Cose da fare prima di morire: veder giocare Roger Federer

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Cose da fare prima di morire: veder giocare Roger Federer

Prima che smetta, prima che arrivi la zona del crepuscolo: sbrigatevi a vedere dal vivo Roger Federer. E pazienza se la versione non è d’annata

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La prima volta, fu a Roma. E dove, altrimenti, se non nella città eterna, quella dei Re, sette più Totti e non più Falcao, per ammirare le gesta del tennista più amato degli ultimi 150 anni (cit.)? Giocava sul centrale Federer, e noi lo scrutavamo da un anonimo posto del settore distinti lato Tevere, seduti in alto e senza possibilità di ammirarlo per come meriterebbe.

Guardavamo le traiettorie dei suoi colpi, linee geometriche che disegnano il campo o lo tagliano come neanche le bisettrici con i triangoli, e sembrava tutto preciso, tutto naturale. L’avversario, Radek Stepanek, aiutava molto a far fargli fare una figura regale. In pochi minuti Roger Federer andò sul 4 a 0, fra volée stoppate e rasoiate di backspin che non si alzavano sulla veloce terra romana, impressionando il pubblico con passanti giocati in scioltezza sugli attacchi del tennista ceco, che pure era giovane e ardimentoso all’epoca. Non c’era partita, e noi lasciammo il vecchio centrale.

Il tennis a Roma andava vissuto da bordocampo, perché era uno dei pochi stadi al mondo che ancora permetteva di ammirare i campioni nei campi periferici a pochi metri. Ma non Federer, quando mai avrebbe potuto giocare il Re nei campi dall’uno al sei, o al Pietrangeli? Oppure nella Supertennis arena, un’arena posticcia che ti fa persino dubitare di essere al Foro Italico quelle rare volte che ci sei dentro a gustarti quelle partite che sono carine, sì, ma mai invitanti come quelle del Pietrangeli, dove pure ti abbronzi.

All’epoca, non c’era il centrale di oggi a Roma. E non c’erano neanche quei tre campi di allenamento alle pendici del nuovo stadio. E anche oggi che ci sono, Federer non può allenarsi lì perché la muraglia umana farebbe crollare anche la barriera di Game Of Thrones per ritagliarsi qualche centimetro per gli occhi, per vedere come quei gesti fendano l’aria in maniera così naturale che pensi: ma se è così facile, io perché non ci riesco?

Passarono moltissimi anni prima di ammirare nuovamente Federer. Certo, la TV aiutava nello studiare tutti i piccoli miglioramenti che anno dopo anno questo campione aggiungeva al proprio gioco, sempre con inconfondibile stile. Quel giorno, forse, non avevo capito la “portata” di Federer, cioè quanto questo campione riempie effettivamente le vite degli appassionati di tennis quando pensano, giocano, o seguono questo sport.

Lo capirò anni dopo. Lo capirò quando un collega, parlando del comune odio verso quei luoghi di lavoro dove sono convinti di essere una grande famiglia, ma dove in realtà sono solo dei discepoli della “Scientology aziendale”, mi disse: “Quando mi fanno questi training con tutti quei paroloni in inglese per coinvolgermi e farmi sentire parte di un’organizzazione che crede di salvare il mondo con le sue iniziative io penso a tutt’altro. Penso a quanti Slam aveva vinto Federer alla mia età”. In un contesto totalmente avulso dal tennis, l’odio verso le grandi multinazionali, il nome dello svizzero era uscito fuori a farci esplodere in una deflagrante risata.

Si realizza la grandezza di questo campione quando parli con il fan che segue il tennis giusto quando si gioca a Roma, o che sente gli echi dal telegiornale per qualche impresa della squadra italiana di Coppa Davis o delle donne in Fed Cup. “Federer è il tennis”, questa è la frase che ti rivolgono, perché è sì il più famoso di tutti, ma anche quello che gioca meglio, quello che ti fa venire il brivido quando taglia una volée sotto la rete per mandarla a pochi centimetri dalla riga, i momenti Federer di quello scrittore là, quello famoso.

E poi quelli che lo odiano, che non sono i fan di Nadal, perché questi hanno visto talmente tante volte vincere lo spagnolo contro lo svizzero che ora non pregano altro che incontrarlo di nuovo, visto che l’ultima volta ha vinto Federer. E l’ultima è quella che rimane in testa. E ora ci sperano, magari sul rosso, ora che Nadal è tornato forte. Lo odiano per le banalità che dice, come se gli altri non fossero banali nelle dichiarazioni. Ma in verità non lo odiano, odiano i suoi fan, che è diverso.

Perché poi, a Federer, non puoi essere indifferente. Ti ritrovi a eludere la sorveglianza degli stand romani che stanno sul campo 5, quello più riparato e dove i fan non possono arrivare. Chi è fortunato, chi è ospite di questi brand del lusso, può gustare l’aperitivo mentre Roger, di sotto, scambia palle con Starace. Eravamo lì, quell’anno, a fotografare il campione che era appena diventato padre, di nuovo. Era a Roma in vacanza, arrivato all’ultimo momento, e salutò presto perdendo contro Chardy in un centrale pieno in un pomeriggio caldo e ventoso. Ma come potevi rimproverare qualcosa al neo papà più amato del tennis? Si allenava e rideva con Edberg, e la gente cercava di issarsi sulle siepi o sporgersi con tutti i centimetri del proprio corpo per cercare un pertugio, un buco nella rete per guardare il campione palleggiare con la solita bandana in testa e la t-shirt col baffo indosso.

Oppure la psicosi del 2015, quando non si sapeva se sarebbe venuto o meno, quando i primi giorni al Foro era tutto un “ma viene Federer?”. E allora, tutto sommato, se per un giorno si è tifato Nick Kyrgios contro Federer al primo turno di Madrid si è trattato di un peccato veniale, l’anticamera necessaria a far sì che tutte le strade, anche quelle di Madrid, portassero veramente a Roma. E così è stato. Ed è arrivato anche in finale, regalandoci la sfida tennistica più interessante dell’anno in quanto a contrasto di stili, e pazienza se è finita come finiscono quasi tutte le partite di Djokovic in campo, è stata una settimana da Federer.

E allora non c’è da sorprendersi se uno stadio si popola di 4.000 persone in attesa del suo primo allenamento a Roma, quando negli altri campi c’è il tennis vero dei punti ATP. Non c’è da meravigliarsi se la gente si accatasta, letteralmente, sulle tribune del campo 5 per vederlo scambiare qualche palla con Ljubicic il giorno seguente, per vedere se la schiena è posto e sentirsi rivolgere dalle tribune un “Sei dio!”, che non è idolatria ma vero e proprio amore. Perché Federer va visto, prima che smetta, va visto come vanno visti gli AC/DC anche nella versione con Axl Rose, o come andavano visti i Black Sabbath con Ronnie James Dio alla voce prima di morire, versioni non originali, come il Federer d’annata, ma pur sempre meritevoli di un ricordo che non uscirà mai dalla nostra testa.

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