Tornei scomparsi: c'era una volta il West...Side Tennis Club - Pagina 3 di 3

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Tornei scomparsi: c’era una volta il West…Side Tennis Club

Per la nostra serie “I tornei scomparsi” è il momento del Tournament of Champions – Forest Hills, un torneo con un’erba un po’ diversa da quella di WImbledon…

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Ha quasi 34 anni e l’ultima delle sue 103 finali l’ha disputata a Barcellona il 9 ottobre 1983. Guillermo Vilas è un tipo che trasforma ricordi ed emozioni in poesia ma vorrebbe tanto, almeno per una volta, rivivere il passato. Il centrale di Forest Hills fa proprio al caso suo perché quel 6-0 al quarto inflitto a Jimmy Connors nella calda estate del ’77, quando decine di spettatori si riversarono sulla terra verde e lo portarono a spasso per il West Side Tennis Club in una sorta di delirio collettivo, non lo ha mai dimenticato. Adesso però l’argentino è numero 41 del mondo e le battaglie le perde sempre più spesso. In questa primavera del 1986 ha giocato appena quattro partite e due tornei; a Montecarlo è stato eliminato subito da Marian Vajda (sì, il co-coach di Djokovic) mentre a Indianapolis ha superato due turni prima di imbattersi in Pernfors. Non ha credenziali, Vilas, e viaggia a fari spenti nella notte. Dopo aver faticato a sbarazzarsi di Hans Schwaier, Guillermo non può sapere che il suo destino sarà incrociare un altro bel soggetto che, invece, si è stancato di farsi scarrozzare in limousine per tornare nel suo appartamento di New York. Fuggito da Parigi e dall’insostenibile pesantezza della celebrità dopo la clamorosa e storica vittoria al Roland Garros nel 1983, Yannick Noah ha scelto la Grande Mela per mescolarsi alla gente. “L’altra sera ho preso la metro per tornare a casa; in mezzo a tutta quella gente ero nessuno e mi sono sentito bene”. Sul campo però il franco-camerunense è qualcuno e lo impara a sue spese Lendl, ovvero il numero uno del mondo nonché campione in carica, che ci sbatte contro in semifinale. “Sono frustrato” dichiara Ivan alla stampa. “Pensavo di potergli mettere pressione sul servizio e invece ho raccolto pochissimo. Non ho giocato come avrei voluto”. In finale ci arriva invece Vilas a spese del connazionale Martin Jaite, che la prende con il sorriso: “È sempre stato il mio idolo e sono felice per lui; questo risultato è il giusto premio al duro lavoro a cui continua a sottoporsi”. L’ultimo giorno, come a tributargli l’estremo saluto (ancora non si può sapere, ma sarà l’ultima finale in carriera per colui che brevettò la “Gran Willy”), sugli spalti c’è pure chi vorrebbe rivederlo campione come nove anni prima ma, perso il primo set al tie-break, Vilas si arrende nel secondo e lascia la coppa a Noah.

Per la terza volta nelle breve storia del torneo il campione in carica viene sconfitto in finale l’anno successivo. Il 1987 è la volta di Andres Gomez, emozionato come un bambino per essere riuscito “a conquistare il titolo nello stesso stadio in cui il mio idolo di gioventù, Guillermo Vilas, vinse gli US Open dieci anni prima”. Il mancino ecuadoriano, che coronerà una splendida carriera aggiudicandosi gli Internazionali di Francia tre anni più tardi, si conferma bestia nera di Noah e lo batte per la quinta volta in sei confronti diretti. “Per battermi sulla terra, Yannick deve tenere alte percentuali al servizio perché la risposta è il mio colpo migliore” sostiene Gomez. La finale è prevista sulla lunga distanza e le presenze sfiorano il record, stabilito il giorno precedente (14.145 presenze) quando Andres rimonta Boris Becker (a cui viene meno il servizio) e Yannick regola in due set il bombardiere slavo Zivojinovic. Il pubblico si infiamma per il tennis-spettacolo messo in scena dal francese di colore ma volate e mezze volate, schiacciate in salto e servizi sulle righe non salvano Noah dalla tremenda efficacia di Gomez, che è sempre dove deve essere in ogni parte del campo. Pochi punti decidono la sfida e sono tutti dell’ecuadoriano.

Siamo agli sgoccioli ma l’albo d’oro del torneo si arricchisce di un altro nome prestigioso, ancorché agli albori della sua fama. “Difficile pronosticare dove arriverà e per quanto tempo riuscirà a starci, ma da come colpisce la palla è facile intuire che sarà presto un Top-10” questo il commento dello jugoslavo Slobodan Zivojinovic dopo aver perso la finale contro quel ragazzetto mezzo punk e mezzo Duracell incapace di star fermo un secondo. La cautela di “Bobo” è più che legittima; quante volte le promesse sono rimaste tali? Il sacco delle delusioni è sempre pieno e Andre Agassi deve ancora dimostrare che dietro il fumo ci sia pure l’arrosto. Però, diciotto anni appena compiuti e festeggiati con due titoli consecutivi sulla terra (che vanno ad aggiungersi agli altri due già in bacheca vinti prima della maggiore età) sono tutt’altro che un brutto biglietto da visita. Le prime due teste di serie di quell’edizione si fermano nei quarti. Stefan Edberg si fa recuperare un set da Zivojinovic mentre Aaron Krickstein elimina il campione uscente Andres Gomez. Come l’anno precedente, a dispetto dei tre set a zero la finale è molto equilibrata. Sempre avanti di un break in ciascun parziale, Agassi viene recuperato da “Bobo” che però “non ho fatto nulla di buono nei momenti importanti” e soprattutto mette in campo solo il 51% di prime palle, troppo poco per evitare di essere poi asfissiati dal palleggio di “Flipper”. Il futuro è nelle tasche dei suoi curiosi pantaloncini jeans e Agassi sembra proprio il predestinato; chi potrebbe immaginare che due suoi connazionali, la cui presenza a Forest Hills è passata sotto traccia, alzeranno prima di lui il trofeo di un major? Pete Sampras, qualificato, perde subito con lo svedese Pernfors mentre Michael Chang rimedia sei giochi proprio contro Agassi negli ottavi. Strana la vita, a volte.

Il funerale viene posticipato di un giorno perché il cielo sopra New York ha fatto i capricci per tutta la settimana costringendo gli organizzatori a rinviare la finale al lunedì. Ivan Lendl non toglie nemmeno per un secondo i pantaloni della tuta e ha fretta di chiudere la questione perché l’aereo per l’Europa lo attende. “Ogni volta che lascio Greenwich sono un po’ triste ma è il momento di andare” afferma il numero uno del mondo tra un sorso e l’altro di tè, con il quale vorrebbe finalmente scaldarsi in quanto il peruviano Jaime Yzaga, 56eiesimo giocatore al mondo prima di questo torneo, non ci è riuscito nei 70 minuti di contesa sul campo. Il vento freddo ha scoraggiato molti appassionati ma circa 1.500 temerari sfidano ugualmente le intemperie e punteggiano le tribune con la loro presenza. Vogliono esserci nel giorno in cui il tennis dice addio sia a Forest Hills che alla WCT. Lamar Hunt scioglie la sua organizzazione, in coma già da tempo, e l’ATP non trova nessuno disposto a rilevare i diritti del torneo di New York. Se ne va un pezzo di ognuno di noi e non poteva succedere in un giorno più adatto. 

Lo Stadium ospita ancora qualche concerto ma i costi di manutenzione sono troppo alti e viene lasciato andare alla deriva del degrado. Le ultime note dentro lo stadio sono quelle dei Foo Fighters, di Echo and the Bunnymen e altri che prendono parte al Dysfunctional Family Picnic nell’estate del 1997. Poi, la notte. Fino al 7 ottobre 2010 quando 123 soci del West Side Tennis Club sono chiamati a votare la proposta avanzata dalla Cord Meyer Development di acquistare la struttura e trasformarla in abitazioni residenziali di lusso. Nonostante il presidente del club, Ken Parker, si dica contrariato (“Penso che sia un grosso errore ma questo è il verdetto unanime dei membri” dichiarerà in un’intervista), la decisione è di non vendere. Anzi, si stanziano le prime somme per la ristrutturazione del complesso. E, come d’incanto, nel 2013 il rinnovato Forest Hills Stadium riapre i battenti. In mezzo c’è sempre un campo da tennis, anche se non più in Har-Tru, e gli spalti sono tirati a lucido; il palco permanente copre la visuale della suggestiva club-house ma, come dire, non si può avere tutto. “La storia è salva” afferma un eccitato John McEnroe. “Grazie a tutti per questa resurrezione”. Per la ciliegina sulla torta bisogna attendere il febbraio del 2016 quando Bob Ingersole, attuale direttore del West Side Tennis Club, annuncia che i New York Empire giocheranno le loro partite casalinghe del World Team Tennis su quel campo. E con loro ci sarà nientemeno che Andy Roddick. Una favola a lieto fine.

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