Australian Open, un torneo meno brutto di come lo si dipinge

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Australian Open, un torneo meno brutto di come lo si dipinge

Passati i clamori dello Slam “Down Under” si può provare ad abbozzare un bilancio. Djokovic ha l’aria di voler durare ma già questo sarebbe sorprendente. E il tennis femminile sembra in un momento in cui tutto può succedere. Anche che Serena WIlliams torni a vincere

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Da un po’ di tempo a questa parte, complice probabilmente il povero Nole, addetti ai lavori e semplici tifosi sembrano presi da un incontenibile spleen: il tennis, dicono, non è più divertente. Partite scontate, gioco monocorde, giovani che non emergono, emozioni che arrivano solo per qualche mattana del Kyrgios di turno, visto che ormai anche le sconfitte di Rafa sembrano poter essere rubricate alla voce “già visto”. È stato così a Wimbledon e a New York e adesso anche Melbourne rischia di finire nello stesso calderone. Stanno davvero così le cose?

Intanto cominciamo col precisare che questo lamento è davvero difficile che riguardi il tennis femminile. Se ci limitiamo agli ultimi tre slam – e magari il master o le finals o (cit) “come diavolo si chiamano ora” – non sono mancate né le sorprese, né le belle partite, né un gioco a volte brillante. Abbiamo ancora sotto gli occhi gli psicodrammi di Serena contro Heather Watson, le meravigliose partite di Roberta, le imprese della Maga. E se davvero le partite sono così scontate alzi la mano chi aveva predetto le ultime due vincitrici slam e lo porterò nel fondo del mio cuore (altra citazione, più dotta ma più riconoscibile). Del resto lo sterminio delle teste di serie nei primi turni di Melbourne può far intristire chi crede che sia possibile definire se il livellamento è verso il basso o verso l’alto; non riuscendoci, preferiamo approcciarci alle partite gustandoci il fatto di non sapere come andrà a finire.  Gli italiani sembrano particolarmente depressi, per via del ritiro di Flavia Pennetta, per l’annunciato ultimo anno di Roberta Vinci e per il periodo non felicissimo di Sara Errani. E in molti si chiedono se puntare su Camila non sia un azzardo eccessivo. Intanto – e purtroppo – non ci rimane granché da fare. Le seconde linee sono abbastanza lontane e saremmo molto sorpresi se arrivassero buone notizie dalla Francia nel prossimo fine settimana. E poi forse bisogna uscire dall’equivoco con questa ragazza, che da un po’ di tempo ci sembra che perda le partite che deve perdere, visto che le ultime due rivali si chiamano Angelique Kerber e Serena Williams. A proposito della quale è difficile capire cosa pensare. In apertura di torneo sembrava un bluff, il definirsi “al 130% della mia forma”. Ma poi in finale ci è arrivata in carrozza, demolendo Maria Sharapova (se Camila Giorgi è sprovveduta tatticamente la siberiana cos’è? cieca?) e Agnieszka Radwanska, che forse aveva qualche velleità. In finale sono tornati i fantasmi, probabilmente il livellamento del tennis femminile riguarda anche lei. Non è più vero che è la stra-favorita di ogni torneo, ma è vero che potrebbe vincerlo. Come tante altre, a partire da Victoria Azarenka.

Sul tennis maschile forse (forse) gli alti lai sono più giustificati, visto che il tennis sta diventando quello sport con due giocatori, due racchette, una palla e in cui alla fine vince Djokovic. Il tabellone è stato abbastanza avaro di sorprese e purtroppo anche di belle partite. Dovessimo sceglierne una per turno forse qualche difficoltà l’avremmo. Però di nuovo dipende un po’ dal nostro punto di vista. Il tiebreak del quarto set tra Seppi e Gabashvili è stato emozionante; lo stesso Seppi è arrivato a due set point contro Djokovic e solo il braccino dell’altoatesino ha permesso al serbo di uscire indenne da quel terzo set. Djokovic sarà costretto al quinto da Simon, anche se ha dato la sensazione di poter essere in grado di accelerare senza scomporsi più di tanto. Ma inutile parlare di Djokovic. Però forse è inutile parlare anche di Murray, che ha sofferto in semifinale con Raonic, andando sotto due set a uno e forse approfittando di un problema fisico del canadese. Ecco, forse chi si lamenta dovrebbe seguire con maggiore attenzione Milos. Certo, difficile impazzire per lui, ma Raonic è quello che ha fatto vedere le maggiori novità. Intanto con Piatti hanno deciso di prendere la rete costi quel che costi. Lo ha fatto con Wawrinka e lo ha rifatto con uno che, come Murray, è in grado di farti pentire amaramente di esserti aggirato dalle parti del giudice di sedia. Raonic poi ha sempre avuto un dritto più che buono ma durante gli Australian Open ha messo in mostra un dritto strettissimo a uscire di enorme difficoltà e di grandissima efficacia. Certo, il problema è che il canadese dev’essere sempre al massimo della sua forma fisica, perché anche il millesimo di secondo di ritardo, rischia di far andare quel dritto ovunque ma non in campo. In ogni caso Raonic è il giocatore che maggiormente attenderemo alle riprese delle ostilità.

Ma per quanto non sia riuscito a far partita con Murray, anche Bernard Tomic non è uscito malissimo dal torneo. Perdere con Murray ci sta, non è uno scandalo, e l’australiano ha forse avuto il torto di crederci poco. Ma conforta il fatto che Tomic non pare più propenso a sbalzi di rendimento, anche se rimane misterioso il motivo che lo ha porta a Quito questa settimana. E in fondo la stessa cosa si può dire per Kyrgios, perché si possono fare tutte le battute che si vogliono su Tomas Berdych, ma il ceco è uno che da anni è tra i primi dieci e più dalle parti del numero 5 che da quelle del numero 10. Se vinci con Tomas insomma, significa che sei un Fab Four (o Five o insomma) quindi non è che se perdi sei diventato l’ultimo degli scemi.  Se aggiungiamo che Fritz è uscito al quinto contro Sock e che Dolgopolov si è fermato anzitempo solo perché ha incocciato Federer, forse qualcosa da salvare c’è stato. Per quanto possa mettere un po’ di tristezza vedere il povero Nadal sballottato in quel modo, la partita con Verdasco è stata ricca di pathos; la già citata partita di Raonic contro Wawrinka tecnicamente è stata più che valida e insomma qualche consolazione qui e lì sembra lecito trovarla. Certo, rimane negli occhi anche lo scriteriato quarto di finale giocato da Nishikori, l’unico che brekkava Djokovic come e quando voleva e in cambio restituiva qualsiasi cosa passasse dalle parti del suo dritto; o il povero Dimitrov che a questo punto sembra quasi perduto per il grandissimo tennis. E anche la sensazione di ineluttabilità di semifinale e finale di Djokovic con due avversari che però, per un motivo o per l’altro, non erano proprio nelle migliori condizioni per impensierirlo. Ecco, se qualcosa sembra che manchi al tennis contemporaneo è un “numero 2” all’altezza. Il numero 1 l’abbiamo ed è più che degno del ruolo. Ma il numero 2, quello che Nadal è stato per Federer, Agassi per Sampras – ed è meglio fermarsi… – quello ancora non ce l’abbiamo. Per quanto tempo? Chissà, in fondo Djokovic compirà 29 anni a maggio e non sono tantissimi i giocatori che hanno dominato dopo quell’età. A memoria francamente non ne ricordiamo. Ci sono stati giocatori che hanno vinto slam e che sono stati numeri uno, ma dominatori no, neanche Federer per dire. Se davvero Djokovic è interessato ai record, cominci a battere questo, gli altri verranno di conseguenza.

Sugli italiani non possiamo che ripetere sempre le solite cose. Bravo Seppi, peccato per Fognini, Lorenzi e Cecchinato sono dei bravi figli ecc. ecc.  Vabbè.

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