La Coppa Davis non deve diventare la Coppa del Nonno! La mia proposta

Editoriali del Direttore

La Coppa Davis non deve diventare la Coppa del Nonno! La mia proposta

Ubaldo Scanagatta propone una nuova formula per rendere di nuovo attraente la Coppa Davis. È possibile far tornare la competizione agli antichi splendori?

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Nel mio articolo recentemente pubblicato dal titolo “La Coppa Davis ha le rughe” avevo scritto tra l’altro: “Ora tutti i Fab Four, Djokovic, Murray, Federer e Nadal, più Wawrinka, la Davis l’hanno già vinta e vedrete che raramente li rivedremo – o più probabilmente mai – in campo per tutte le quattro settimane che richiede la formula del World Group riservato alle 16 squadre di élite dal 1982 a oggi. Loro puntano a vincere il maggior numero possibile di Slam, ora che la Davis l’hanno gia conquistata. E allora è giunto il momento di pensare ad una riforma della stessa”.

Ebbene, non sono certo il solo a pensarla così, anche se il gruppo dei “conservatori” a tutti i costi resta foltissimo. Secondo me però questo gruppo di appassionati non si rende conto che così com’è la Davis, se non verrà più giocata da nessuno dei migliori tennisti dei mondo, rischia di morire per consunzione. Di diventare la Coppa del Nonno.

Moltissimi giocatori, vi assicuro, la pensano come me che pure amo la Davis come si amano gli dei della propria religione e fino a qualche anno fa non avrei mai pensato e voluto cambiarla.

Le problematiche sono numerose. Una delle pincipali è che se si allarga troppo il numero dei partecipanti, e quindi dei punti in palio, perde d’importanza anche la presenza dei big, perché un punto conquistato da un Federer vale quanto quello vinto o perso da un Chiudinelli, però non è più nemmeno giusto che una Davis possa essere vinta nel 2015 come nel 1900 da un solo giocatore, anche se si chiama Andy Murray (che chissà quanto si dedicherà in avvenire a tentarne la riconquista).

E se è vero che all’albo d’oro dona comunque prestigio la vittoria di Paesi tradizionalmente importanti come USA e Australia, dominatori agli albori della Coppa, o anche di nazioni poi tennisticamente “importanti” come Francia, Gran Bretagna, Svezia, Spagna, se la Davis finisse d’ora in avanti nelle bacheche di una serie di nazioni poco rappresentative dopo tutta una serie di finali ignorate dal resto del mondo – tipo Slovacchia-Croazia del 2005 – beh l’argento della Coppa si scolorirebbe impietosamente.

Un altro bel problema è come riuscire a salvare il sistema degli scontri in casa e fuori: nel 2014 il presidente della federazione svizzera ci raccontò che se non ci fossero stati gli introiti derivanti dai due incontri casalinghi (Kazakstan e Italia) il bilancio economico federale sarebbe stato ridotto della metà. Senza parlare degli effetti promozionali a cascata.

Però, attenzione: un anno fa la Svizzera riuscì a persuadere Federer e Wawrinka a giocare la Davis. Già nel 2015, quando la Svizzera affronterà l’Italia a Pesaro, Wawrinka ha detto che non ci sarà e Federer non ha garantito nulla.

Se nemmeno Roger dovesse venire l’Italia vincerà di sicuro contro il n.300 e 400 del mondo, ma che razza di evento sarà?

In questi giorni assistiamo alle giustificate manifestazioni di giubilo del presidente della Federgolf Franco Chimenti, del presidente del Coni Giovanni Malagò e di tutto lo sport italiano, perché Roma si è aggiudicata l’organizzazione nel 2022 della Ryder Cup, uno degli eventi sportivi più seguiti nel mondo che – senza denaro in palio ma solo gloria – mette di fronte sempre gli Stati Uniti e l’Europa. Avere assicurata la presenza dei migliori – cosa che l’attuale Davis non può garantire – significa avere 192 Paesi televisivamente collegati e almeno mezzo miliardo di teleschermi sintonizzati sull’avvenimento che ha una cadenza biennale e può (deve) essere organizzato con grande anticipo con la sede che si alterna fra Europa e USA, tant’è che nel 2016 si sa già che si svolgerà nell’Azeltine Club del Minnesota, nel 2018 al National di Parigi, nel 2020 al Whistling Strait del Wisconsin, nel 2022 al Marco Simone di Roma (Guidonia).

Ecco, il confronto di interesse, attenzione mondiale, fra i due eventi, Coppa Davis e Ryder Cup, si fa ogni anno più stridente. Eppure il tennis non mi pare che arrivi secondo rispetto al golf, come pratica sportiva internazionale. Non si può non rendersene conto.

Se a Bruxelles abbiamo visto in campo, in grado di conquistare punti decisivi, Bemelmans n.108 e Edmund n.100, si capisce che siamo distanti anni luce. Ecco il perchè di una necessità di una riforma.

La mia proposta è salvare i confronti casalinghi, a rotazione – chi ha ospitato un duello fra due Paesi l’ultima volta dovrà recarsi a casa dell’altro se il sorteggio li pone nuovamente di fronte – soltanto nei primi turni.

Ma la sede finale deve essere unica, e non solo per due nazioni (che altrimenti potrebbe rivelarsi un flop di pubblico). Deve essere un campionato mondiale a più squadre, come quello del calcio, del rugby, del volley. E se lo diventerà con massiccie coperture televisive vedrete che i grandi del tennis vorranno essere presenti, non dovranno più essere pregati in ginocchio dalle proprie federazioni e dall’ITF (la federazione internazionale). E scongiureremo finali con Paesi tipo Kazakistan che hanno acquistato giocatori di riserva della ex Unione Sovietica, o di piccoli Paesi dell’Europa dell’Est di scarsissimo richiamo internazionale. Una finale disputata 10 settimane dopo le semifinali diventa inevitabilmente una manifestazione “regionale”. Un primo turno in cui la nazione detentrice della Coppa Davis “campione del mondo” esce fuori dalla manifestazione due mesi dopo averla vinta, svaluta l’impresa compiuta due mesi prima. Ma che campione è mai?

Tantissimi appassionati del tennis che lo seguono nel mondo attraverso i circuiti ATP e WTA, non hanno alcuna idea di come sia strutturata la Coppa Davis, delle date in cui si disputa, di quale sia il Gruppo nel quale è compreso il proprio stesso Paese. Il potenziale della Coppa Davis così fortemente svalutato non permette, né all’ITF né alle nazioni che vi partecipano, di guadagnare quanto potrebbero, né ai tennisti di godere della sua popolarità.

Quando Pete Sampras vinse quasi da solo la Coppa Davis a Mosca, battendo Kafelnikov e Chesnokov, uscendo dal campo dopo un’epica impresa quasi in barella per i crampi, tornò a casa e si lamentò: “Negli Stati Uniti non se ne sono neppure accorti! Ho vinto una gara di cui nessuno o quasi sapeva cosa fosse e dove si giocasse!”

Una fase finale di Coppa Davis disputata in due settimane fra 8 Paesi, e trasmessa televisivamente in tutto il mondo avrebbe tutto un altro impatto, economicamente e non solo. Il golf evidentemente sa vendersi meglio. Molto meglio del tennis. Anche se John McEnroe commenta perfidamente: “Se non corri non è uno sport!”

Secondo me:

  1. I detentori della futura Coppa Davis dovrebbero ospitare la fase finale ad otto squadre dell’anno successivo. Venendo esentati dalla disputa del primo turno.
  2. La finale dovrebbe durare due settimane e comprendere quarti, semifinali e finale.
  3. La data dovrebbe essere imposta verso fine settembre. Non troppo distante dall’US Open che per molti è la fine… della stagione che conta davvero.
  4. Il World Group dovrebbe essere allargato dalle attuali 16 a 29 nazioni.
  5. Due turni iniziali, in casa e in trasferta dovrebbero essere giocati fra aprile e luglio per comprimere il più possibile le date onde evitare che… si dimentichi che la Coppa Davis esiste.
  6. In queste due settimane non tropo distanti fra loro giocherebbero sette gruppi di quattro squadre per ciascun gruppo, ciascuno impegnata in sfide ad eliminazione. In pratica due semifinali nella prima settimana e la finale fra le due squadre vincitrici nella seconda. Nella seconda le squadre perdenti in semifinale giocherebbero i play-out per non retrocedere dal World Group. Tutti questi match continuerebbero ad essere giocati come con l’attuale regolamento per stabilire sulla base dei precedenti se un match deve essere giocato in casa o in trasferta.
  7. Alla fine di queste due settimane, sette sarebbero le squadre qualificate per la fase finale, insieme all’ottava che è quella che ha vinto l’anno prima e che ospita il “mondiale”, avendo un anno di tempo per prepararlo degnamente.
  8. Per i big non cambierebbe l’impegno: in tutto quattro settimane l’anno. E nei primi turni le nazioni più forti potrebbero anche servirsi di qualche rincalzo. Gli incassi per le federazioni che contano sui match casalinghi avrebbero la possibilità di ospitare sia il match della semifinale, sia quello della finale del gruppo di quattro squadre (oppure quello dei play-out).

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