (semifinali e finali di singolare e doppio). Così invece sono stati tre, visto che nel doppio ha comunque raggiunto la finale (persa contro Hingis/Mirza). Davvero un po’ troppo per il tennis molto fisico di oggi.

Probabilmente disputando tanti doppi in questa stagione qualche miglioramento nel gioco a rete l’ha ottenuto, anche se per arrivare a possedere volèe efficaci la strada da fare è ancora lunga.
Segnalo che anche Carla Suarez Navarro dopo la prima parte di stagione strepitosa (ad un certo punto era quarta nella Race) è finita con la spia della riserva costantemente accesa. In vista del 2016 sono convinto che entrambe ragioneranno con molta attenzione su come gestire l’impegno su due fronti, in modo da prendere il meglio di quello che il doppio può dare, senza però penalizzare troppo l’obiettivo principale, che rimane naturalmente il singolare.

– Petra Kvitova
Sul piano tecnico, a mio avviso la chiave di lettura fondamentale del tennis di Kvitova rimane sempre la stessa: il servizio. È l’elemento strutturale e imprescindibile del suo gioco, a maggior ragione quando si trova di fronte ad avversarie di primo livello. E infatti il match migliore al Masters, quello contro Sharapova, ha coinciso con l’unica giornata in cui in battuta è stata davvero efficace. Quando invece è venuto meno il rendimento al servizio, il suo tennis ne ha sofferto moltissimo.

Aggiungo un ragionamento sulla parte fisica: a mio avviso si tende a fare una correlazione troppo diretta e meccanica tra la mononucleosi che l’ha afflitta in questa stagione e i risultati dei match. In sostanza: non può essere che quando perde è malata e quando vince è guarita. La guarigione la possono stabilire solo i medici.
La questione secondo me va considerata in modo differente: posto che la mononucleosi colpisce ogni persona in modo più o meno grave (e con giornate più o meno buone), c’è però un aspetto che mi pare non vada dimenticato: l’elemento che di sicuro viene sacrificato è quello della preparazione. Non è cosa da poco, perché costituisce la base fondamentale per ogni tennista professionista, ed è ancora più importante per chi, come Kvitova, tende a soffrire di alti e bassi. E una preparazione ottimale si può raggiungere solo pianificando il lavoro sul lungo periodo, con grande costanza. Esattamente ciò che una malattia come la mononucleosi non consente.
Proprio perché ormai da tempo non ha alle spalle un lavoro fisico ideale, in molti match recenti Petra si è ritrovata in riserva molto presto. Ha tentato di ovviare attingendo alle risorse mentali, ma quando si gioca sui nervi è impossibile reggere oltre un certo numero di game: prima o poi il momento di “down” arriva per forza, è il corpo stesso che lo reclama.
Nei momenti di crisi fisica, Kvitova è costretta a cercare la chiusura dello scambio il prima possibile, prendendo rischi estremi, che difficilmente pagano. Ricordo a questo proposito che anche nel suo match migliore Petra ha subito un parziale di 5 game a 1 da Sharapova, per poi ripartire e chiudere la partita di un soffio. Ma se contro Maria fosse andata al terzo non so se avrebbe avuto la forza sufficiente per spuntarla, come si è visto contro Muguruza e Radwanska, che l’hanno sconfitta alla distanza.

– Agnieszka Radwanska
Certo, il Masters non è uno Slam, ma è comunque un traguardo di grande prestigio, di livello molto superiore ai Premier mandatory che in passato Radwanska era riuscita a vincere (Pechino e Miami).
Arriva finalmente una gioia, dopo la delusione per la finale persa a Wimbledon nel 2012, ma soprattutto dopo la grande amarezza per l’occasione sfiorata sempre a Londra l’anno dopo, quando fu sconfitta 9-7 al terzo set in semifinale da Sabine Lisicki. Avesse vinto quel match avrebbe trovato in finale Marion Bartoli, con cui aveva precedenti inequivocabili: un solo set perso, il primo, nel lontano 2007 e poi 14 set vinti consecutivamente, senza nemmeno un tiebreak. Credo che quella sconfitta con Sabine rimarrà un eterno rimpianto per Aga.

Al Masters si è detto sia stata fortunata perché si è salvata per il rotto della cuffia nel round robin, superato con una sola vittoria e due sconfitte. Ma la fortuna a volte toglie, a volte dà. Ricordo un precedente opposto: nel 2011 nel terzo match del girone le sarebbe bastato vincere un set per passare in semifinale; invece perse il primo set al tiebreak dopo essere stata avanti addirittura 5-1. E chi era l’avversaria che le aveva tolto la possibilità del passaggio di turno? Proprio Petra Kvitova (7-6, 6-3).

Dopo la profonda crisi di inizio anno, la vera Agnieszka sta riaffiorando: la giocatrice capace di difendere benissimo, di resistere alla potenza superiore di quasi tutte le avversarie e di risolvere gli scambi con soluzioni di tocco uniche. A Wimbledon 2015 era sì ritornata in semifinale, ma il suo gioco non aveva ancora recuperato la varietà di colpi dei tempi migliori, che invece ha utilizzato con più frequenza in questo Masters.

Superato il round robin, la superficie non rapidissima di Singapore le ha dato una mano nell’arginare la spinta offensiva di Muguruza e Kvitova. Entrambe probabilmente non erano al massimo della condizione, ma per vincere un grande torneo a volte occorre anche arrivare agli incroci più pericolosi nel momento giusto.
Sottolineo un dato che forse risulterà meno eclatante, ma che a mio avviso è sempre stato il punto di partenza irrinunciabile di tutti i suoi migliori risultati: il bassissimo numero di errori non forzati. Addirittura soltanto 5 in tre set nella finale contro Kvitova. Nel momento di crisi all’inizio dell’anno viaggiava su valori quattro-cinque volte superiori.

Mi auguro che la vittoria alle Finals le restituisca definitivamente l’entusiasmo che sembrava smarrito qualche mese fa, quando secondo me giocava male anche perché dopo le tante delusioni nei Major aveva cominciato ad interrogarsi su dove sarebbe approdata la sua carriera, visto che oltre un certo limite sembrava proprio non riuscire ad andare.
Ecco, il successo al Masters è finalmente un progresso importante. E se Aga ripartirà con più convinzione alla caccia dello Slam, noi spettatori ne approfitteremo per apprezzare ancora le sue magie.

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