Dai Vinci, la top-ten ti aspetta (Azzolini). La Vinci 2.0 in finale a San Pietroburgo: “Sono tranquilla, il mio tennis funziona” (Cocchi)

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Dai Vinci, la top-ten ti aspetta (Azzolini). La Vinci 2.0 in finale a San Pietroburgo: “Sono tranquilla, il mio tennis funziona” (Cocchi)

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Dai Vinci, la top-ten ti aspetta (Daniele Azzolini, Tuttosport)

Godibilissimi intrecci prendono forma là dove il tennis vale punti preziosi e un’iscrizione al Club delle top-ten. Roberta Vinci nell’anno dell’annunciato ritiro s’è messa a giocare come mai aveva fatto prima, e oggi è in finale a San Pietroburgo, da poco Premier, e dunque è la terza, in questa eccellenza, delle quindici finali fin qui raggiunte (di cui nove vinte). Ieri ha infilzato Ana Ivanovic, in due set che sono sembrati due fendenti di sciabola, data l’attenzione con cui Roberta ha affondato il back tagliente per trovare i giusti appoggi alle conclusioni con il dritto. Lo schema cercato per tutta una vita, e che ora fluisce rigoglioso come non s’era mai visto e la sospinge a imprese agonistiche a dir poco rimarchevoli, come il recupero da 0-3 a 5 pari nel primo set contro la bellissima serba, per poi sfilarle rapida sotto il naso, chiudere 7-5, e non lasciarle più alcuna chance. Evidentemente c’è un prima e un dopo Serena, nella vita agonistica di Roberta, proprio come c’è un prima e un dopo Vinci in quella della Williams. E le risposte, se vi va di sorprendervi, sono esattamente all’opposto, avendo sprigionato nella nostra – quella semifinale di New York – i feroci ferormoni che la guidano alla definitiva appropriazione di se stessa, che nel tennis si traduce con “credere finalmente nei propri mezzi”. Eccola l’autostima, che ti solleva a un palmo da terra svuotando la zavorra dei dubbi. Proprio ciò che sembra affliggere Serenona, cui la Vinci ha inoculato il terribile virus dell’incertezza, e la Kerber ha distrutto ogni speranza di tornare a dettar legge come se niente fosse accaduto. Al punto che c’è chi sostiene, nell’esuberante clan della numero uno, che saranno proprio le sconfitte a rimetterla in cammino, per l’ultimo tratto di carriera. Generosi capitomboli che la obbligheranno a scuotersi da dentro, e a ritrovare la rabbia perduta. Ma torniamo agli intrecci sul rapido parquet del St. Petersburg Ladies Trophy, nella Sibur Arena. Sappiate che Roberta ha forse rinunciato alla Fed Cup (ma per il match di aprile, con la Spagna, è bell’e pronta un’accorata mozione dei sentimenti), di certo non all’idea di un approdo fra le prime dieci, che se prima era i1 sogno di una carriera, a lungo accarezzato ma poi fattosi di nebbia (è stata la numero 11, Roberta, per chi lo avesse dimenticato), ora la nostra merita a pieno titolo, tanto più in un momento in cui il tennis femminile sta provando a ribaltare gli scenari degli ultimi anni. A tale scopo, San Pietroburgo vale, già oggi, trecento punti, dunque una risalita di tre, forse quattro posizioni. Ma in quella zona del ranking, va detto, c’è un bel po’ di animosità fra le varie concorrenti. Venus Williams (numero dodici) è in finale al Taiwan Open, mentre dalla Top Ten prima o poi scivoleranno via Flavia Permetta (ancora settima) e Lucie Safarova, decima e infortunata. E dunque, chi potrebbe rallentare la marcia di Roberta? Proprio lei, Belinda Bencic, la svizzera quasi diciannovenne, numero undici in classifica, anch’essa finalista a San Pietroburgo grazie a una vittoria senza sussulti sulla diciottenne Kasatkina, una che presto farà parlare di sé. Belinda che ha tutto per diventare, prima o poi la numero uno del mondo, e ha colpi talmente robusti da creare un vero e proprio sbarramento per chiunque tenti di ghermirla. Ma Roberta, lo sapete, ha colpi differenti da ogni altra giocatrice del circuito, ha qualità tattiche, «mi piace inquadrare il gioco della mia avversaria e trovare il modo per destabilizzarla», dice sempre. Dunque sarà un test nuovo (mai incontrate prima) e molto serio anche per la svizzera, che ormai si muove preceduta dal coro dei complimenti, e ha trovato in Martina Hingis un’abile insegnante di una delle materie chiave del tennis, la lucida cattiveria. Un test che vale un posto fra le dieci per Belinda, e una posizione da cui spiccare il balzo definitivo per Roberta. Un altro match da vedere.

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La Vinci 2.0 in finale a San Pietroburgo: “Sono tranquilla, il mio tennis funziona” (Federica Cocchi, La Gazzetta dello Sport)

Vedi Roberta Vinci andare subito sotto 3-0 nella semifinale di San Pietroburgo, contro la Ivanovic, di 5 anni più giovane, e pensi: «Ahia». Sbagliato. Perché la Vinci 2.0, per intenderci quella che è nata dopo la semifinale degli Us Open, un po’ è cambiata. Oggi Roberta affronta Belinda Bencic nella prima finale di un Wta Premier in carriera, è un po’ è merito anche di quel giorno a New York. Dopo aver subìto il break ed essersi ritrovata sotto 3-0 contro la Ivanovic, sempre molto brava a leggere il suo gioco, Roberta chiama Francesco Cinà per il coaching. Il tecnico dice «kick al corpo», e lei esegue, prende coraggio, si sblocca, inizia a fare il proprio gioco e chiude il quarto game 40-15. Robi inizia a mettere pressione alla Ivanovic, che dimostra ancora una volta i limiti caratteriali e si spaventa quando trova un’avversaria aggressiva, e a quel punto il controbreak è una conseguenza naturale. Roberta riaggancia il match nel gioco successivo portandosi sul 3-3. Tutto scorre più o meno tranquillo, con l’azzurra che salva una palla break nell’ottavo gioco. Ma è nell’undicesimo che la Vinci dimostra classe e solidità mentale, con il break che la porta a servire per il set. La Ivanovic dà segni di reazione arrivando fino al 30-30, ma Roberta non spreca il set point e chiude il parziale 7-5. Il secondo set è sostanzialmente equilibrato, a metà del set anche Ana chiama il coaching ma Nigel Sears, suocero di Andy Murray e fresco nonno, le dispensa consigli non troppo utili: «Sei stata sfortunata nel primo set, stai andando alla grande, non giocarle sul rovescio». Il discorso ha lo stesso effetto della cryptonite su Superman e la serba si fa rubare il servizio. Roberta mantiene il vantaggio fino alla fine e si porta casa la partita e la finale numero 15 della carriera. Se oggi dovesse vincere, e Venus Williams non conquistasse il torneo a Kaohsiung, Robi potrebbe arrivare al- numero 12 del ranking mondiale, in caso contrario sarebbe numero 13, con la prospettiva di entrare nella top ten dopo il torneo di Dubai. E dire che la «vecchietta» Roberta, a una manciata di giorni dal compleanno numero 33, era reduce dalla battaglia di due ore e mezza con Timea Babos il giorno prima. «Una partita lunga, ma ho recuperato in fretta perché tra l’Australian Open e questo torneo sono tornata a Palermo e ho ricaricato un po’ le batterie… si è visto?». Eccome, il tono di Roberta è allegro, si rilassa con Sanremo e tifa l’amica Francesca Michielin. Il buon umore va di pari passo con la solidità mentale: «In questi match sono stata brava, soprattutto dal punto di vista psicologico. Sicuramente la partita di New York con Serena mi ha dato tanta carica e fiducia in me stessa, ma io penso che se sei tranquilla fuori dal campo, non ti metti troppe aspettative addosso e lotti, riesci a rendere di più. II tennis poi ti viene dietro, è una conseguenza. Anche il mio coach è fondamentale: mi conosce alla perfezione, sa bene cosa dirmi nei momenti delicati della partita». Oggi con la Bencic sarà un match inedito: «Non ci ho mai giocato. E’ giovane, e già top ten, molto talentuosa. Non tira troppo forte ma è molto intelligente e spesso toglie il tempo alle avversarie. Dovrò fare il mio gioco, essere aggressiva e cercare di farla muovere». Giovedì sarà il suo compleanno e Robi ha già in mente un regalo: «Già, ma non ve lo dico, altrimenti che sorpresa è?». Oggi è il giorno giusto per un bel regalo.

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