Massimo Sartori in esclusiva: "Voglio far giocare Seppi altri tre anni. La Federazione deve formare più allenatori"

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Massimo Sartori in esclusiva: “Voglio far giocare Seppi altri tre anni. La Federazione deve formare più allenatori”

Massimo Sartori, storico coach di Andreas Seppi, si è concesso con simpatia e grande disponibilità a Ubitennis, parlando del momento del tennista altoatesino e di cosa andrebbe cambiato nel tennis italiano

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Dal nostro inviato a Nizza

Per cominciare parliamo un poco di Andreas. Torna da uno stop abbastanza lungo, ha saltato due Masters 1000, qui a Nizza l’obiettivo è fare punti e magari vincere il torneo, o piuttosto incamerare incontri su terra in previsione di Parigi?
Il primo obiettivo è incamerare incontri per Parigi. Andreas ha avuto troppo poco tempo, dall’infortunio e dallo stop – comunque era stato già deciso all’inizio dell’anno, di fermarsi dopo Miami – siamo arrivati a Roma per un pelo. Dobbiamo sperare che giochi due partite per preparare Parigi, poi se ne gioca anche tre e magari va più avanti meglio, i punti non gli fanno male in questo momento. L’idea comunque era quella di riuscire a fare partite per Parigi.

Parlando proprio di superfici: Andreas è l’unico tennista italiano ad aver vinto trofei su tutte e tre le superfici. Il tipo di superficie è indifferente per il modo in cui preparate la stagione, o magari c’è un periodo dell’anno sul quale puntate di più?
Adesso prepariamo la stagione in modo diverso rispetto ad anni fa. In questo momento la prepariamo all’inizio dell’anno, con un grosso allenamento, cercando di fare la base per tutto l’anno. Dopo di che, nei i vari momenti dell’anno che prevedono soste o cambiamenti di superficie non possiamo più fare l’allenamento che facevamo due anni fa, perché dopo questo infortunio all’anca dobbiamo andare coi piedi di piombo. Quindi abbiamo tagliato alcune cose che non possiamo più fare.
L’obiettivo che abbiamo adesso è quello di tenerlo sempre pronto a competere. In questo momento non si tratta più della superficie, ma di essere pronto a competere. Il momento dell’anno in cui siamo più rilassati è quello in cui gioca sull’erba, questo sì.

Riguardo il rapporto tennista-coach, la maggior parte dei tennisti italiani, anche i grandi nomi, di questi tempi si affida a coach e strutture stranieri. Il tuo rapporto con Andreas, invece, dura da vent’anni. C’è una ragione per la quale un rapporto del genere è così raro?
È raro perché ci sono tanti scontri nell’arco della crescita di un ragazzo. Io ho avuto la fortuna di prendere Andreas quando aveva undici anni, adesso ne ha trentadue e si sposa, siamo riusciti a fare qualcosa di estremamente grande e difficile da ripetere. La fortuna è che siamo cresciuti insieme, entrambi con obiettivi grandi: io prima, lui poi, quando nella sua maturazione ha capito dove stava andando, però abbiamo vissuto le stesse problematiche, le stesse situazioni di difficoltà, situazioni belle, brutte… Questo ci ha legato molto. Non come padre e figlio, perché non abbiamo quel genere di rapporto, ma come due veri amici che si fidano l’uno dell’altro.

C’è stata anche un po’ di fortuna nella coincidenza umana, quindi.
Questo sicuramente. Io e lui siamo simili, siamo due umili, abbiamo messo nel lavoro tutto quel che doveva costruire le basi per il futuro. Questo ci ha unito molto.
Per quanto riguarda questa faccenda degli stranieri, sì, è che in questo momento in Italia ci sono pochi allenatori. È normale che tanti giocatori e tante giocatrici escano dall’Italia per trovare allenatori. Cose che non dovrebbe succedere sono quelle come la situazione di Riccardo Piatti, ad esempio, che invece di stare in Canada con la federazione canadese ad allenare un canadese dovrebbe allenare un italiano stando in federazione italiana. Questo è ciò che forse è ora di iniziare a mettere a posto.

In questo momento, difatti, si parla molto della Federazione. Veniamo dagli Internazionali BNL d’Italia, che sono ancora in corso, dove c’è stata questa grande invenzione delle pre-qualificazioni, ci si è vantati molto del numero di italiani portati a giocare. Tirando le somme, però, l’unico che ha vinto un match di tabellone principale è stato proprio Seppi. Come mai? Si punta più sulla qualità che sulla quantità, pregando che il campione emerga da solo? Mancano le strutture, gli investimenti, la fiducia?
La Federazione ha lavorato molto, ha costruito una struttura importante a Tirrenia, ha costruito molti centri, non penso sia quello il problema, in questo momento stanno anche lavorando molto bene. Almeno stanno provando a cambiar marcia, poi riuscirci o non riuscirci… non sono tempi facili, è un po’ più delicato.
Di sicuro bisognerebbe investire di più sugli uomini adesso, formare più allenatori. Trovare allenatori già di esperienza, da affiancare ad allenatori giovani che vogliono imparare e che vogliono uscire da questa situazione, affiancare a loro allenatori importanti. In Federazione ci vorrebbero più allenatori importanti in questo momento, che hanno già fatto strada, secondo me Riccardo Piatti da questo punto di vista è il più bravo, è quello che capisce di più com’è questo sport. È qualcuno che riesce a formare giocatori e allenatori, è una persona che dovrebbe stare in Federazione, insieme o comunque vicina, da esterno. Il cambiamento va fatto lì, ci vogliono più persone che sappiano già dove andare, se dobbiamo costruirle e poi andare ci mettiamo troppo tempo, e non possiamo permettercelo. Che la quantità di tennisti sia cresciuta è vero; c’è possibilità di osservare più ragazzi giovani e forti, sia nel maschile che nel femminile.
Per quanto riguarda ciò che è successo quest’anno con le partite del Foro Italico, io penso che siamo a un bivio molto grande. Questa edizione è stata particolare, soltanto Andreas è riuscito a vincere una partita in singolare, l’anno prossimo non succederà, però i giocatori buoni diminuiranno e quindi avremo meno chance di fare qualcosa di buono. Dovremo ragionare un po’ e cominciare a lavorare con altri atleti già pronti o quasi, per formarli con allenatori importanti.

Un’ultima domanda, un po’ azzardata, da fine intervista: come si immagina Massimo Sartori dopo Seppi, e magari come immagina lo stesso Seppi nell’ambiente del tennis italiano? 
(Ride.) Adesso l’idea del nostro team è quella di portare Seppi a giocare altri tre anni, questo più altri due ancora. Quest’anno c’è un cambiamento grande, lui si sposa, quindi anche da questo dipenderà la sua carriera, ma l’idea è di farlo giocare ancora tre anni, sempre che non abbia problemi fisici. Per quanto riguarda me e il mio futuro, adesso voglio andare avanti con Andreas, metterlo un po’ più sotto e vedere se lui è ancora determinato a provare a vedere se è ancora più forte di quanto ha dimostrato. Il poi… si vedrà dopo.
A me piacerebbe insegnare agli allenatori, è qualcosa che ho dentro, quel che mi piace di più è insegnare ai ragazzi giovani, quelli forti, nostri, italiani. La mia idea è che dobbiamo portare su questi giovani. Personalmente sono più portato per i maschi che per le femmine, sicuramente, magari è un mio modo di vivere.
Per quanto riguarda Seppi, dopo il matrimonio dovrà cercare di capire lui cosa vuole fare. Può darsi che prenda qualche anno di pausa, anche perché, se guardiamo, sono quindici anni che lui tira il carro e non gli si può rimproverare niente. Quindi se si prenderà due anni e farà un po’ di vacanza magari gli farà anche bene. Se poi dovesse rimanere nel nostro ambiente e con noi, nel team di Riccardo, mio, di Ljubicic, per noi sarà un onore.

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