Murray, l'eroe solitario di Coppa (Crivelli), Murray si prende la Davis con un lob lungo 79 anni (Piccardi), Gran Bretagna, finita l'attesa trionfo in Davis 79 anni dopo (Clerici), Murray regala la Davis al Regno Unito dopo 79 anni (Semeraro), La rivincita del Ringo Starr della racchetta (Scanagatta), Storico Murray, è trionfo British (Giorni)

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Murray, l’eroe solitario di Coppa (Crivelli), Murray si prende la Davis con un lob lungo 79 anni (Piccardi), Gran Bretagna, finita l’attesa trionfo in Davis 79 anni dopo (Clerici), Murray regala la Davis al Regno Unito dopo 79 anni (Semeraro), La rivincita del Ringo Starr della racchetta (Scanagatta), Storico Murray, è trionfo British (Giorni)

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Rassegna a cura di Daniele Flavi

 

Murray, l’eroe solitario di Coppa

 

Riccardo Crivelli, la gazzetta dello sport del 30.11.2015

 

Il pallonetto di rovescio, giocato in corsa, con cui Andy Murray inchioda definitivamente l’idolo di casa Goffin dopo due ore e 54′ di gioco, diventa in un lampo il colpo dell’anno, una di quelle prodezze che si consegnano immediatamente all’immortalità sportiva, per la qualità dell’esecuzione e il significato che quel punto porta con sé. ONE MAN SHOW A seguire quella traiettoria arcuata e maligna ci sono 13.000 cuori e 26.000 occhi, c’è un paese, il Belgio, che ha sognato per tre giorni la conquista del mondo e ce n’è un altro, la Gran Bretagna, che avendo inventato quasi tutti gli sport dell’era moderna, di conseguenza dominandoli all’inizio, ha sempre una certa concezione imperiale dei rapporti di forza, e dunque soffre quando le astinenze si prolungano troppo. Ebbene sì, quando la pallina si spegne vincente nell’angolo sinistro del campo, i sudditi di Sua Maestà tornano a rivedere le stelle della Coppa Davis dopo 79 anni, un’eternità per chiunque, figuriamoci per gli antichi maestri. Anche se alla fine, ironia della sorte, è il trionfo di una piccola cittadina della mai troppo amata (dagli inglesi) Scozia, Dunblane, che ha dato i natali, a un anno di distanza uno dall’altro, ai fratelli Murray, che a Gand hanno portato i tre punti decisivi alla causa. Di più, è l’apoteosi di un uomo solo al comando, Andy detto Muzza, che compie un’impresa riservata unicamente ai più grandi, a quelli che i libri del mito del tennis li hanno scritti per davvero. Era dai tempi di Borg, anno di grazia 1975, che un singolo giocatore non incideva così tanto su una stagione di Davis: il numero due del mondo ha vinto 8 singolari (come McEnroe e Wilander nel 1982 e nel 1983) e 3 doppi, restando imbattuto. Soprattutto, in finale, ha dominato la sfida fin dal suo primo punto, con il carisma, il peso tecnico e la personalità del giocatore di una categoria decisamente più elevata. Ora è veramente l’ultimo Fab Four con Federer, Nadal e Djokovic, che l’insalatiera l’hanno vinta prima di lui, ora pub stare con Agassi e ancora con Nadal nel ristrettissimo gotha di chi è riuscito a collezionare almeno un titolo a Wimbledon, l’oro olimpico e, appunto, la Coppa: «Ricorderemo quest’anno per tutto il resto della nostra vita — confesserà emozionato Andy, che ha rivelato di essersi caricato guardando in diretta il match di Fury — indipendentemente da quello che succederà da questo momento in poi. Niente adesso potrà avere più valore di un successo come questo, anche se dovessi tornare a vincere Wimbledon o l’Olimpiade. All’inizio di questa avventura non pensavo fosse possibile, è un’emozione indescrivibile». CENTO PER CENTO Che cosa abbia significato Muzza perla Gran Bretagna, è nei numeri: un team che nel 2010 giocava lo spareggio con la Turchia per non retrocedere in serie D (!). in due anni (Murray è tornato in nazionale nel 2013) è approdato alla decima Davis della sua storia. Una forza mostruosa riconosciuta dagli avversari del weekend («Quando perdi contro un fenomeno, devi solo applaudirlo ed essere onorato», ha detto il capitano belga Van Herck), dagli avversari di ogni giorno sui campi, da Djokovic a Kokkinakis, fino ai rivali di ieri Nalbandian e Roddick e anche dalla politica, perché il tweet del premier Cameron è stato tra i primi ad apparire sul cellulare di Andy. Possiamo immaginare la soddisfazione, lui che ha passato molta della sua vita agonistica diviso tra le radici scozzesi (quando perdeva) e l’orgoglio inglese (quando vinceva). Infatti, da ieri, sull’Andymurrayometer, il sito creato dai fan che misura il grado di «britannicità» del più giovane dei Murray, appare un probante 100%. Ancor più bello che vincere la Davis.

 

Murray si prende la Davis con un lob lungo 79 anni

 

Gaia Piccardi, il corriere della sera del 30.11.2015

 

Andy batte il Belgio da solo e riscrive la storia Tennis Edoardo VID succedeva a suo padre, Giorgio V, sul trono del Regno Unito e a fine anno abdicava per sposare l’americana Wallis Simpson. Margaret Mitchell pubblicava «Via col vento». Scoppiava la Guerra Civile spagnola. Jesse Owens umiliava la Germania ai Giochi di Berlino. E sull’erba di Wimbledon, nel challenge round, battendo l’Australia 3-2 Fred Perry e Bunny Austin sollevavano la nona Coppa Davis con i colori della Union Jack. Correva l’anno 1936. Correva rotondo e affilato, 79 anni dopo — ieri — anche il lob di Andrew Murray sotto cui i britannici hanno seppellito trecento anni di dissonanze storiche e culturali culminate nel referendum del 18 settembre 2014 con cui la Scozia non è riuscita a uscire dal Regno Unito, permettendo al ragazzo di Glasgow (che aveva dato pubblicamente il suo endorsement alla secessione ricevendo in cambio minacce di morte) di rivincere — da solo — la Davis per i sudditi di sua maestà. Che spasso lo sport che riscrive la storia. La palombella rossoblù di Murray atterra sulla riga, il piccolo Belgio dei miracoli di David Goffin torna ranocchio, la leggenda di Davide che sfida Golia per l’insalatiera d’argento diventa d’incanto banale insieme al centro federale di Mons che sa miscelare racchette vallone e delle Fiandre e a u milioni d’abitanti cresciuti sotto il nume tutelare di una fuoriclasse, Justine Henin, e di una campionessa, Kim Clijsters (u Slam in due), mentre Braveheart Andy diventa l’idolo di un’isola che si era imposta di amarlo già nel 2012 (oro ai Giochi di Londra e Us Open) e nel 2013 (Wimbledon) perché Murray — rispetto ai Big 5 — ha il talento di vincere poco ma benissimo e la quarta perla, la Davis, ha un potere taumaturgico. È la coppa di Andy, degli otto singolari vinti nella stessa edizione (come McEnroe nell’82 e Wilander nell’83) e dei tre doppi trionfali, nella finale di Gand in coppia con il fratello Jamie, di 15 mesi più grande, l’erede cui mamma Judi — l’ape regina di una famiglia di stampo fortemente matriarcale — aveva affidato il mandato di seguire le orme di Fred Perry, presto surclassato dal talento del più giovane. Andy è l’uomo del destino capace di spezzare le lunghe attese: 77 anni prima che un tennista britannico (ma non inglese) conquistasse Wimbledon, 79 in waiting list per la Davis. Per lui ieri si sono scomodati tutti, dal premier Cameron a Harry Potter, da Beckham alle Spice Girls, da Lineker a Kate Winslet. «Mi ricorderò di questi momenti qualsiasi cosa accadrà in futuro, nulla potrà eguagliarli» ha detto il campione, che aveva spento la luce tardi per vedere il match di boxe tra l’inglese Tyson Fury e l’ucraino Wladimir Klitschko. Forse solo la nascita del primo figlio. «Siamo stati battuti da un giocatore enorme» ha ammesso Johan Van Herck, capitano belga. La Gran Bretagna con la Scozia nel motore succede nell’albo d’oro alla Svizzera in purezza di Federer e Wawrinka. Il segreto è la contaminazione: il tè delle cinque, in kilt e con sottofondo di cornamuse, è più gustoso.

 

Gran Bretagna, finita l’attesa trionfo in Davis 79 anni dopo

 

Gianni Clerici, la Repubblica del 30.11.2015

 

Gran Bretagna-Belgio è finita come il peggiore degli scommettitori aveva pronosticato. Se infatti voi schierate insieme al n. 2 mondiale Murray un buon doppista come il suo fratellino, e gli avversari si ritrovano con il n. 16 e il 56 del mondo, non può più accadere quello che fece soffrire – e vergognare – lo scriba su campi di dubbia moralità, quali Zagabria o Belgrado o Buenos Aires, o Bucarest, per non parlare di Milano e Roma. Ora, dopo la benefica invenzione di Mr. Hawk ( Falco), i furti sono scomparsi, i giudici resi forzatamente onesti dallo strumento, ed è quindi impossibile ottenere un risultato immorale. Leggendomi venerdì qualcuno mi ha fatto notare che era già accaduto che un solo tennista vincesse la Davis, con la collaborazione di un buon doppista. E aveva citato Bjorn Borg, costringendomi a ricordare il suo partner di doppio Bengtson, nel ’75. Ma la principale caratteristica di quest’anno, e insieme la decadenza della Davis non ha riguardato le vittorie della squadra formata da un solo giocatore e mezzo, quanto l’assenza, per motivi che risalgono al denaro, dei primi tennisti del mondo, Djokovic, Federer, Wawrinka, Nadal. Il nuovo presidente della Itf, Mr. Haggerty, ha timidamente accennato a mutamenti, indicando una eventuale assenza dal 1 turno ( bye) della nazione vincitrice l’anno preceder- Colpo Murray BELGIO-GRAN BRETAGNA 1-3 A Gand, ieri, dopo il doppio di sabato con il fratello Jamie, Andy Murray ha battuto David Goffin 6-3, 7-5,6-3. te. Gli scriverò quindi, appena terminate queste note, ricordandogli che la Davis, simile ad altre grandi competizioni quali l’America Cup di Vela, era stata architettata nel 1900 dal bostoniano Dwight Davis, tennista e poi Ministro della Guerra, secondo una formula tipica dei tornei anglosassoni, e cioè quella della Sfida al Campione (dell’anno precedente) abituale anche in tornei quali Wimbledon sino al 1921. Fu un italiano, il presidente della Fit Luigi Orsini (aficionado sino a farsi seppellire in abiti da tennis), a farsi promotore di un mutamento che, dalla formula del Challenge Round passò alla Finale (detta da alcuni Finalissima). dopo che anche il Paese detentore si era dovuto iscrivere, come tutti gli altri, al 1 turno. Ricordo benissimo la prima finale della storia nella Bucarest comunista del 1972, i romeni Nastase e Tiriac contro gli statunitensi Gorman e Smith, anche perché al 17 furto di un punto a Stan Smith (che ribattezzai San per la pazienza ), iniziai a protestare ad alta voce, e fui arrestato dalla polizia. Nella lettera al Presidente mi permetterò di suggerire, quale rimedio, che si ritorni all’antica formula del Challenge Round, che faciliterà almeno al Paese vincitore di schierare i tennisti vincitori l’anno precedente. Permettendo così – forse – agli assenti di quest’anno di dedicare almeno una delle loro preziose e costosissime settimane alla loro patria.

 

Murray regala la Davis al Regno Unito dopo 79 anni

 

Stefano Semeraro, la Stampa del 30.11.2015

 

2014 Svizzera 2015 Gran El Bretagna Dopo il tweet con cui all’ultimo momento si pronunciava a favore dell’indipendenza della Scozia, nel settembre del 2014, si era beccato insulti memorabili. «Ripensare ad Andy Murray avvolto nella Union Jack sul podio delle Olimpiadi mi fa venire la nausea», scrisse qualcuno, e non era neanche tra i più acidi. Ma da ieri Andy, il «maledetto scozzese» è un eroe nazionale. Un eroe britannico, spettinato ma immortale, che battendo David Goffin 6-3 7-5 6-3 a Gand ha vinto anche il 3 punto della finale contro il Belgio riportando in patria la Coppa Davis (la decima) dopo 79 anni. L’ultimo british a lucidare la Zuppiera era stato Fred Perry nel 1936, prima di diventare professionista e trasformarsi in un marchio di magliette; con il trionfo di ieri, che fa filotto con l’oro a Londra 2012 e il successo a Wimbledon nel 2013, Murray lo ha definitivamente raggiunto nel pantheon. Si perché il Coppone sarà pure anzianotto (115 anni di storia) e ammaccato dalle assenze di molti big, ma il suo luccichio continua a far sognare. «Mai provato un’emozione simile» «Non riesco a credere che abbiamo vinto la Davis – ha urlacchiato Andy dopo essersi rotolato in la- crime sul terriccio belga – non ho mai provato un’emozione del genere». Una emozione di famiglia, fra l’altro, visto che l’unico punto che non poteva confezionare da solo, il doppio, il numero 2 del mondo lo ha portato a casa sabato in coppia con Jamie, il fratello maggiore con cui fin da cucciolo divideva le trasferte sul furgoncino guidato dall’intrepida mamma Judy. Considerato che anche il capitano, Leon Smith, è scozzese, a Londra per un po’ dovranno risparmiarsi le battutine su quelli del Nord. Rule, Britannia, ma soprattutto rule, Murray, il terzo britannico a fare centro in un anno gramo per il calcio e il rugby dopo il «rapper» nero Lewis Hamilton in Fl e il kenyano (di nascita) Chris Froome al Tour. Andy ha 28 anni, a febbraio diventerà papà. Secondo Forbes vale 21 milioni di euro l’anno, nel 2015 ne ha incassati 7,5 solo in montepremi pur non vincendo nulla di grosso. Ad eccezione della Davis, dove ha divorato 11 match su 11 (solo McEnroe e Wilander hanno fatto meglio, 12 su 12) trascinando da leader tutta la squadra. Scalare il n.1, con il suo amicone Djokovic in versione Robocop al momento sembra dura, «ma ancora mi rimangono molti trofei da vincere, a partire dagli Australian Open, dove ho fatto 4 finali, a gennaio. Ora però lasciatemi godere». Well done, Andy.

 

La rivincita del Ringo Starr della racchetta

 

Ubaldo Scanagatta, il Quotidiano Nazionale del 30.11.2015

 

Dei Beatles della racchetta, gli ormai celebri “Fab Four” del tennis, Andy Murray al di fuori del Regno Unito che pur lo aveva già celebrato campione olimpico nel 2012 e Wimbledon’s King nel 2013 (76 anni dopo Fred Perry), era…Ringo Starr. Il meno noto — e corteggiato – al di fuori dei patri confini. Quasi non fosse, quest’anno, lui il n.2 del mondo del ranking Atp alle spalle dell’insuperabile Novak Djokovic. Inevitabile, peraltro, che non fosse, lui lo scozzese di Dunblane miracolosamente scampato all’eccidio di un’intera scolaresca —16 compagni uccisi da un pedofilo psicopatico e a lungo meno amato in patria del “true-English” Tim Henman di Oxford per via dell’aperta simpatia indipendentista. Che sfortuna per il simpatico Andy doversi misurare con Roger Federerei suoi 17 Slam, con Rafa Nadal (14), con Novak Djokovic (10). Di certo dopo questa decima Coppa Davis, la prima dal 1936, 79 anni dopo il solito Fred Perry che potrà finalmente riposare in pace con il suo alloro. Andy abbandona le spoglie del battérista per vestire quelle di… Paul McCartney. Ha trascinato un intero Paese e lo hanno seguito più di 3000 entusiasti rumorosissimi fans. Andy Murray, due soli Slam a 28 anni, non è soltanto il primo dal 1995 e (Sampras a Mosca contro Chesnokov e Kafelnikov) a vincere tutti i tre match di una finale di Davis, dopo aver messo k.o. in 3 set sia il modesto Ruben Bemelmans n.108 sia David Goffin n.16, e portato sulle spalle il fratello Jamie nel doppio vinto sabato in 4. Come John McEnroe nell’82 e Mats Wilander l’anno successivo, Andy ha vinto tutti gli 8 singolari disputati e anche 3 doppi con il fratello. Record che pesano. Che fanno storia, leggenda. Come la Davis vinta da Bjorn Borg nel 74, quando il n.2 svedese, Ove Bengtsson era solo n.100 del mondo. Proprio come il n.2 britannico Kyle Edmund. Corsi e ricorsi storici cari al Vico. Fino a pochi giorni fa il secondo posto ATP di Andy Murray ai danni di Roger Federer sembrava quasi usurpato. Oggi, alla luce di quest’annata di Davis, il n.2 sembra invece spettargli di diritto.

 

Storico Murray, è trionfo British

 

Alberto Giorni, il Giorno del 30.11.2015

 

Un famiglia batte un intero Paese: la finale di Gand si può riassumere così. I fratelli Murray stendono il Belgio 3-1 e riportano in Gran Bretagna per la decima volta la sospirata Coppa Davis, attesa da 79 lunghi anni, sotto gli occhi di un’orgogliosa mamma Judy (la loro prima maestra di tennis e attuale capitana di Fed Cup). Sottolineato il contributo di Jamie in doppio, il trionfo è stato un «one man show» di Andy, ancora profeta in patria dopo l’oro olimpico a Londra e la vittoria a Wimbledon del 2013, interrompendo 77 anni di digiuno britannico: scacciato definitivamente il fantasma di Fred Perry, eroe anni ’30 che non sarà più evocato per ricordare gli ultimi successi di un suddito di Sua Maestà. Andy Murray ha conquistato tutti e tre i punti: la responsabilità pesava sulle sue spalle e, da campione, l’ha trasformata in energia positiva. Per completare la missione, ieri ha messo al tappeto David Goffin 6-3, 7-5, 6-3 con autorità e una firma d’autore: un pregevole pallonetto prima di sdraiarsi su quella terra rossa che non ama, ma dove sta mostrando promettenti progressi. Il simbolo di quanto ci tenesse è la gioia fanciullesca con cui solleva l’antica Insalatiera d’argento insieme ai compagni Edmund, Ward e Inglot, per il tripudio del capitano Leon Smith e dello spicchio blu di tifosi British nel mare rosso di belgi delusi. «Non riesco a crederci — ha detto Murray prima di ascoltare commosso «God save the Queen» —, rappresentare il proprio Paese è speciale e vincere insieme a mio fratello è ancora più bello. Come festeggerò? Sono tutti su di giri, sarà dura mantenere il controllo». Lo scozzese, 28 anni, si conferma uomo Davis. Nel 2015 ha vinto gli 11 match disputati (otto singolari e tre doppi) e in carriera ha subìto solo due sconfitte, con Wawrinka e con Fognini l’anno scorso a Napoli. In assoluto la Gran Bretagna non si può considerare la nazione migliore del mondo, visto che quest’anno la Davis è stata snobbata da Djokovic, Federer e altri big; ma gli assenti hanno sempre torto e i britannici sono campioni con pieno merito. In tribuna ha esultato anche la moglie di Andy, Kim, che tra pochi mesi lo renderà padre: a Londra già si scommette se l’erede un giorno riuscirà a vincere Wimbledon…

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