Nadal attacca: "Mostrate i miei test" (Semeraro)

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Nadal attacca: “Mostrate i miei test” (Semeraro)

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Nadal attacca: “Mostrate i miei test” (Stefano Semeraro, Corriere dello Sport)

Chiunque abbia frequentato un po’ Rafa Nadal fa fatica a non apprezzarne la genuinità, la cordialità, il senso dell’umorismo, l’umiltà, il fair-play, l’etica del lavoro: in due parole, quelle che si definiscono qualità umane. Fra le quali c’è anche la pazienza biblica con cui per quasi quindici anni “el niño” ha sopportato sussurri e grida, bisbigli e velenucci di chi lo accusa, più o meno apertamente, di essere dopato. Quando però a tirare il sasso è stata Roselyne Bachelot, ex ministro dello sport francese, Nadal ha deciso che era il caso di mettere un punto alla questione. In meno di una settimana ha spedito due lettere, una alla stampa per informare che nei confronti della Bachelot era partita una querela, una al presidente dell’Atp David Haggerty e alla Federazione internazionale per chiedere che i suoi test siano resi pubblici. Immediatamente. E per sempre. «Io so quante volte sono stato controllato – ha scritto – durante e fuori dalle competizioni. Per favore, rendete pubbliche tutte le informazioni che mi riguardano, il mio passaporto biologico, la storia completa dei miei test anti-doping. D’ora in poi vi chiedo di comunicare quando vengo testato e quali sono i risultati appena escono dai vostri laboratori».

Se in campo è tomato a strapazzare gli avversari, vedi i due centri consecutivi a Montecarlo e Barcellona, l’ex number one non è più disposto a essere maltrattato fuori. Passi se a sparare accuse è qualche smanettone inacidito su Facebook o su Twitter (quale celebrity non ne è tormentata?). Ma se a lanciare siluri senza sicura è una personalità che ha ricoperto cariche pubbliche, la faccenda cambia. A quasi 30 anni il Più Grande di sempre sulla terra – domenica scorsa ha raggiunto il record di Vilas di 49 tornei conquistati sul rosso – può puntare a vincere ancora molto, a partire da a Roma e dal prossimo Roland Garros. E vuole farlo senza che nessuno si senta autorizzato a sospettare che dietro gli stop più dolorosi della sua carriera non ci sia stata una cartilagine consumata o un polso dolorante, ma un silent-ban, una squalifica occulta mascherata da infortunio.

Lo sport mondiale da mesi, proprio per via dei doping veri o presunti, è sotto assedio: lo scandalo russo nell’atletica (e non solo), lo choc perla positività della Sharapova che Nadal ha condannato («se ha sbagliato, deve pagare»). Roger Federer ha chiesto più controlli, Andy Murray ha spedito messaggi neanche troppo sibillini dicendosi scettico sulle performance «di chi sta in campo sei ore senza accusare fatica». Se Rafa ha deciso di scendere a rete lo ha fatto sicuramente per tutelarsi. Ma forse anche per difendere il tennis. Meglio: per invitare il tennis a difendere se stesso. Senza incertezze, senza mezze misure. «E’ necessario che il nostro sport diventi il portabandiera in un mondo dove trasparenza e onestà sono i pilastri (…)

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