Quindici spunti dagli Australian Open femminili

Al femminile

Quindici spunti dagli Australian Open femminili

I timori di Victoria Azarenka, Maria Sharapova e Kristyna Pliskova; le fortune di Zhang Shuai e le sfortune di Misaki Doi; il successo del tennis tedesco e il paradosso di quello australiano. E altro ancora sugli Australian Open 2016

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La sorprendente finale di Melbourne, con l’affermazione di Angelique Kerber ha rischiato di travolgere molti degli avvenimenti che erano accaduti agli Australian Open nei quindici giorni precedenti.
Questa settimana cerco di recuperare alcuni spunti che il torneo ha suggerito. A differenza del solito, però, nessuno è approfondito, anche perchè non sarebbe bastato lo spazio; ma forse su alcuni ci sarà il tempo di tornare con più calma in futuro.

1. I successi del tennis tedesco
Questo post l’avevo scritto dopo cinque giorni di torneo, come semplice considerazione sulle prime fasi degli Australian Open; poi però mi ero dimenticato di inserirlo nei commenti di Ubitennis (effetti collaterali degli orari notturni australiani):
“Il tennis tedesco mi sta sorprendendo per la capacità di rigenerarsi. E’ vero che sono uscite nei primi due turni Petkovic e Lisicki, Barthel e Goerges, Witthoeft e Maria (e non so se ho dimenticato qualche nome); ma in compenso sono ancora in corsa con Kerber, Friedsam, Siegemund e Beck. E per l’effetto della composizione del tabellone, se Kerber battesse Madison Brengle sarebbe certa la presenza di almeno una giocatrice tedesca nei quarti di finale.
A questa generazione per il momento è mancato l’acuto (il massimo raggiunto è stata la finale a Wimbledon di Lisicki) che invece è riuscito ad esempio al tennis italiano con gli Slam di Schiavone e Pennetta; ma se confrontiamo in prospettiva il movimento femminile italiano con quello tedesco, ipotizzando come potrebbero essere fra cinque anni, allora la valutazione si ribalta completamente”.
In quel momento come traguardo alla portata del tennis tedesco mi sembrava più plausibile un successo in Fed Cup. Invece nel giro di pochi giorni ci ha pensato Kerber a riempire la casella addirittura delle vittorie Slam.

2. Anna-Lena Friedsam: indoor e outdoor
Le doti di Anna-Lena Friedsam sul piano fisico-tecnico non passavano inosservate. Fra le cause che però le avevano impedito di raggiungere risultati all’altezza, secondo me c’era la difficoltà a costruire tatticamente lo scambio nel modo migliore.
Direi però che in linea generale è spesso così: chi pratica un tennis molto scarno, basato su pochi colpi, ha meno problemi a organizzare schemi adatti alle proprie caratteristiche, proprio perché le variabili a disposizione sono limitate. Chi invece ha molte alternative nel proprio arsenale di solito ha bisogno di tempi più lunghi per maturare tatticamente. A Melbourne Friedsam ha cominciato a “mettere insieme” i diversi pezzi del suo gioco, riuscendo per alcuni set contro Vinci e Radwanska a dare una maggiore efficacia al proprio tennis.
Va anche ricordato che ha disputato indoor entrambi i match e, visti i buoni risultati ottenuti in passato al coperto, probabilmente questo l’ha aiutata. Dopo il complicato 2015 (a causa del cambio di coach e di problemi al ginocchio) in questa stagione sarà interessante capire se i progressi saranno confermati anche outdoor.

3. Vika Azarenka e le occasioni mancate
Comincio con una ovvietà: per chi viene da periodi difficili, ritornare ai vertici significa anche dover recuperare la capacità di gestire la tensione determinata dalle grandi occasioni che tornano a presentarsi. Il percorso di risalita è impegnativo, e non sempre è sufficiente avere ritrovato la condizione fisica e quella tecnica: manca ancora il “clic” relativo alla condizione mentale; perché un conto è sconfiggere un’avversaria qualsiasi, un conto la numero uno del mondo. E un conto è giocare bene nel torneo WTA di Brisbane, un conto in uno Slam.
Per quanto riguarda Azarenka la questione era già emersa in occasione della partita di Madrid 2015 contro Serena: tre doppi falli consecutivi con cui aveva mancato l’ultimo dei tre match point e poi perso il game sul 6-5 terzo set. Che ancora qualcosa non quadri sotto questo aspetto si è visto anche a Melbourne contro Kerber: dopo l’inizio contratto che le era costato il primo set, Vika sembrava aver girato l’inerzia a suo favore, tanto da portarsi avanti nel secondo set per 5-2 40-0; però, malgrado cinque set point non è riuscita a chiudere il set, finendo per perdere cinque game consecutivi per il definitivo 3-6, 5-7.

4. Sharapova contro Serena Williams
Ecco alcuni dati relativi al rendimento al servizio di Sharapova negli ultimi Australian Open:
contro Hibino: 61% di prime, 11 ace, 2 doppi falli (ace – df: +9)
contro Sasnovich: 56% di prime, 4 ace, 3 doppi falli (+1)
contro Davis: 62% di prime, 16 ace, 5 doppi falli (+11)
contro Bencic: 47% di prime, 21 ace, 7 doppi falli (+14)
contro Serena: 55% di prime, 3 ace, 7 doppi falli (- 4)

Ho scritto di recente sulla rivalità tra Serena e Maria, in particolare per quanto riguarda i loro confronti australiani. Pensare che il record negativo di Sharapova contro Williams (19 sconfitte, di cui 18 consecutive) sia frutto esclusivamente di un complesso psicologico vorrebbe dire non conoscere le caratteristiche tecniche delle giocatrici: senza dubbio il maggiore problema di Maria dipende da una componente fisico-tecnica, visto che si trova di fronte una giocatrice che le disinnesca le armi migliori. Ma a mio avviso che ci sia anche una parte di incidenza della componente mentale, magari piccola, lo si deduce dai numeri citati sopra.

5. Il reset di Petra Kvitova
Dopo il 2015 condizionato dalla mononucleosi, prima che cominciasse la nuova stagione Kvitova ha annunciato che gli ultimi esami clinici non hanno più rivelato anomalie: dovrebbe essere finalmente guarita. Ma il 2016 è iniziato con seri problemi tecnici; non mi ricordo di averla vista così mal messa nella esecuzione di certi colpi: servizio poco incisivo e, soprattutto, problemi di timing dalla parte del rovescio. Dopo la netta sconfitta contro Gavrilova è arrivata la decisione di divorziare dallo storico coach David Kotyza.
Dovessi sintetizzare la situazione, direi che è come se Petra stesse ripartendo da zero: per quanto riguarda la salute, il team tecnico ma anche la condizione di forma, particolarmente deficitaria.

6. La delusione delle giovani
Dopo il 2014 con la costanza ad alti livelli di Bouchard (due semifinali e una finale), e il 2015 con la semifinale di Keys agli Australian Open e la finale a Wimbledon di Muguruza, sono già due gli Slam in cui le giovani non riescono ad arrivare in fondo. A New York Mladenovic si era fermata ai quarti, a Melbourne nessuna è andata oltre il quarto turno.
Ricordo infatti che, pur essendo una novità, Joanna Konta compirà 25 anni fra tre mesi (è nata il 17 maggio 1991) e quindi è un po’ troppo ottimistico considerarla una giovane. Non penso che questa mancanza di nuove leve sia un dato destinato a diventare strutturale, ma non resta che aspettare i prossimi Slam per scoprire se sarà vero o no.

7. Sloane Stephens, ancora incompiuta
Nel 2013, a soli 19 anni, Stephens era stata protagonista di un eccezionale Australian Open, quando aveva sconfitto Serena Williams ed era stata eliminata in semifinale anche grazie ad una gestione del MTO piuttosto discutibile da parte di Azarenka. Quest’anno Sloane si era presentata a Melbourne fresca del secondo titolo in carriera (vittoria ad Auckland, senza perdere un set). Vale a dire con buone aspettative; risultato: fuori al primo turno dopo un secco 6-3, 6-3 contro la qualificata Qiang Wang.
Malgrado tutto, rimango dell’idea che Sloane sia la più completa sul piano tecnico fra chi è attorno ai vent’anni, e che fisicamente abbia tutto per giocare bene a tennis: grande velocità, reattività ma anche potenza e discreta resistenza. Però a me spesso dà la sensazione che non riesca a scendere in campo con la giusta convinzione e applicazione.

8. I progressi tecnici di Kristina Mladenovic
Una delle partite più combattute del torneo è stata quella vinta da Gavrilova contro Mladenovic (6-4, 4-6, 11-9). Curiosità: il match è stata la rivincita della finale Roland Garros Junior 2009, allora a favore dalla giocatrice francese per 6-3, 6-2.
Devo però dire che, malgrado la sconfitta, mi ha colpito in positivo Mladenovic: per la prima volta da quando l’ho vista giocare in una situazione di grande stress, il suo rovescio non è andato in crisi. Non sono mai stato del tutto convinto sulle possibilità ad alto livello di Kiki proprio per questo problema: nei momenti davvero importanti affioravano evidenti i problemi legati al colpo più costruito (il rovescio).
Contro una giocatrice molto rapida come Gavrilova non sempre era possibile ricorrere al dropshot, che Mladenovic spesso utilizza per evitare di spingere dalla sua parte sinistra; e così, anche se a Melbourne ha perso, ha finalmente colpito di rovescio con buona efficacia mostrando non solo più coraggio, ma soprattutto un progresso tecnico nel colpo più debole. Se i miglioramenti saranno confermati, allora penso che i traguardi alla sua portata possano diventare più ambiziosi.

9. Kristyna Pliskova, record di ace ma anche di timori
Per quanto mi riguarda gli ultimi Australian Open sono stati l’occasione per approfondire la conoscenza di Kristyna Pliskova, che ultimamente era un po’ scomparsa dai radar, offuscata dei progressi della gemella Karolina.
Qualche ragione sul perché Karolina sia entrata in top ten mentre invece la sorella mancina Kristyna fatichi a superare la soglia delle prime cento mi pare sia emersa; tutte e due servono molto bene, ma nei fondamentali dello scambio secondo me Karolina è molto più incisiva e coraggiosa.
Parlo di coraggio perché mi ha colpito il modo in cui Kristyna ha affrontato i punti importanti sia contro Stosur che contro Puig: efficace e aggressiva, in grado di sfornare ace a ripetizione se si trattava di risalire nel game o nel set; ma invece titubante e incerta quando si trattava di consolidare le situazioni di vantaggio per chiudere i game e vincere il match.
Contro Stosur è stata aiutata dai cronici timori che affliggono Samantha quando gioca di fronte al pubblico di casa; ma contro Puig non sono bastati match point consecutivi per avere la meglio: avanti 6-4 nel tiebreak del secondo set, Pliskova ha perso quattro punti di fila, nei quali invece che giocare il dritto normale si è messa a colpire il dritto slice, in stile Niculescu, tanto il “braccino” la paralizzava. Di fronte a queste incertezze anche i 31 ace messi a segno, record per il tennis femminile, diventano insufficienti e si perdono incontri che sembrano già vinti (6-4, 6-7(6), 7-9).

10. Il paradosso del tennis australiano
Dopo Samantha Stosur e Casey Dellacqua, che ormai hanno una certa età, il ricambio del tennis femminile australiano sembra sia affidato alle tenniste europee. Giocatrici cioè che acquisiscono la nazionalità per matrimonio o per accordi con la federazione australiana in cambio di aiuti e assistenza tecnica: Gajdosova, Tomljanovic, Gavrilova. La promessa australiana di nascita e formazione  Ashleigh Barty solo da poco è tornata a in campo, dopo aver attraversato un lungo periodo di dubbi e incertezze.
Ma la questione diventa quasi paradossale se si pensa che invece per la Gran Bretagna giocano una tennista nata a Melbourne (Laura Robson) e una a Sydney (Joanna Konta).

11. Joanna Konta, nuova senza novità?
Metto subito le carte in tavola: Joanna Konta, la semifinalista di Melbourne 2016, non mi entusiasma.
Confesso che la conoscevo poco prima dei grandi progressi del 2015 e, siccome non mi piace spacciare per miei ragionamenti altrui, riporto quanto ho sentito durante una telecronaca di Eurosport inglese: il suo punto debole era il dritto e sarebbero stati proprio i progressi su questo colpo a permetterle il notevole salto di qualità degli ultimi mesi.
E oggi com’è? Una giocatrice alta 1,80, con una discreta mobilità, un bel servizio solido e una costante spinta nei due colpi da fondo. Sulla efficienza dei tre colpi-base non ci sono dubbi; ma poi è davvero difficile che di sua iniziativa ricorra ad altre soluzioni durante gli scambi. Quando l’ho vista sconfiggere Andrea Petkovic a Flushing Meadows 2015 ho pensato fossero due giocatrici piuttosto simili, solo che Joanna sbagliava un po’ meno e serviva un po’ meglio di Andrea.
Konta pratica cioè un tennis “basico”, ma non per questo poco efficace. In fondo anche Bouchard è stata accusata di essere ripetitiva, ma questo non le ha impedito di raggiungere ottimi risultati. Però l’anticipo della miglior Bouchard forse non ha eguali nel circuito (specie dal lato del rovescio) e questo se non altro la rende una giocatrice più caratterizzata rispetto a Konta.
A questo punto se Joanna saprà confermarsi ad alti livelli, ci saranno molte altre occasioni per seguirla e, per quanto mi riguarda, per cercare di capire un po’ meglio quali sono le sue particolarità.

12. Il ritorno di Anastasija Sevastova
Si è molto parlato della vicenda di Zhang Shuai (vedi dopo), ma a Melbourne non è stata l’unica giocatrice presente che ha attraversato clamorosi alti e bassi nella carriera; ancora più estremo è stato il caso di Anastasija Sevastova. Dopo essere anche stata tra le prime 40 del mondo e aver raggiunto il quarto turno agli Australian Open 2011, aveva annunciato il ritiro a soli 23 anni (è nata nel 1990) a causa dei continui infortuni. Ma poi all’inizio del 2015 è tornata a giocare e, ripartendo da zero, in una sola stagione è arrivata a ridosso delle cento. Se non sbaglio, nel 2015 nessuna ha compiuto un salto in avanti nel ranking WTA altrettanto grande.
Nel 2016 ha superato i tre turni di qualificazione agli Australian Open, conquistando un posto nel main draw di uno Slam dopo quattro anni di assenza dal grande tennis (ultimo Major disputato gli US Open 2011). Nel tabellone principale ha superato una acciaccata Gajdosova prima di perdere (6-3, 6-3) da Ana Ivanovic. E così, quasi all’improvviso, il tennis lettone si ritrova con due tenniste degne di nota, visto che oltre a Sevastova si sta affacciando ad alti livelli anche la giovanissima Ostapenko.

13. La fortuna di Zhang Shuai
La vicenda di Zhang Shuai è stata raccontata durante il torneo da tutti i media; a volte forse colorandola un po’ troppo, nel senso che pur essendo numero 133 del ranking non era proprio una sconosciuta; era pur sempre una ex numero 30, con qualche buon risultato alle spalle: successo in un International, quarti di finale a Roma, semifinale a Birmingham, vittorie contro Kvitova, Kuznetsova, Stephens etc.
A Melbourne ha disputato addirittura otto partite (vincendone sette): cinque nel tabellone principale e tre nelle qualificazioni. Nelle qualificazioni è stata la giocatrice che è emersa dal settore di Francesca Schiavone, grazie alla vittoria per 8-6 al terzo set contro Virginie Razzano (che aveva battuto Schiavone).
Prima degli Australian Open “vantava” un record negativo: quattordici partecipazioni nel main draw e quattordici sconfitte al primo turno. Tabù infranto superando addirittura la testa di serie numero 2 Simona Halep.
Negli ultimi tempi è difficile esprimere valutazioni certe sulle condizioni fisiche di Halep, per cui non so dire se il problema al tendine di Achille possa aver influito sull’esito della partita. Di sicuro però Zhang ha trovato al secondo turno Alizè Cornet menomata da un infortunio all’adduttore, e poi al quarto turno Madison Keys improvvisamente incapace di muoversi e di colpire con il rovescio a causa di un dolore alla coscia sinistra. Dopo quattordici sconfitte, molte dovute a sorteggi particolarmente impegnativi, a Melbourne Shuai è stata risarcita dalla buona sorte tutta in una volta.

14. La sfortuna di Misaki Doi
A proposito di fortuna. La giocatrice più sfortunata negli ultimi Slam? Forse Misaki Doi, la piccola (statura 1,59) mancina nata nell’aprile 1991 a Yokohama.
Roland Garros 2015: contro Ivanovic, Doi aveva messo sotto la sua avversaria (che poi sarebbe arrivata in semifinale) per un set e mezzo, grazie a un tennis di alto livello, con una aggressività oltre i suoi standard di gioco. A Parigi sembrava sul punto di travolgere la testa di serie numero 7 a suon di vincenti; invece Ana, al contrario del solito, era stata bravissima a non perdere la testa e a tenere duro, aspettando un leggero calo di Doi per risalire la corrente e chiudere il match a suo favore (3-6, 6-3, 6-4).
US Open 2015: a New York invece aveva perso da Bencic dopo aver mancato tre match point sul 7-5, 6-5 0-40 (servizio Bencic). Una partita che era stato uno psicodramma, con Belinda in lacrime per le valutazioni arbitrali (a suo dire) ingiuste, in un campo senza hawk-eye. Sfumati i tre match point consecutivi, Doi aveva finito per perdere 7-5, 6-7, 3-6.
Infine a Melbourne non ha sfruttato il match point al primo turno contro Kerber: sul 7-6, 6-5 30-40 (servizio Kerber). Molto scarno lo scambio fatale: servizio a uscire di Angelique e risposta fuori di Doi. Partita poi persa 7-6, 6-7, 3-6.
Mi rendo conto che parlare solo di sfortuna è limitativo: però a volte i match point si convertono anche con l’aiuto dell’avversaria, che in tutti questi casi non è mai arrivato. Al di là dei successi solamente sfiorati, credo che in queste occasioni Doi abbia comunque mostrato che il suo dritto è diventato sempre più incisivo e che può giocare un tennis superiore alla sua attuale classifica; se saprà confermarlo e non farsi abbattere dai tanti match finiti male, potrebbe scalare diverse posizioni nel ranking.

15. “Operazione 21”
Chiudo con un pensiero sciocchino e trascurabile. La sconfitta di Serena Williams contro Roberta Vinci agli US Open non solo le ha impedito di conquistare il grande Slam, ma anche di eguagliare il numero di Major vinti da Steffi Graf: 21 a 22.
Veder perdere Serena per mano dell’ultima giocatrice rimasta nel circuito con il rovescio alla Graf (cioè un monomane slice), mi aveva fatto immaginare che ci fosse un legame particolare tra Roberta e Steffi. Una specie di agente speciale, mandato in missione per salvaguardare il suo record.
Eccola lì, Graf, che segue la fatidica semifinale dalla stanza segreta nel covo del deserto del Nevada (ormai abita a Las Vegas); e che davanti allo schermo, accarezzando il gatto come nei film di 007, si gode i frutti ottenuti grazie alla sua arma a sorpresa: lo slice di rovescio, appunto.
Ora la “Operazione 21” è continuata con una seconda agente in azione, Angelique Kerber, che ha bloccato Williams dopo essere stata addestrata personalmente da “Fräulein Forehand”.
In vista dei prossimi Slam, sono in rampa di lancio nuove risorse: Petkovic e Goerges per la terra rossa di Parigi, mentre per l’erba di Wimbledon c’è naturalmente Sabine Lisicki, che un dispiacere a Serena lo ha già procurato, e che oltretutto di queste missioni se ne intende:

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