Bianco Wimbledon, il colore dello Slam più antico del mondo

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Bianco Wimbledon, il colore dello Slam più antico del mondo

Quando si pensa a Wimbledon non si può non pensare al colore che il rigido regolamento londinese impone per tutti i giocatori che calcano il prestigioso green di Church Road: il bianco. Vita, morte e miracoli del colore che è divenuto un must per il torneo più importante della stagione

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Le origini del colore che fra qualche settimana sarà protagonista della 130esima edizione dei Championships, hanno radici molto antiche. La motivazione per cui il bianco è stato eletto come unico colore di Wimbledon, infatti, nasce quasi in contemporanea alla nascita del più affascinante degli Slam e va ricercata nel fatto che l’alone di sudore che appariva sulle magliette colorate degli atleti durante le partite non era definito per niente chic dai raffinati membri dell’esclusivo circolo dell’All England Lawn Tennis and Croquet Club. Così si decise di adottare un lindo colore bianco, sul quale il sudore è ben meno evidente. Da allora il bianco è divenuto il colore di Wimbledon, forse anche più del viola e del verde che ne colorano lo storico logo.

La regola vigente parla ben chiaro: “Il completino o l’intimo dei giocatori/trici deve essere completamente bianco con eccezione di un piccola parte colorata non più larga di un centimetro”. Questa una delle concise e inalterabili regole che ogni giocatore si vede recapitare non appena varcati i cancelli del tempio del tennis mondiale.

Nel corso degli anni le regole si sono alleggerite per poi ritornare a essere più ferree nelle ultime stagioni; si è passati, insomma, dalla filosofia del ‘maggiormente bianco’ a quella del ‘completamente bianco’. Memorabile resta nella mente dei meno smemorati la fascia rossa attorno al capo di John McEnroe nella leggendaria finale di Wimbledon 1980 contro Björn Borg, o più recentemente i pantaloncini arancioni di Maria Sharapova indossati sotto la casta gonnellina lattescente. Come loro tanti altri hanno approfittato di qualche cedimento da parte dei giudici di Church Road. Le classiche eccezioni che confermano la regola.

Infatti, i più attenti non avranno dimenticato la multa inflitta a re Roger Federer nel 2013 per essere sceso sul sacro green di Wimbledon con della scarpe che presentavano delle troppo evidenti (a detta dei giudici e dell’organizzazione) suole arancioni. I più anziani, invece, ricorderanno la decisione di Andre Agassi che per alcune edizioni, agli albori della sua grande carriera, rifiutò di giocare il maggior torneo sull’erba a causa delle regole troppo rigide.

Più recente il caso di Eugenie Bouchard che l’anno scorso, a margine della brutta sconfitta subìta al primo turno contro la cinese Ying Ying Duan, per poco non si vide recapitare la beffa di una multa per colpa delle spalline nere del reggiseno, al limite dell’intollerabile per i tradizionalisti capi dell’All England Club.

“Reputo strano che gli spettatori debbano controllare cosa indossano le giocatrici sotto la gonna” commentò nel 2015, tra il serio e l’ironico, la ceca Barbora Strycova.

Nel corso dei decenni altre norme del torneo di Wimbledon sono state revisionate: sostituite le antiquate palline bianche in favore di quelle gialle, in auge per tutto il pianeta, tolto il ‘Mrs’ e il ‘Miss’ a precedere il nome dei tennisti sui tabelloni, cancellato anche l’obbligo dell’inchino verso il box reale – a meno che non siano presenti la Regina Elizabeth II o il Principe di Galles Carlo. Solo una, imperterrita, rigida regola rimane salda ai Championships, il torneo di tennis più prestigioso del globo: l’outfit total white.

Il mondo è cambiato, anche i costumi, pure il modo di vivere, di pensare e di morire, però, evidentemente, alcune tradizioni tendono a rimanere tali incuranti del tempo che passa.

Antonio Pagliuso

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