ATP Finals, gli assenti illustri: Raonic, futuro campione o eterno incompiuto?

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ATP Finals, gli assenti illustri: Raonic, futuro campione o eterno incompiuto?

Milos Raonic è uno dei grandi assenti di questa edizione delle ATP World Tour Finals e qualcuno già si pronuncia sul suo destino da giocatore

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Le ATP Finals si sono concluse e con esse anche l'”anno accademico tennistico 2015″ volge al termine. Gli otto tennisti più forti al mondo possono finalmente andare in vacanza (salvo Murray che è impegnato in Belgio in Coppa Davis). Non ci sono state sorprese fra i qualificati al masters di quest’anno, per la cui organizzazione l’ATP non lascia nulla di intentato: un vero e proprio show che mai rischia di cadere nell’esagerazione. Ogni anno alla O2 Arena gli organizzatori provano a inventarsi qualcosa di nuovo, che colpisca e soprattutto intrattenga il pubblico. Di sicuro tutto ciò non può che aumentare il prestigio del torneo, renderlo unico nel suo genere e allontanare i fantasmi di Wimbledon con cui in passato si è temuto il confronto; spesso ci si dimentica addirittura di essere nella stessa città dei Championships. Nessuno però si è domandato come mai ci sia bisogno di così tanto intrattenimento extra, quando in campo ci sono gli otto migliori tennisti presenti sul globo terracqueo.

Abbiamo già visto come da qualche anno a questa parte gli interpreti di questo spettacolo al limite del pirotecnico siano praticamente sempre gli stessi; manca un po’ di ricambio, mancano le novità sul terreno di gioco, manca quel qualcosa in più che garantirebbe un minimo di sorpresa, cosa molto più importante per chi non ha la fortuna di sedere in una delle 17.800 poltroncine dell’impianto londinese e che, seppur con fare invidioso, se la gode in pigiama sul proprio divano.

Ma allora chi avrebbe dovuto portare queste novità? Chi potrebbe essere considerato l’assente illustre di questo torneo? Chi avrebbe potuto far vacillare un po’ questa incontrastabile portaerei?

C’è chi sostiene che Anderson o Isner avrebbero potuto strappare un biglietto per Londra, una sorta di premio alla carriera anzitempo; altri si rammaricano del fatto che Fabio Fognini sarebbe dovuto essere presente in singolare invece che in doppio. Che dire poi del commuovente Juan Martin Del Potro: chissà quanti e quali equilibri cambierebbero se la Torre di Tandil stesse bene.

Forse però la faccia mancante è quella di un rappresentante della nuova generazione. Sì, è vero, Nishikori potrebbe essere identificato come tale, ma non dimentichiamoci che è più giovane di soli due anni rispetto a Djokovic e Murray, e anche se il tennis sta “invecchiando” e ognuno di noi come gli Alphaville (o come Federer?) vorrebbe rimanere Forever Young, con ogni probabilità a 26-27 anni non si può essere considerati degli astri nascenti di uno sport come il nostro.

Colui che da tutti viene identificato come il capo della generazione degli anni ’90 infatti non è il nipponico, ma Milos Raonic. Il montenegrino di nascita e canadese di adozione, non sarebbe stato una vera e propria novità per il Masters – visto che già nel 2014 vi prese parte, ritirandosi dopo i primi due incontri del Round Robin, persi contro Federer e Murray – ma è sorprendente il fatto che non sia riuscito quantomeno a qualificarsi. Una stagione altalenante la sua, i cui bassi sono stati condizionati soprattutto dagli infortuni.

La finale di Brisbane persa contro Federer, i quarti di finale agli Australian Open, sconfitto da Mr Imbattibilità Novak Djokovic e il conseguente best ranking (numero 6) avevano fatto ben sperare Ljubo, Piatti e tutti gli appassionati alla strenua ricerca di qualcuno che possa competere con quei 4 là davanti, 5 se includiamo Wawrinka. Dopo le semifinali di Rotterdam e Indian Wells, dove nei quarti eliminò Nadal salvando tre match point, e i quarti anche sulla terra europea di Montecarlo e Madrid con tanto di nuovo best ranking (numero 4), arriva il primo stop per un fastidioso dolore alla pianta del piede, causato da un nervo compresso. L’infortunio, per il quale è stato necessario un piccolo intervento chirurgico e un recupero più lungo del previsto, lo ha costretto a saltare i tornei di Barcellona e Roma e soprattutto il Roland Garros.

Da quel momento in poi sarà solo uno l’acuto della stagione di Milos, che nella stagione indoor, per forza di caratteristiche, ritrova il suo tennis e porta a casa l’ATP 250 di San Pietroburgo, sconfiggendo in finale il portoghese Joao Sousa. Lo swing asiatico gli regala poche soddisfazioni e un nuovo infortunio alla schiena non gli permette di concludere la stagione nel migliore dei modi, forzandolo al ritiro negli ultimi tre tornei dell’anno: Vienna, Basilea e Parigi.

Al momento il canadese è numero 14 del mondo e l’impressione che tanti hanno è che nonostante abbia perso tanti punti a causa di una condizione fisica precaria, questa classifica non sembra andargli poi così stretta. Il ranking è una conseguenza del livello che il giocatore esprime, il computer non mente, non nasconde le proprie carenze, siano esse fisiche, tecniche o mentali. Grazie a Ljubicic e a Riccardo Piatti, praticamente un luminare fra i coach, capace di trasformare il materiale grezzo e pregiato in giocatori fatti, Raonic ha migliorato ancor di più il servizio, il diritto e il gioco a rete, facendone delle armi letali, ma pecca praticamente in tutto il resto. Lo dimostrano i 41 tie-break giocati quest’anno su un totale di 49 incontri e le 8 sconfitte su 10 incontri contro i top-10.

Di salti di qualità Milos ne ha già fatti tanti, altrimenti non sarebbe arrivato fino al numero 4 del mondo, ma è giunto il momento di metterci qualcosa in più, forse dal punto di vista mentale, più che tecnico. Nessuno da lui si aspetta che da un momento all’altro acquisisca magicamente la rapidità di piedi di Messi oppure che esploda in qualche esultanza alla Nadal, ma il ragazzo non sembra mostrare neppure una sana cattiveria agonistica in campo, necessaria per raggiungere risultati superiori alla media.

Il paragone che subito risulta più spontaneo è quello con Tomas Berdych, anche se forse è ancora presto per parlarne vista la “tenera” età, ovvero un fenomeno incompiuto, dalle doti tecniche e fisiche più che invidiabili, ma preoccupato più per i suoi capelli perfetti piuttosto che per il tennis, capace di raggiungere ottimi risultati, ma che mai taglierà per primo i traguardi più importanti.

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