(S)punti tecnici della settimana: consoliamoci con la stagione su erba, insieme a Dustin Brown

(S)punti Tecnici

(S)punti tecnici della settimana: consoliamoci con la stagione su erba, insieme a Dustin Brown

Dopo una prima parte di stagione mediocre per tutti, meno che per Novak Djokovic, finalmente arrivano le poche settimane di tennis potenzialmente interessanti e varie tecnicamente. In attesa di tempi migliori, godiamoci almeno quelle

Pubblicato

il

 

I motivi di interesse di uno sport, e questo vale per tutti, non solo per il tennis, sono principalmente l’imprevedibilità del risultato e la varietà tattico-strategica (prerequisito per quest’ultima, la completezza tecnica). Da questo derivano le emozioni, suscitate dalle grandi partite e dai grandi appuntamenti agonistici. Imprevedibilità, varietà ed emozioni che sono, naturalmente, causa e conseguenza le une delle altre.

Due sono i casi: vi è incertezza sul risultato, con vincitori e favoriti sempre – o almeno spesso – diversi, match tirati e risolti sul filo di lana, distribuzione sufficientemente ampia dei titoli importanti, e allora abbiamo imprevedibilità. E ci può (potrebbe) essere una godibile varietà di soluzioni tecnico-tattiche, ovvero l’esibizione di qualità e completezza del tennis giocato in ogni zona di campo. È sufficiente anche una sola delle due circostanze per rendere appassionante uno sport come il nostro.

Vincono praticamente sempre gli stessi (o lo stesso) ma per farlo esibiscono mille modi differenti per ottenere i punti e mettere in difficoltà gli avversari, con un tennis a tutto campo, soluzioni di classe, di potenza, continuità e resistenza se serve, e una bella e affascinante capacità di adattarsi alle mutevoli condizioni di gioco (superfici)? Benissimo, ed è già successo per diversi periodi in passato.

Giocano tutti praticamente uguale (che sia la specializzazione nel serve&volley, o quella nella rimessa e nel contrattacco e pressione da fondocampo), ma ogni Slam, ogni match che conta, ha un vincitore quasi sempre diverso, e fino all’ultima palla non si riesce ad anticipare chi trionferà? Non proprio benissimo, dal punto di vista dell’interesse tecnico, ma ci si può accontentare.

Proprio per queste ragioni, in molti definiscono un’era, più o meno identificabile come gli anni ’80 e l’inizio dei ’90, come il “periodo d’oro” del tennis, e hanno dalla loro l’ottima argomentazione che durante quelle memorabili stagioni si sono verificate entrambe le circostanze ricordate sopra. Super campioni che lottavano fino all’ultimo punto per aggiudicarsi gli Slam, vincendone un po’ a testa, e scambiandosi spesso le prime posizioni del ranking. Nel farlo, mettevano in campo un tennis tecnicamente e tatticamente diversissimo, vario, e adattabile. Specialisti del veloce che a volte remavano come e più dei terraioli, fondocampisti che si scaraventavano a rete su ogni palla, succedeva di tutto. Erano anche i primi anni in cui la copertura dei mass-media ha fatto diventare il tennis un vero e proprio fenomeno globale. Chi ha avuto la fortuna di esserci, da appassionato si è certamente divertito moltissimo. Ha avuto emozioni.

Poi le carte in tavola sono state cambiate in un modo estremo, con la totale scomparsa di sostanziali differenze tra le superfici, e la contemporanea incontrollata evoluzione tecnologica degli attrezzi. Il gioco si è uniformato, l’unica strada per la vittoria è diventata la pressione da fondocampo, ma grazie a una formidabile generazione di campioni, ribattezzata “Fab-four”, e a un’ulteriore rivoluzione nella comunicazione e nella condivisione di informazioni (la diffusione di internet, poi le prime comunità virtuali, poi i contenuti on-demand, poi i social media), la popolarità del tennis ha vissuto una nuova epoca di boom. Il problema è che nel momento in cui i fantastici quattro, che già in effetti erano tre, diventano uno solo, casca definitivamente il palco. Federer, Nadal e Djokovic (in rigoroso ordine di palmarés), pur con differenti approcci tecnici, sono sempre stati, chi da subito, chi dopo una fase di assestamento, dei mazzuolatori con i rimbalzi. Ma anche mentre Roger vinceva pure le coppe del nonno, Rafa era sempre lì a batterlo spesso e volentieri. Poi si è inserito ai massimi livelli Nole, arrivando con il tempo a superare entrambi. Certo, di vedere variazioni in verticale, soluzioni inaspettate e vincenti, volée ben giocate, a meno che non ci fosse in campo un Federer in giornata, nemmeno l’ombra.

Però è stato un periodo a suo modo fantastico anch’esso, Roger con la fluidità e gli anticipi, Rafa con l’esplosività e la potenza, Nole con l’elasticità e la reattività, e classe e talento (diversi, ma la sostanza non cambia) da vendere per tutti loro. Personalmente, preferirei sempre e comunque avere in attività 10 campioni con 4 Slam a testa piuttosto che 3 cannibali che se ne intascano 43, e soprattutto farei volentieri a meno del conseguente e deleterio fenomeno delle “falangi” di tifosi dei tre mostri in questione, ma tant’è, i tempi cambiano, e non si può certo dire che non siano stati grandi anni di tennis. Le emozioni non sono mancate.

Ora come ora, purtroppo, siamo nella fase del “worst case scenario”. Vince sempre lo stesso giocatore, utilizzando lo stesso tipo di tennis, affrontando avversari che a loro volta giocano esattamente come lui, ma non così bene, schiodandosi dalla riga di fondo solo se presi per i capelli e trascinati avanti da un drop-shot, con una qualità di posizionamento a rete e di gioco al volo imbarazzante per il livello da top assoluti ATP di cui stiamo parlando. Lo slice, a sua volta, viene utilizzato solo in recupero obbligato, che sia laterale o in avanzamento, mai come colpo offensivo, i pallonetti aggressivi e non difensivi sono rarissimi, le volée ben colpite e ben piazzate sono un ricordo, al massimo viene azzeccata qualche stop-volley, che come si sa è la soluzione tecnica di chi la palla al volo non se la sente di giocarla con convinzione, e non ha ben chiari gli schemi e le geometrie del tennis d’attacco.

Nessuno pretende di riavere i Borg-McEnroe d’annata, o i Becker-Edberg, nemmeno i Sampras-Agassi. Ma ormai sono venuti a mancare anche gli epici (almeno sul piano dell’incertezza e dell’equilibrio) scontri tra i cannibali del nuovo millennio. Federer è in conclusione di carriera, temiamo tutti che anche Nadal non ritornerà più quello di prima, ci rimangono solo Djokovic e Murray, e non credo serva andare a guardare gli head-to-head per capire come lo scozzese non sia un rivale credibile. Questo inizio di 2016 è stato tecnicamente desolante a dire poco, e non è certo colpa di Nole, lui è un sintomo, non la causa della situazione. Ma nel momento in cui il massimo rischio corso in due Slam dal campione del mondo è stato l’aver mancato di un pelo un giudice di linea con un lancio di racchetta (involontario finché si vuole, ma se lo prende la squalifica è immediata e inevitabile, il regolamento parla chiarissimo), la cosa diventa noiosa. Soprattutto se accompagnata da un gioco ossessivamente ripetitivo da parte sua come di tutti gli altri.

Rimane la striminzita stagione su erba: per chi spera ancora di potersi stupire ammirando i tocchi sotto la palla e non solo i topponi esasperati al limite, per chi spera di vedere uno split step in avanzamento verso la rete eseguito con tempi e copertura degli angoli corretti, per chi spera di applaudire una volée ben accompagnata verso l’angolo esterno, per chi sente la mancanza di una rasoiata in slice a sorpresa che toglie il ritmo all’avversario. Per chi si ricorda di cosa è sempre stato il tennis, cioè una partita a scacchi giocata con tanti pezzi diversi e non solo con i pedoni, utilizzando tutto il campo e tutte le soluzioni tecniche possibili.

Mezzo match di Nicolas Mahut a ‘s-Hertogenbosch o al Queens, o di Florian Mayer a Stoccarda, o di Radek Stepanek ovunque giochi, senza arrivare all’irresistibile circo di follia e talento di un Dustin Brown, offrono più spunti tecnici dei primi Slam e 1000 della stagione messi insieme. E fra l’altro la pacchia durerà poco, più o meno quanto resisterà l’erba, già rallentata di suo, prima di trasformarsi con l’uso nell’ennesimo campo duro/medio/veloce-ma-non-troppo uguale a tutti gli altri, per la gioia degli sparapalle moderni, e di chi ha scoperto il tennis solo grazie a loro, e non ha idea di quello che è stato perso negli anni. Speriamo non definitivamente.

Continua a leggere
Commenti
Advertisement

⚠️ Warning, la newsletter di Ubitennis

Iscriviti a WARNING ⚠️

La nostra newsletter, divertente, arriva ogni venerdì ed è scritta con tanta competenza ed ironia. Privacy Policy.

 

Advertisement
Advertisement
Advertisement